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Scampata alla guerra, scalzò l'opera del siciliano Minniti: la Madonna del Rosario di Van Dyck

A Palermo in pochi la conoscono, capolavoro autentico di A.Van Dyck (le altre opere sono di solito attribuzioni) è un tesoro nascosto nei vicoli della città antica

Maria Oliveri
Storica, saggista e operatrice culturale
  • 28 febbraio 2022

Tra i vicoli a ridosso della Cala - l’antico porto di Palermo - e a poca distanza dallo storico mercato della Vucciria, sorge quasi celato alla vista dei passanti, l’oratorio del Rosario di San Domenico, sede dalla fine del XVI secolo dell’omonima Compagnia.

Basta percorrere le lisce basole dell’angusta Via dei Bambinai (un tempo animata dalla presenza di artigiani che creavano Gesù bambini ed ex voto in cera) e salire un paio di gradini, per ritrovarsi a varcare la soglia di un vero e proprio scrigno d’arte: una piccola cappella, dal pavimento in maiolica, a motivi di squame di pesce bianche e nere, con le pareti rivestite di damasco color porpora, decorata con opere pittoriche, affreschi, statue in stucco bianco arricchite da dorature…Un trionfo di ricchezza e bellezza, voluto dai confrati della compagnia per celebrare la Madonna del Rosario.

È sorprendente come, in uno spazio così intimo e raccolto, tante presenze artistiche e tanti linguaggi diversi si incontrino, dando vita a sito barocco di altissimo livello. Gioacchino Di Marzo scrisse che quello del Rosario in San Domenico era uno dei più ragguardevoli oratori della città: oltre ai palpitanti stucchi di Giacomo Serpotta numerose erano le “preziose dipinture d’insigni artefici siciliani e stranieri” da Pietro Novelli a Guglielmo Borremans, Da Matthias Stom ad Antoon Van Dyck.
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Scultura e pittura, come nel vicino oratorio del rosario di Santa Cita, rappresentano e celebrano i misteri del Rosario e l’apparato decorativo realizzato da Giacomo Serpotta fu concepito proprio come valorizzazione della “quadreria”, con un continuo rimando semantico tra le tele e le statue allegoriche.

Sull’altare era stata collocata nel 1621 una tela del pittore siracusano Mario Minniti ma nel giro di poco tempo però l’opera di questo siciliano, grande amico del Caravaggio, non venne più ritenuta all’altezza, per vari motivi, tra cui il più incalzante era la necessità di inserire anche Santa Rosalia, dopo la miracolosa cessazione della peste. Il dipinto del Minniti venne sostituito dalla tela di Antoon Van Dyck, pittore fiammingo di Anversa, allievo di Rubens: si tratta di una delle opere più importanti realizzate durante la sua permanenza in Italia.

Nel 1621, a soli 22 anni, il giovane pittore era giunto nella penisola per completare il viaggio di formazione, caratteristico di tutti i grandi pittori fiamminghi. Giunto a Genova gli erano stati commissionati numerosi ritratti: bambini, gruppi familiari, uomini a cavallo. Nel 1624 era stato chiamato a Palermo da Emanuele Filiberto di Savoia, vicerè di Sicilia, per eseguirne il ritratto. La permanenza in città, che nelle intenzioni dell’artista doveva inizialmente essere breve, si protrasse invece per oltre un anno, probabilmente a causa del propagarsi della peste.

Frutto di questo periodo siciliano è una vasta collezione di opere pittoriche, disperse ormai per tutto il mondo e il ritratto, nel suo Taccuino Italiano, della celebre pittrice cremonese Sofonisba Anguissola, moglie di Orazio Lomellino, console della Nazione Genovese a Palermo. La pittrice, quasi centenaria ci vedeva poco, ma era ancora lucida, affabile e generosa di consigli per il giovane Van Dyck.

Questi, verso la fine del suo soggiorno nel capoluogo, il 22 Agosto del 1625, venne incaricato dalla compagnia del Rosario in San Domenico di dipingere una grande pala d'altare per l'oratorio. Il quadro, secondo la richiesta dei committenti, doveva raffigurare la Madonna con tre santi domenicani (San Domenico, Santa Caterina da Siena, San Vincenzo Ferreri), le quattro antiche patrone della città (Oliva, Ninfa, Agata e Cristina) e la nuova patrona, Rosalia, le cui ossa portate in processione avevano miracolosamente fermato la peste.

Il contratto prevedeva la consegna entro sei mesi, ma le cose andarono diversamente: Van Dyck partì il 3 Settembre del 1625 e la tela giunse per mare da Genova solo 3 anni dopo, nell’Aprile del 1628. Venne collocata sull’altare e a causa delle grandi dimensioni non è mai più stata spostata, ad eccezione del periodo in cui, durante la seconda guerra mondiale venne trasportata al monastero benedettino di San Martino delle Scale, per essere messa in salvo dalla devastazione dei bombardamenti angloamericani.

La composizione dell’opera affollata di cherubini, Santi e Sante è splendida, per i suoi accesi cromatismi e per l’affascinante opulenza delle figure femminili. Sant’Agata, in ginocchio ai piedi della Vergine, occupa una posizione privilegiata, confermandosi come prima tra le patrone. In primo piano sulla destra, statuaria e solenne come una matrona romana è Santa Oliva, dietro di lei, quasi defilate, sono Cristina e Oliva. Rosalia è in ginocchiata, e viene rappresenta di spalle, con la lunga fluente chioma bionda; accanto a lei un putto che si tura il naso tenta di fuggire dal maleodorante morbo della peste, simboleggiato da un teschio.

La Madonna del Rosario di Van Dyck ebbe una notevole influenza sugli artistici siciliani; basterà ricordare che a distanza di circa settant'anni anche la confraternita dell'oratorio del Rosario di Santa Cita desiderò una pala d’altare di pregio e ne incaricò la realizzazione al celebre Carlo Maratti (o Maratta)“principe dell’Accademia di San Luca”. L’opera è di identico soggetto a quella del Van Dyck e il Maratti inserì alcuni elementi ripresi dalla tela del pittore fiammingo, quali ad esempio la raffigurazione di spalle di santa Rosalia e il putto al centro della composizione.

Antoon Van Dyck morì a Londra a 42 anni nel 1641 e fu sepolto nella Cattedrale di San Paolo. La sua tomba andò distrutta pochi anni dopo, insieme alla chiesa, nel grande incendio del 1666. Di lui restano solo i suoi dipinti, sparsi tra musei e collezioni private di tutto il mondo, persino tra il guazzabuglio di vicoletti della Palermo di Una volta.
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