STORIE
Se vuoi fortuna tocca ferro: la passione di Alessandro, fra gli ultimi maniscalchi siciliani
Originario di Bagheria, da poco ha deciso di riporre nella cassetta degli attrezzi l’incudine, la forgia e la tenaglia, strumenti di un antico mestiere in via di estinzione

Il maniscalco Alessandro Clemente
Un mestiere purtroppo ormai in via di estinzione quello del siciliano Alessandro Clemente, 47 anni originario di Bagheria, che da poco ha deciso di riporre nella cassetta degli attrezzi l’incudine, la forgia e la tenaglia e di deporre così i suoi strumenti da maniscalco.
Il maniscalco è l'artigiano che esercita l’antica arte della mascalcia, ossia del pareggio e ferratura del cavallo e degli altri equini domestici (asino e mulo), che storicamente si sovrapponeva in parte a quella del fabbro perché i ferri venivano forgiati al momento, e su misura, secondo le necessità dei cavalli.
La scelta di Alessandro è un po’ la testimonianza di un’antica arte e di un patrimonio di conoscenze e saperi che si sta lentamente dissolvendo generazione dopo generazione e di un lavoro che, nel tempo, per sopravvivere, si è dovuto evolvere passando da mestiere prettamente fisso, in cui era il proprietario del cavallo che portava l’animale nella bottega dell’artigiano, a professione itinerante in cui è il maniscalco che si sposta e gira per i maneggi.
Grazie alla sua forte passione per il mondo equestre, Alessandro ha scelto di fare il maniscalco già da bambino, prima solo guardando con i suoi occhi i sapienti maestri del paese che lavoravano nelle loro botteghe, tanto che all’età di 12 anni vantava già la spilletta di aiutante di bottega e a 20, senza perdere tempo, si era già messo in proprio per applicare sul campo tutto quanto imparato.
Un mestiere umile, fatto prevalentemente di fatica fisica e di sacrifici, simbolo di una Sicilia rurale e prevalentemente agricola che per tanti anni ha fatto del traino del cavallo o dell’asino il suo principale mezzo di sostentamento, ma che oggi a quanto pare non è più considerato al passo con i ritmi dei tempi moderni.
«Quando ho iniziato io la figura del maniscalco era un’immagine quasi sacra, perché da quelle mani umane dipendeva praticamente la salute e la longevità del cavallo o l’efficienza delle sue performance agonistiche - dice Alessandro - Adesso invece, più che la vera arte della mascalcia si tratta di semplice applicazione e adattamento dei ferri che la grande industria produce e propone al mercato ippico».
Raspa, lima, coltellaccio, incastro e martello: questi gli attrezzi usati per pareggiare su misura gli zoccoli del cavallo. Il maniscalco infatti racchiudeva in sé un universo di saperi, oltre a quelli della forgiatura e della posatura dei ferri, perché in quanto figura responsabile della salute dell’animale doveva conoscere anche alcune nozioni di anatomia e ortopedia per la creazione all’interno della sua fucina di ferri terapeutici ad hoc, a seconda delle esigenze del cavallo.
A Palermo saranno circa una decina, o poco più, i maniscalchi attivi ancora oggi e che lavorano come la tradizione comanda, soprattutto grazie alla riattivazione del velodromo, mentre quasi nessuno nelle province. Quello del maniscalco insomma più che una professione era vissuta come una vera e propria passione, che trovava in ogni piccola bottega un micro mondo nel quale potersi esprimere e tramandare.
«Oggi purtroppo i ragazzi non sono più votati ai mestieri di sacrifico come una volta, ma soprattutto sono finiti i tempi in cui era lo stesso maniscalco che costruiva da se gli utensili per la forgiatura a causa dell’avvento delle tante ditte che producono dei ferri di misura standard da adattare poi sugli zoccoli dei cavalli».
Il maniscalco è l'artigiano che esercita l’antica arte della mascalcia, ossia del pareggio e ferratura del cavallo e degli altri equini domestici (asino e mulo), che storicamente si sovrapponeva in parte a quella del fabbro perché i ferri venivano forgiati al momento, e su misura, secondo le necessità dei cavalli.
La scelta di Alessandro è un po’ la testimonianza di un’antica arte e di un patrimonio di conoscenze e saperi che si sta lentamente dissolvendo generazione dopo generazione e di un lavoro che, nel tempo, per sopravvivere, si è dovuto evolvere passando da mestiere prettamente fisso, in cui era il proprietario del cavallo che portava l’animale nella bottega dell’artigiano, a professione itinerante in cui è il maniscalco che si sposta e gira per i maneggi.
Grazie alla sua forte passione per il mondo equestre, Alessandro ha scelto di fare il maniscalco già da bambino, prima solo guardando con i suoi occhi i sapienti maestri del paese che lavoravano nelle loro botteghe, tanto che all’età di 12 anni vantava già la spilletta di aiutante di bottega e a 20, senza perdere tempo, si era già messo in proprio per applicare sul campo tutto quanto imparato.
Un mestiere umile, fatto prevalentemente di fatica fisica e di sacrifici, simbolo di una Sicilia rurale e prevalentemente agricola che per tanti anni ha fatto del traino del cavallo o dell’asino il suo principale mezzo di sostentamento, ma che oggi a quanto pare non è più considerato al passo con i ritmi dei tempi moderni.
«Quando ho iniziato io la figura del maniscalco era un’immagine quasi sacra, perché da quelle mani umane dipendeva praticamente la salute e la longevità del cavallo o l’efficienza delle sue performance agonistiche - dice Alessandro - Adesso invece, più che la vera arte della mascalcia si tratta di semplice applicazione e adattamento dei ferri che la grande industria produce e propone al mercato ippico».
Raspa, lima, coltellaccio, incastro e martello: questi gli attrezzi usati per pareggiare su misura gli zoccoli del cavallo. Il maniscalco infatti racchiudeva in sé un universo di saperi, oltre a quelli della forgiatura e della posatura dei ferri, perché in quanto figura responsabile della salute dell’animale doveva conoscere anche alcune nozioni di anatomia e ortopedia per la creazione all’interno della sua fucina di ferri terapeutici ad hoc, a seconda delle esigenze del cavallo.
A Palermo saranno circa una decina, o poco più, i maniscalchi attivi ancora oggi e che lavorano come la tradizione comanda, soprattutto grazie alla riattivazione del velodromo, mentre quasi nessuno nelle province. Quello del maniscalco insomma più che una professione era vissuta come una vera e propria passione, che trovava in ogni piccola bottega un micro mondo nel quale potersi esprimere e tramandare.
«Oggi purtroppo i ragazzi non sono più votati ai mestieri di sacrifico come una volta, ma soprattutto sono finiti i tempi in cui era lo stesso maniscalco che costruiva da se gli utensili per la forgiatura a causa dell’avvento delle tante ditte che producono dei ferri di misura standard da adattare poi sugli zoccoli dei cavalli».
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