Qui sono nati talenti di serie A, ora trovi degrado: i campetti abbandonati di Palermo
Dal Solarium, casa storica dello Stella d'Oriente, al campo della Fincantieri: un reportage sugli impianti sportivi chiusi e inutilizzati. Le soluzioni del Comune

Lo striscione davanti al campo Solarium di via Messina Marine a Palermo
C’è un cancello chiuso in via Messina Marine. La ruggine copre la speranza, le erbacce crescono dove prima si correva, si cadeva, si rideva. È il Solarium, campo sportivo del quartiere Sant’Erasmo e storica casa dello Stella d’Oriente. E proprio lì - non dentro ma fuori, davanti ai lucchetti che sbarrano l’ingresso - si è tenuta un’assemblea su “Sport e spazio pubblico”.
Un incontro che più che un evento è sembrato un grido collettivo perché, come recitava lo striscione appeso al cancello: "Un campo che chiude è una città che esclude". Ad affermarlo - con voce calma ma determinata - erano più di trenta realtà cittadine, tra associazioni, educatori, allenatori, attivisti, residenti.
Tutti uniti dalla consapevolezza che lo sport non è solo gioco: è presenza, è cura, è comunità.
«Lo spazio pubblico e lo sport hanno una funzione educativa potente - ha detto Micol Sarà, una delle organizzatrici di Mediterraneo Antirazzista - ma a Palermo gli impianti vengono assegnati alle grandi società e non a quelle piccole realtà sociali e inclusive di cui abbiamo più bisogno e che, invece, vediamo scomparire una dopo l’altra. Chiudere un campo senza offrire un’alternativa è come spegnere una luce in un territorio già invisibile».
E “La città (in)visibile” di cui si è parlato non è solo un titolo, ma la lente con cui guardare Palermo. È il filo conduttore scelto per la XVIII edizione di Mediterraneo Antirazzista - nato nel 2008 per costruire ponti tra sport, cultura e diritti - che quest’anno ha deciso di cominciare proprio da qui: da un luogo dimenticato, che chiede di tornare a esistere.
Il Solarium è oggi sotto sequestro e rappresenta l'ennesimo pezzo di città che si sgretola tra incuria e dimenticanza: uno spazio che per tantissimo tempo ha ospitato partite, allenamenti, tornei, relazioni. È da qui che, anni fa, Daniele Montevago, attaccante del Perugia che ha esordito in Serie A con la Sampdoria nel 2022, ha iniziato a calciare i suoi primi palloni e a segnare i suoi primi gol. Un ragazzino di Palermo Est, come tanti, che correva su questo terreno di gioco oggi negato.
Allo Stella d’Oriente si giocava senza clamore, ma con la fame e la gioia che trasformano un impianto di periferia in un trampolino di lancio, quando ci sono allenatori che credono nei sogni e con tenacia tengono i cancelli aperti per tutti, senza distinzione. Oggi, però, quel cancello è chiuso. E con lui la possibilità che altri ragazzini, con la stessa fame e gli stessi desideri, trovino un posto da cui spiccare il volo per una vita lontana da un destino che in alcuni territori sembra segnato.
Uno smarrimento, quasi misto a rassegnazione, che si leggeva negli occhi dei presenti: in quelli di chi quel campo lo riconosce come casa, in quelli di chi lo attraversava ogni giorno, in quelli di chi lo respirava come un pezzo vivo di città. Occhi pieni di ricordi, ma anche di domande sospese, di rabbia pacata e di un amore ostinato per un’idea di Palermo che continua a mancare.
Perché il Solarium non è un caso isolato. Il capoluogo, infatti, da anni assiste alla lenta sparizione dei suoi impianti sportivi pubblici.
Senza preavviso, senza misure sostitutive immediate, senza ascolto. Come il campo della Fincantieri, all’Acquasanta: un altro spazio sottratto alla città e lasciato nel silenzio.
