La nuova scoperta che riscrive la storia della Sicilia: cosa c'entrano i cavalli
La ricerca, pubblicata di recente sulla rivista scientifica PLOS One, ha coinvolto studiosi italiani e americani, tra cui Roberto Micciché dell’Università di Palermo

Antichi vasi di terracotta rinvenuti in Sicilia
Fino a questo momento, gli storici credevano che i cavalli fossero giunti in Sicilia attorno alla seconda metà del I millennio a.C., tramite i coloni che giunsero dalla penisola italiana e da altre regioni del Mediterraneo centrale.
Analizzando però i residui organici conservati all’interno di antichi vasi scoperti da Tanasi nel 2005 ai piedi del monte Polizzello, vicino Caltanissetta, questa vecchia teoria è stata smontata pezzo per pezzo, tanto da risultare oggi completamente sbagliata.
Grazie alle moderne tecniche di analisi proteomica e del DNA, i ricercatori sono riusciti a identificare tracce di proteine equine, tra cui l’albumina sierica, una chiara firma biomolecolare del sangue di cavallo.
Ciò dimostra che all’epoca di realizzazione dei vasi questi animali non erano solamente presenti sulla nostra isola, ma erano anche utilizzati come selvaggina e probabilmente anche come forza lavoro nei campi.
Gli artigiani che produssero questi vasi erano probabilmente Sicani, sebbene la complessa situazione dei popoli siciliani dell’età del bronzo e del ferro non permette di confermare al 100% questa affermazione.
I frammenti analizzati da Tanasi provengono da ceramiche ancora intatte, legate probabilmente a rituali comunitari: tra i preziosi reperti ritrovati dal team di Tanasi, che ha lavorato circa 20 anni per questo studio, ci sono grandi recipienti da cucina, brocche, ciotole e un bacino con piedistallo, che secondo gli studiosi poteva contenere stufati a base di carne di cavallo condivisi durante cerimonie collettive.
Accanto ai vasi, è stato rinvenuto anche un fallo in terracotta, elemento che suggerisce pratiche rituali legate alla fertilità. «Il cavallo è stato uno degli animali più trasformativi delle civiltà antiche», ha spiegato Tanasi. «Dimostrare che fosse già presente in Sicilia nel III millennio a.C. ha implicazioni enormi su come interpretiamo mobilità, economia, alimentazione e religione delle comunità dell’epoca».
La ricerca, pubblicata di recente sulla rivista scientifica PLOS One, ha coinvolto studiosi italiani e americani, tra cui Roberto Micciché dell’Università di Palermo, Robert Tykot e Enrico Greco dell’Università della Florida del Sud. La notizia ha avuto grande risonanza anche fuori dall’ambiente accademico, finendo di recente sulle pagine dei principali quotidiani nazionali, come La Repubblica.
Tanasi, noto a livello internazionale anche per precedenti scoperte - come l’analisi del vino preistorico scoperto nei pressi del monte Kronio o e la scoperta del consumo di allucinogeni nell’antico Egitto - ha sottolineato l’importanza dell’attesa: «Nel 2005 non avevamo la tecnologia per analizzare questi campioni. Ma ho deciso di aspettare, e oggi abbiamo tra le mani un tassello fondamentale per riscrivere la storia della Sicilia».
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