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Quando balla incanta Palermo: la prima danzatrice sorda del Teatro Massimo

Inizia a danzare a 4 anni, è sorda ma sente il palco del teatro palermitano vibrare sotto i suoi piedi. Una forza gentile, che non graffia ma incanta tutti con la sua tenacia

Federica Dolce
Avvocato e scrittrice
  • 12 dicembre 2025

Carmen Diodato

Quando Carmen Diodato entra in scena al Teatro Massimo, tra velluti rossi, ori antichi e quella luce che sale dal pavimento come un respiro della città, accade qualcosa che sfugge alla logica. Non senti soltanto il passo di una ballerina: percepisci un’energia che si espande, un bagliore che sembra appartenere alla Sicilia stessa, anche se lei viene dalla Calabria. È come se quest’isola l’avesse scelta, adottata, accesa.

Sul palco, Carmen porta una grazia che ipnotizza, una forza quieta e luminosa che trasforma la fragilità in potenza. La sua sordità non è mai stata uno scudo: è diventata un varco. «Io mi sono sempre sentita una ballerina come tutte le altre - racconta -. Anzi, a un certo punto ho capito che ero unica. E questo mi ha dato forza». Ha iniziato a danzare a quattro anni. Non sentiva con le protesi - era troppo piccola - ma percepiva la musica attraverso il corpo, come un’onda che le attraversava il petto. «La musica la sentivo dentro di me. Era una sensazione bellissima», ricorda. Crescendo, si innamora di Mozart: «Lo ascoltavo a casa e mi faceva stare bene. Ho capito che senza musica io non potevo esistere».

Oggi, quando balla, usa le protesi, certo, ma il suo vero radar sono gli occhi. Il palco vibra sotto i piedi, le linee dei colleghi diventano segnali, la luce è una mappa. «Essere l’unica sorda in un teatro così grande è una responsabilità enorme - dice -. Devo essere sempre attentissima, i miei occhi sentono».

E se il corpo di ballo offre un sostegno collettivo, per lei non è mai semplice: «È più difficile stare perfettamente allineati, rispettare tempi e linee. Ma quando riesco è una gioia infinita». A livello italiano è la prima ballerina sorda a far parte del corpo di ballo di un teatro lirico. Sul palco Carmen vive due vite: quella della ballerina che danza in gruppo, attenta a incastri, linee, respiri condivisi, e quella della solista, dove tutto sembra più libero ma diventa, per lei, più impegnativo. Perché quando è sola in scena non può contare sul coro dei corpi intorno: deve essere ritmo e appoggio, tempo e misura. Eppure, proprio lì, quando si stacca dal corpo di ballo, accade la magia. L’energia si addensa, gli occhi brillano di una specie di quiete interiore, e il pubblico -senza capirne il motivo - trattiene il fiato.

Il Teatro Massimo la emoziona ogni volta. Il suo respiro si accorda a un luogo che porta secoli di storia e che oggi ospita anche la sua. «È un teatro antico, pieno di vita. Mi sento felice, ma anche responsabile. Mi piacerebbe lavorare qui anche in futuro. E mi piacerebbe creare una maggiore complicità, una maggiore sintonia, che spesso manca tra noi danzatori». Carmen, lotta anche per questo. Per creare un ambiente più sano anche se naturalmente ed altamente competitivo. La sua presenza all’interno di un corpo di ballo è importante. Non è solo, una questione di inclusione personale.

Lei vorrebbe proprio "stravolgere" positivamente dall’interno questo corpo di ballo, rendendolo quanto più simile ad una famiglia. Utopia? Forse. Ma lei non smette di credere che ció sia possibile. Ogni ingresso in scena le ricorda il percorso che l’ha portata fin qui: anni di sacrifici, viaggi interminabili con il padre che la accompagnava ovunque, audizioni mancate, porte chiuse e poi riaperte. Una volta, qualcuno le disse che non avrebbe mai potuto fare la ballerina professionista perché non “perfetta”. Lei ci rimase male, ma non si fermò. «I miei genitori mi hanno detto di non abbattermi. Così ho continuato».

A diciannove anni decide di lasciare Napoli per Roma: «Avevo paura, ma volevo diventare autonoma. È stata la scelta che mi ha fatto crescere». Dopo due anni impegnativi all’Opera di Roma, continua a perfezionarsi ovunque: Emilia-Romagna, workshop, corsi, viaggi. Una corsa in avanti che non si è mai interrotta. Nel 2013 arriva l’ingresso all’Arena di Verona, dove lavora ogni estate e dove proprio d’estate lei danza sotto il cielo immenso che amplifica ogni vibrazione.

Poi nel 2016 l’ingresso al Teatro Massimo: un contratto a tempo che scade a febbraio, ma che per lei rappresenta un sogno concreto, meritatissimo. Tra le opere che ha danzato, quella che porta nel cuore è il Don Chisciotte, la più ritmata e vivace: «Quando la musica è viva, io mi sento bene. È come se diventassi bambina».

Carmen sogna, un giorno, di creare uno spettacolo tutto suo. È un sogno grande. Immagina un racconto sulla sordità ambientato in Sicilia, con le sue immagini, i suoi simboli, magari con un riferimento all’acqua. L’acqua, simbolo siciliano per una scenografia emotiva, che è un luogo dove noi sentiamo tutto, e dove invece lei non sente nulla: e proprio lì, in quel contrasto, c’è una poesia potente. «Mi piacerebbe che questo spettacolo sott’acqua parlasse della mia vita». Immagina coreografie nell’acqua, un luogo dove le protesi non funzionano e il corpo diventa puro ascolto. Un videoclip, magari un film: «Sarebbe bello raccontare tutto, per mostrare che si può superare qualsiasi difficoltà»

Chi la guarda danzare lo capisce subito: Carmen è una forza gentile. Una tenacia che non graffia, ma incanta. E accanto a lei cammina Mirko, il fidanzato che la sostiene, la incoraggia, la ama con una semplicità ferma, da complice silenzioso. Lui è il suo primo tifoso, la sua colonna, colui che vede tutte le prove, che riconosce la stanchezza negli occhi e la trasforma in coraggio. Le chiedo cosa direbbe a una bambina siciliana timida, convinta di non avere abbastanza voce o abbastanza forza. Sorride, e risponde con la sua dolcezza determinata: «Se hai una vera passione, devi seguirla ogni giorno. Io da piccola guardavo le cassette di danza e desideravo essere come quelle ballerine. Non ho mai pensato di smettere. I sogni si raggiungono solo se non ti fermi mai».

Forse è proprio così: la danza sceglie chi la desidera davvero. E che il vero segreto è resistere: un provino non andato bene non è una porta chiusa, è solo un modo per allenare le gambe del cuore. Oggi Carmen ha 37 anni e vive il suo sogno pienamente. Ballare quasi tutti i giorni della settimana, vivere in una città che l’ha accolta, essere parte di un grande teatro, uno dei più belli al mondo, conquistare con il silenzio ciò che molti inseguono con il rumore. E quando le chiedo se è felice, sorride con quella luce che sembra appartenere alla Sicilia stessa: «Sì, sono felice di ballare qui al Teatro Massimo» dice. E la sua felicità brilla con la stessa luce che porta negli occhi quando danza: una luce che è Calabria e Sicilia, Sud, respiro, coraggio.

Carmen è la prova vivente che la disabilità può diventare un punto di forza, una lente speciale attraverso cui vedere il mondo. Una promessa alle generazioni future: credere sempre nella propria voce, anche quando sembra non esserci. Perché la musica, quella vera, arriva comunque. Basta imparare a sentirla.
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