Un’altra porta chiusa, un’altra possibilità negata per la presenza di amianto. O come quello della Magione, nel cuore del centro storico, inutilizzabile da anni nonostante le promesse. O ancora come il campetto al Cep, dove lo sport è sempre stato presidio e che oggi continua a resistere solo grazie alla perseveranza delle associazioni che non si arrendono.
E così, tra un cancello sbarrato e un campo incolto, si fa largo una città che restringe i suoi margini di respiro, che toglie fiato proprio dove ce ne sarebbe più bisogno. A pagarne il prezzo sono le ragazze e i ragazzi dei quartieri, le società sportive di base, le scuole, le famiglie. Tutti quelli che, davanti a un campo aperto, vedevano una possibilità: ora, davanti a quei cancelli sbarrati, vedono soltanto un’assenza.
Palermo è tra le ultime città italiane per rapporto tra aree sportive pubbliche e giovani residenti.
Solo nell’ultimo anno, decine di società dilettantistiche hanno dovuto interrompere le attività o ridurle drasticamente. Una restrizione sempre più grave di luoghi di libertà, incontro, aggregazione e crescita, che lascia le periferie in balìa di se stesse.
«Lo dico con senso di sconfitta, oggi siamo una delle ultime città d’Italia per spazi pubblici attrezzati per lo sport destinati ai minori. Solo 2,7 metri quadrati a ragazzo. Quando chiude un campo è quindi una tragedia enorme perché migliaia di giovani non possono più giocare. Ma il problema non è trovare la soluzione: la soluzione si trova, se la si vuole davvero» dichiara il consigliere della prima circoscrizione e promotore di Mediterraneo Antirazzista Massimo Castiglia, consegnando all’amministrazione un gesto simbolico e concreto.
«Oggi abbiamo portato i nostri ferri - continua indicando pali, canestri, porte da calcio accatastate appositamente per l’occasione -. Sono i ferri del Mediterraneo Antirazzista, quelli che servono davvero. Perché abbiamo bisogno di spazi aperti, senza barriere, di cui si prendano cura i ragazzi stessi che li usano e li vivono. Se non interveniamo adesso, continueremo a leggere fatti di cronaca terribili come quelli di Monreale e i ferri saranno nuovamente altri».
A raccogliere l’appello è stato l’assessore allo Sport Alessandro Anello, presente all’assemblea insieme all’assessora alle Politiche sociali Mimma Calabrò: «Lo sport è un diritto - ha detto Anello - e uno strumento fondamentale non solo per la salute, ma per la coesione sociale e per togliere i ragazzi dalla strada.
Come amministrazione stiamo lavorando per ottenere quanti più luoghi possibili, soprattutto nelle periferie, dove servono aree dedicate allo sport di base e di comunità. Vogliamo metterle in funzione a breve».
Anello ha ricordato gli interventi in corso: un progetto di riqualificazione al Cep in un’area dello Iacp (Istituto autonomo case popolari), che diventerà un campo da calcio a 5 grazie al sostegno dello Iacp stesso e del Palermo Calcio e alla gestione affidata a una realtà del territorio; l’apertura, prevista per il 16 maggio, di un nuovo spazio per basket e calcio all’Albergheria; il campo già in funzione allo Sperone.
«Stiamo pagando venticinque anni di abbandono - ha aggiunto - e molte strutture, come questa del Solarium, non hanno i requisiti minimi per essere aperti. In questo caso, la struttura è anche su un’area demaniale e quindi regionale, ma mi impegno ad aprire un’interlocuzione con la Regione per trovare una soluzione.
Intanto stiamo cercando di offrire spazi alternativi alle squadre che non hanno più un impianto sportivo dove allenarsi, e di sostenere le associazioni con risorse e progetti specifici. L’ascolto dei territori è attivo, confrontiamoci in qualsiasi momento».
Mentre le parole scorrevano tra microfoni e un silenzio attivo, a terra restavano i ferri accatastati dai ragazzi del Mediterraneo: strumenti di gioco, certo, ma anche bandiere silenziose di un confronto che non può più aspettare.
