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Pirandello, il papa (e altri): il libro di Alajmo e Carapezza sull'aldilà che non ti aspetti

La scelta dei personaggi del nuovo libro degli autori siciliani segue una logica che unisce potere, caduta e ironia. Di cosa si tratta e i dettagli nell'intervista

Federica Dolce
Avvocato e scrittrice
  • 1 dicembre 2025

Roberto Alajmo e Marco Carapezza

Un libro che parte da una domanda tanto semplice quanto perturbante: cosa accade ai corpi dei grandi della storia dopo la loro morte? Non ai miti o alle narrazioni postume, ma proprio ai corpi, alle reliquie civili, politiche, spirituali, artistiche che diventano oggetti di culto, contesa, imbarazzo o fanatismo. Da Evita Perón a Lenin, da Pirandello al papa cadavere processato da morto, passando per Cartesio e Bentham, Roberto Alajmo e Marco Carapezza raccontano dieci avventure tanto documentate quanto grottesche.

In un’atmosfera sospesa tra ironia, filosofia e un tocco di gotico mediterraneo è avvenuta lo scorso 18 Novembre alla libreria Tramontana la presentazione del volume "Avventure postume di personaggi illustri", edito da Sellerio e firmato dai due autori siciliani, ha trasformato un semplice incontro con gli autori in un viaggio irresistibile nell’universo, sorprendentemente attivo, dei cadaveri celebri.

A moderare è stato Isidoro Farina, con le letture intense di Maurizio Daino che hanno aggiunto teatralità alle storie già di per sé straordinarie. Roberto Alajmo ha spiegato che tutto nasce da una tradizione molto siciliana, sospesa tra devozione e sarcasmo. E come tutto sia nato anche da un rapporto tipicamente siciliano con la morte, quello stesso che oscilla tra lutto cupo e ironia liberatoria. «Forse c’entra il rapporto ambivalente che noi siciliani abbiamo con la morte, così intriso di umorismo, pur restando fortemente luttuoso. Fin da piccolissimi siamo investiti del problema con la "festa dei morti".

E poi, col passare degli anni, la questione che sembrava riguardare solo gli altri finisce per toccarci personalmente. Forse questo è un libro scaramantico, uno scongiuro letterario. Scrivendolo abbiamo provato a esorcizzare la morte affrontandola in maniera omeopatica», ha raccontato, strappando più di un sorriso.

La scelta dei personaggi, diversissimi tra loro, segue una logica precisa che unisce potere, caduta e ironia. «Ci siamo concentrati su persone che in vita avevano detenuto un potere e che perdendo la vita hanno dovuto subire la rivincita dei posteri», ha spiegato ancora Alajmo. «Una rivincita mascherata da ammirazione, ma che nasconde spesso qualcosa di sordido. La rivincita della mediocrità sulla grandezza».

Difficile non riconoscere, in quelle avventure postume, un’umanità che continua a essere piccola davanti ai suoi miti. Tra i racconti più sorprendenti, quello dedicato alle vicissitudini delle ceneri di Luigi Pirandello: un’odissea grottesca che Alajmo ha definito «tre funerali e mezzo», una storia in cui scaramanzia e comicità sembrano uscite dalla penna dello stesso drammaturgo agrigentino. «È stato il primo racconto che avevo pubblicato una quindicina di anni fa con le illustrazioni di Mimmo Paladino. Ero rimasto affascinato dal carattere profondamente paradossale della vicenda». Accanto all’ironia e dietro alla struttura grottesca e comica, però, c’è un lavoro di ricerca che emerge con discrezione, quasi in sordina. «La fatica delle ricerche che sono servite, è stata solo una parte del lavoro», ha detto Alajmo.

«L’altra metà è consistita nel nascondere questa fatica per realizzare un libro godibile e consegnarlo al lettore con la promessa di una lettura in leggerezza, che non risulti paludata». Dunque che cosa ci dicono oggi (in un’epoca laica e spesso “iper-mediatica”) le vicende postume di queste spoglie illustri? Cosa i lettori possono portiare con loro dopo aver letto il libro, in termini di riflessione sul delicato rapporto fra vita, morte e memoria? Roberto Alajmo con un sorriso ci risponde: «Nessun "messaggio", per carità. Però è vero che in questo libro affrontiamo uno dei temi tabù dei tempi moderni.

La morte è stata totalmente rimossa, ci sembra addirittura inaccettabile che la scienza, con tutti i progressi fatti negli ultimi cento anni, non abbia saputo risolvere il problema dei problemi. Pensiamo di esserci meritati l’immortalità. Un umile e umoristico memento mori come questo libro può servire a farci riprendere contatto con la realtà».

Se Alajmo porta nel libro la vena narrativa e l’umorismo siciliano, Marco Carapezza aggiunge lo sguardo filosofico, quello che scava sotto il paradosso e ci mostra come il linguaggio continui a “fare vivere” i morti oltre la loro morte. «I morti continuano a essere al centro di vicende inquietanti» ha spiegato. «Le persone scompaiono, ma le loro storie prendono forma malgrado le volontà dei defunti. » Carapezza, da filosofo del linguaggio, ci ha raccontato come abbia lavorato per nascondere la filosofia… pur lasciandola filtrare quando necessario. «Ho fatto di tutto perché la riflessione filosofica, pur presente, fosse però nascostissima, anche se qua e là emerge», ha affermato.

