ITINERARI E LUOGHI
Profondo 18 metri, era abitato da fantasmi: dov'è in Sicilia il "pozzo dei Rianeddri"
Un luogo sotterraneo circondato dal mistero per via di leggende e storie che ancora oggi si raccontano per intimorire i bambini quando fanno i capricci

La Grangela di Licata (foto di Pro Loco Catania)
Un antico pozzo ai piedi della montagna di Licata, Monte Sant’Angelo, a pochi metri dal Palazzo Municipale. Probabilmente di età pre-ellenica, nel 1989 durante i lavori della Soprintendenza sono stati trovati sul fondo reperti in terracotta.
Profondo 18 metri, il sito ha una forma rettangolare con accesso da due ingressi: da via Marconi e via Santa Maria. Silente, sotto terra, attraversa la roccia con una piccola galleria di 2 metri per altezza e 7 di larghezza.
Parallela al vano del pozzo esiste una scala di circa 100 gradini per accedere al sito e dalla quale si dipartono quattro cunicoli - di cui tre a fondo cieco - che dalle falde acquifere arrivavano alla vasca centrale per la raccolta dell’acqua, purificata attraverso quattro vasche di decantazione.
Quando l'approvvigionamento non era un problema, i licatesi per prelevare l’acqua accedevano al sito dall’alto di via Grangela. Ma quando iniziava il periodo di siccità e l’acqua si abbassava la soluzione migliore era l’accesso alle scale tramite tre finestre posizionate a quote diverse. All’arrivo poi della secca completa l’acqua veniva presa d’assalto direttamente dalla vasca di raccordo.
A questo pozzo, dunque, una grande responsabilità: approvvigionare Licata, in cui la mancanza d’acqua è spesso devastante per cittadini e territorio. Ma attorno alla sua presenza, vuoi la posizione sotterranea e nascosta agli occhi o il mistero che la circonda sulla sua vera età, esiste una storia. Raccontata spesso ai bimbi per intimorirli quando fanno i capricci o qualche marachella.
Pare che il pozzo fosse abitato da alcuni fantasmi chiamati Rianeddri. Secondo la leggenda questi spiriti maligni di notte abbandonavano il pozzo per andare a caccia di 7 bambini, numero prediletto della completezza, dopodiché li trascinavano giù. Nel pozzo umido e angusto li sacrificavano per poter accedere poi a tesori, a quanto pare, contenuti al suo interno.
Una sorta di “lasciapassare” per la loro bramosia di ricchezza.
La storia, da brividi, enfatizza ancora di più un posto sì essenziale per il rifornimento cittadino, ma anche "aiuto" per i genitori dei bimbi licatesi troppo vivaci che, passando dalle parti di quel sito, scommettiamo che almeno una volta lo hanno guardato di sbieco. Consci che dietro ogni marachella c’è una “presenza” che li attende.
(Fonte: "Archeologia della vite e del vino in Toscana e nel Lazio. Dalle tecniche dell'indagine archeologica alle prospettive della biologia molecolare", di Andrea Ciacci, Paola Rendini, Andrea Zifferero.
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