Perché un campo chiuso non è solo una rete arrugginita o una porta senza pallone, è una soglia che si chiude in faccia a un’intera generazione: aprirla non è solo una questione di sport, ma di giustizia sociale.
Una città che non gioca più, d’altronde, è una città che rinuncia al suo domani. Nell'assemblea, però, davanti a quel cancello, la Palermo più autentica ha ricordato a se stessa che il fischio finale della partita in corso non si è sentito. Non ancora.
Un incontro che più che un evento è sembrato un grido collettivo perché, come recitava lo striscione appeso al cancello: "Un campo che chiude è una città che esclude". Ad affermarlo - con voce calma ma determinata - erano più di trenta realtà cittadine, tra associazioni, educatori, allenatori, attivisti, residenti.
Tutti uniti dalla consapevolezza che lo sport non è solo gioco: è presenza, è cura, è comunità.
«Lo spazio pubblico e lo sport hanno una funzione educativa potente - ha detto Micol Sarà, una delle organizzatrici di Mediterraneo Antirazzista - ma a Palermo gli impianti vengono assegnati alle grandi società e non a quelle piccole realtà sociali e inclusive di cui abbiamo più bisogno e che, invece, vediamo scomparire una dopo l’altra. Chiudere un campo senza offrire un’alternativa è come spegnere una luce in un territorio già invisibile».
E “La città (in)visibile” di cui si è parlato non è solo un titolo, ma la lente con cui guardare Palermo. È il filo conduttore scelto per la XVIII edizione di Mediterraneo Antirazzista - nato nel 2008 per costruire ponti tra sport, cultura e diritti - che quest’anno ha deciso di cominciare proprio da qui: da un luogo dimenticato, che chiede di tornare a esistere.
Il Solarium è oggi sotto sequestro e rappresenta l'ennesimo pezzo di città che si sgretola tra incuria e dimenticanza: uno spazio che per tantissimo tempo ha ospitato partite, allenamenti, tornei, relazioni. È da qui che, anni fa, Daniele Montevago, attaccante del Perugia che ha esordito in Serie A con la Sampdoria nel 2022, ha iniziato a calciare i suoi primi palloni e a segnare i suoi primi gol. Un ragazzino di Palermo Est, come tanti, che correva su questo terreno di gioco oggi negato.
Allo Stella d’Oriente si giocava senza clamore, ma con la fame e la gioia che trasformano un impianto di periferia in un trampolino di lancio, quando ci sono allenatori che credono nei sogni e con tenacia tengono i cancelli aperti per tutti, senza distinzione. Oggi, però, quel cancello è chiuso. E con lui la possibilità che altri ragazzini, con la stessa fame e gli stessi desideri, trovino un posto da cui spiccare il volo per una vita lontana da un destino che in alcuni territori sembra segnato.
Uno smarrimento, quasi misto a rassegnazione, che si leggeva negli occhi dei presenti: in quelli di chi quel campo lo riconosce come casa, in quelli di chi lo attraversava ogni giorno, in quelli di chi lo respirava come un pezzo vivo di città. Occhi pieni di ricordi, ma anche di domande sospese, di rabbia pacata e di un amore ostinato per un’idea di Palermo che continua a mancare.
Perché il Solarium non è un caso isolato. Il capoluogo, infatti, da anni assiste alla lenta sparizione dei suoi impianti sportivi pubblici.
Senza preavviso, senza misure sostitutive immediate, senza ascolto. Come il campo della Fincantieri, all’Acquasanta: un altro spazio sottratto alla città e lasciato nel silenzio.
Un’altra porta chiusa, un’altra possibilità negata per la presenza di amianto. O come quello della Magione, nel cuore del centro storico, inutilizzabile da anni nonostante le promesse. O ancora come il campetto al Cep, dove lo sport è sempre stato presidio e che oggi continua a resistere solo grazie alla perseveranza delle associazioni che non si arrendono.