«E non solo perche ci sono due filosofi Cartesio e Bentham. Il mio contributo è stato soprattutto quello di prendere sul serio qualcosa che di solito si evita: i morti continuano ad essere al centro di vicende inquietanti. Le persone scompaiono, ma le loro storie prendono forma, di norma, malgrado le volontà dei defunti.

Wittgenstein diceva che “la morte non è un evento della vita”, eppure ci accompagna come un’ombra che ci spinge a cercare senso. E dove si cerca senso? Nella lingua, naturalmente, perché è lì che le idee prendono forma… e anche le manie postume. Le società hanno sempre cercato di gestire la morte, di rimettere in ordine ciò che la morte scombina: eredità, riti, sepolture. Ma a volte questi meccanismi si inceppano ed è in quelle crepe che sbuca fuori il lato comico, grottesco, irresistibilmente umano. Ed è lì che noi ci siamo infilati».

Un punto di vista che affascina, mostrando come queste storie siano anche un modo per osservare ciò che la morte scombina: eredità, rituali, sepolture, memoria.

Tra i racconti più sorprendenti, Carapezza ha evocato quello dedicato alla mummia di Lenin, una vicenda che sembra satireggiare da sola. «La storia della mummia di Lenin è, in realtà, la storia della sua “manutenzione postuma”, un racconto di burocrazia e devozione quasi religiosa in pieno regime ateo», ha detto. «Un team di chimici, i “custodi dell’immortalità”, ha lavorato per decenni per impedire a un cadavere di fare ciò che tutti i cadaveri fanno. Stalin, in pratica, ha sostituito i santi ortodossi con un “santo socialista” imbalsamato, come notò Troskji, creando una continuità di culto sotto una patina laica.

Questo contrasto tra l’ideologiapseudo scientifica del comunismo e la creazione di una reliquia di stato è il punto più tragicomico della storia. Il contrasto tra propaganda razionale e ritualità è talmente evidente che sembrava già scritto come un racconto grottesco, abbiamo solo
riorganzzato il materiale».

Il culto delle reliquie, poi, permette agli autori di dialogare con secoli di storia religiosa e politica. Carapezza ha offerto una sintesi illuminante: «Il culto delle reliquie, nato con Sant’Elena e Sant’Ambrogio, si è presto trasformato in un marketing geniale e potentissimo, durato fino agli inizi del Novecento. Anche Tomasi ne parla nella seconda parte del Gattopardo.

Noi non lo consideriamo unsemplice residuo superstizioso. È qualcosa di più complesso: è il modo in cui si è espressa la cultura cristiana per la profonda necessità umana di “avere un pezzo” avere un oggetto del prorpio santo, per sentirlo vicino, e per legittimare la propria storia.

La cosa affascinante – ha proseguito- è che questa necessità persiste anche in epoche Scientista, come quella sovietica. Il cervello di Einstein, o corpo di Lenin, non nascono infatti in ambito religioso, ma quest’ultima per esempio diviene una “reliquia politica” come il cervello dello scienizaito diviene una reliquia scientista. Il “potere dei morti” è troppo grande per essere ignorato; i vivi lo usano sempre per dare stabilità e legittimità ai loro equilibri sociali. È il nostro antico e incrollabile accordo tra noi e i morti: “noi vi onoriamo, voi ci proteggete e date legittimità alle nostre istituzioni”. Un accordo tutto sommato conveniente».

Guardando al mondo contemporaneo, cosa queste avventure postume ci dicono sul nostro rapporto con la morte, il potere e la memoria collettiva? Ma principalmente quale speranza il lettore può riconoscere nei racconti?

Carapezza chiaramente risponde: «Non pretendiamo di dare grandi lezioni sulla morte — sarebbe ironico farlo proprio in un libro dove i morti vengono trattati come protagonisti involontari di una commedia. Però un piccolo antidoto al tabù contemporaneo sì: oggi la morte vera è quasi censurata, mentre quella finta trionfa nelle serie TV e nei videogames.

Noi proponiamo un’altra strada: guardare alla morte delle persone illustri e scoprire che, spesso, è il momento in cui la loro serietà implode e si trasforma in una farsa gestionale. Se il lettore si diverte - o almeno sorride e un po’- e in questo sorriso invita a qualche elemento di riflessione, abbiamo raggiunto l’obiettivo».

Alla fine, ciò che emerge dal libro è una riflessione contemporanea sulla morte, trattata però con leggerezza e ironia. Il pubblico è uscito dalla libreria Tramontana con la sensazione rara di aver riso della morte senza mancarle di rispetto, e di aver scoperto quanto i morti – soprattutto quelli illustri – continuino a vivere nei modi più imprevedibili. Un libro che sorprende, istruisce, diverte e lascia dentro un piccolo, necessario memento mori.

Ci sono libri che raccontano la vita, e libri che — come questo, con una certa dose di audacia — raccontano ciò che accade dopo. Non nell’aldilà, ma qui, sulla terra, quando i grandi della storia hanno ormai perso ogni diritto di replica e diventano, loro malgrado, protagonisti di avventure esilaranti, grottesche, persino politiche.

Avventure postume di personaggi illustri è proprio questo: un catalogo irresistibile di disavventure mortuarie che ci ricorda quanto i morti, soprattutto quelli famosi, continuino a far muovere il mondo molto più dei vivi. È un libro che si legge ridendo, ma con quel retrogusto di verità persistente che rimane anche dopo aver chiuso l’ultima pagina — proprio come le storie migliori.
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