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Qui "lavorava" la leggendaria Trimmutura: ora dà il nome a una (vera) pizza siciliana

Il recupero del metodo tradizionale con cui si realizzava la pizza nell'Isola arriva tra le mura di un palazzo storico di Palermo. Nel menu anche l'omaggio a una delle prostitute più conosciute della città

Balarm
La redazione
  • 5 gennaio 2022

Pizza siciliana

Raccontare la storia di un luogo attraverso il cibo non è una cosa che si può improvvisare, nasce da uno studio accurato, dalla ricerca dei sapori in grado di trasportare chi lo assaggia un po’ indietro nel tempo.

Realizzare la pizza siciliana, un metodo e un sapore molto distante dalla sua cugina più popolare, la napoletana, è un’arte quasi dimenticata, lasciata alle mani sapienti delle nostre nonne. La giusta sapidità, la giusta croccantezza, il sapore deciso dei suoi ingredienti. Un prodotto ancora poco conosciuto che però ha una sua storia, una sua dignità e soprattutto una identità forte.

Questa antica tradizione, già amata nel Trapanese, circa un mese fa è arrivata anche a Palermo, tra le mura storiche del Palazzo Santamarina, interamente recuperato per l’occasione. Un luogo riqualificato ma non stravolto, dove si distinguono nettamente ancora gli ambienti e i colori di un tempo, rivive grazie al progetto dell’imprenditore marsalese Ignazio Passalacqua, fondatore del marchio "Assud".
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Un imprenditore che punta alla valorizzazione dei prodotti del territorio ma anche della sua storia, con ricerche approfondite sulle materie prime, fornite da piccoli produttori locali, come sulle storie legate al luogo dove nasce la sua nuova pizzeria a Palermo, con un menu interamente dedicato alla pizza siciliana.

«La pizza con metodo siciliano nasce a Trapani alla fine del secondo dopoguerra – spiega Passalacqua - ed è molto popolare nei quartieri del centro storico e nella zona del porto, grazie al lavoro di decine di piccoli panificatori. La più tradizionale è la “Rianata”, ovvero l’origanata, per l'abbondanza di origano, altre componenti sono il pomodoro fresco di pennula, l’aglio di Nubia, il prezzemolo, le alici di Sciacca ed il pecorino siciliano. C'è anche la variante con la mozzarella, la “Rianella”».

Ma quello che fa la differenza è il metodo con cui questa viene realizzata. «È una pizza diversa da quella classica e decisamente molto diversa da quella napoletana - prosegue -. Si distingue innanzitutto per l’impasto, che prevede esclusivamente l’utilizzo di grano siciliano, con una consistente presenza di farina di grano duro».

Anche la lievitazione è diversa, «perché, dopo una prima maturazione - prosegue - avviene fatta riposare per 3 o 4 ore sulla pala della pizza. Ciò consente di avere una lievitazione più omogenea, considerato che questo secondo procedimento viene fatto quando le fibre sono già distese».

Ma la vera differenza sta nei condimenti, a partire dalla base dove, al posto della passata di pomodoro, la ricetta siciliana prevede l’utilizzo del pomodoro di pennula, cioè il pomodoro siccagno raccolto a grappoli e conservato in ambienti chiusi e ventilati per la maturazione.

Fra le pizze del menu c’è anche un omaggio all’antica storia del Palazzo Santamarina dove «secondo la tradizione – afferma il maestro pizzaiolo Livio Incandela- lavorava una delle prostitute più conosciute della città, la famosa "Trimmutura", che noi condiamo con capperi di pantelleria, olive giarraffe, pomodoro di pennula e tuma fresca».

Altra pizza dal nome particolare ed evocativo è la “Scruscio di cicale”: una focaccia con tutti gli ingredienti a crudo: mozzarella fiordilatte, pomodoro confit, cipollotto bianco, alici di Sciacca, origano e basilico. Ormai come è noto ad accompagnare le pizze, oltre che la birra, meglio se artigianale, anche il vino: «ne proponiamo alcuni della nostra etichetta – conclude - un Perricone, uno zibibbo secco e un grillo».
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