E così, tra un cancello sbarrato e un campo incolto, si fa largo una città che restringe i suoi margini di respiro, che toglie fiato proprio dove ce ne sarebbe più bisogno. A pagarne il prezzo sono le ragazze e i ragazzi dei quartieri, le società sportive di base, le scuole, le famiglie. Tutti quelli che, davanti a un campo aperto, vedevano una possibilità: ora, davanti a quei cancelli sbarrati, vedono soltanto un’assenza.
Palermo è tra le ultime città italiane per rapporto tra aree sportive pubbliche e giovani residenti.
Solo nell’ultimo anno, decine di società dilettantistiche hanno dovuto interrompere le attività o ridurle drasticamente. Una restrizione sempre più grave di luoghi di libertà, incontro, aggregazione e crescita, che lascia le periferie in balìa di se stesse.
«Lo dico con senso di sconfitta, oggi siamo una delle ultime città d’Italia per spazi pubblici attrezzati per lo sport destinati ai minori. Solo 2,7 metri quadrati a ragazzo. Quando chiude un campo è quindi una tragedia enorme perché migliaia di giovani non possono più giocare. Ma il problema non è trovare la soluzione: la soluzione si trova, se la si vuole davvero» dichiara il consigliere della prima circoscrizione e promotore di Mediterraneo Antirazzista Massimo Castiglia, consegnando all’amministrazione un gesto simbolico e concreto.
«Oggi abbiamo portato i nostri ferri - continua indicando pali, canestri, porte da calcio accatastate appositamente per l’occasione -. Sono i ferri del Mediterraneo Antirazzista, quelli che servono davvero. Perché abbiamo bisogno di spazi aperti, senza barriere, di cui si prendano cura i ragazzi stessi che li usano e li vivono. Se non interveniamo adesso, continueremo a leggere fatti di cronaca terribili come quelli di Monreale e i ferri saranno nuovamente altri».
A raccogliere l’appello è stato l’assessore allo Sport Alessandro Anello, presente all’assemblea insieme all’assessora alle Politiche sociali Mimma Calabrò: «Lo sport è un diritto - ha detto Anello - e uno strumento fondamentale non solo per la salute, ma per la coesione sociale e per togliere i ragazzi dalla strada.
Come amministrazione stiamo lavorando per ottenere quanti più luoghi possibili, soprattutto nelle periferie, dove servono aree dedicate allo sport di base e di comunità. Vogliamo metterle in funzione a breve».
Anello ha ricordato gli interventi in corso: un progetto di riqualificazione al Cep in un’area dello Iacp (Istituto autonomo case popolari), che diventerà un campo da calcio a 5 grazie al sostegno dello Iacp stesso e del Palermo Calcio e alla gestione affidata a una realtà del territorio; l’apertura, prevista per il 16 maggio, di un nuovo spazio per basket e calcio all’Albergheria; il campo già in funzione allo Sperone.
«Stiamo pagando venticinque anni di abbandono - ha aggiunto - e molte strutture, come questa del Solarium, non hanno i requisiti minimi per essere aperti. In questo caso, la struttura è anche su un’area demaniale e quindi regionale, ma mi impegno ad aprire un’interlocuzione con la Regione per trovare una soluzione.
Intanto stiamo cercando di offrire spazi alternativi alle squadre che non hanno più un impianto sportivo dove allenarsi, e di sostenere le associazioni con risorse e progetti specifici. L’ascolto dei territori è attivo, confrontiamoci in qualsiasi momento».
Mentre le parole scorrevano tra microfoni e un silenzio attivo, a terra restavano i ferri accatastati dai ragazzi del Mediterraneo: strumenti di gioco, certo, ma anche bandiere silenziose di un confronto che non può più aspettare.
Perché un campo chiuso non è solo una rete arrugginita o una porta senza pallone, è una soglia che si chiude in faccia a un’intera generazione: aprirla non è solo una questione di sport, ma di giustizia sociale.
Una città che non gioca più, d’altronde, è una città che rinuncia al suo domani. Nell'assemblea, però, davanti a quel cancello, la Palermo più autentica ha ricordato a se stessa che il fischio finale della partita in corso non si è sentito. Non ancora.
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