Si usava in Sicilia per un vino speciale: la (vera) mappa del gusto e del tempo
Il sistema di classificazione dei viticoltori marsalesi del XIX secolo può essere visto come un antesignano delle moderne pratiche enologiche. Ve lo raccontiamo
La storia del Marsala inizia nel 1773, quando il commerciante inglese John Woodhouse approdò nel porto di Marsala. Affascinato dal vino locale, decise di arricchirlo con acquavite per preservarne le caratteristiche durante il lungo viaggio verso l’Inghilterra.
Questo incontro tra l’arte vinicola siciliana e l’ingegno britannico diede vita al Marsala, un vino liquoroso destinato a conquistare il mondo. Nel XIX secolo, i viticoltori marsalesi svilupparono un sistema di classificazione basato su due criteri principali: gradazione alcolica e tempi di invecchiamento.
Questo approccio, pur non essendo una vera e propria “tavola periodica”, rappresentava una forma innovativa e pionieristica di sistematizzazione enologica.
Permetteva infatti di distinguere le diverse tipologie di Marsala – Fine, Superiore e Riserva – ognuna con caratteristiche uniche determinate dal tempo trascorso in botte e dal contenuto alcolico. Una delle innovazioni più significative fu l’adozione del metodo soleras, già utilizzato per la produzione di Sherry in Spagna.
Questo sistema prevedeva l’assemblaggio di vini di diverse annate, creando una continuità che arricchiva il profilo aromatico del Marsala. Il risultato era un vino complesso, armonioso e capace di evolversi nel tempo, riflettendo la maestria dei produttori e la ricchezza del territorio.
Nel 1833, Vincenzo Florio fondò le Cantine Florio a Marsala, portando avanti la tradizione vinicola siciliana con un approccio improntato all’innovazione.
Sotto la sua guida, l’azienda divenne un punto di riferimento nella produzione di Marsala, contribuendo a consolidarne la reputazione a livello internazionale.
Oggi, le Cantine Florio e altri produttori storici continuano a mantenere viva questa eredità, seguendo i metodi antichi ma guardando anche al futuro.
Quindi, il sistema di classificazione dei viticoltori marsalesi del XIX secolo può essere visto come un antesignano delle moderne pratiche enologiche, si trattava di una filosofia del vino che univa osservazione, esperienza e amore per la propria terra. In un bicchiere di Marsala c’è la Sicilia tutta: il sole, il vento, la terra, il mare e l’ingegno di uomini che hanno saputo trasformare il semplice mosto in un patrimonio culturale e sensoriale.
Questo vino non è solo un prodotto da degustare, ma un ponte tra passato e futuro, un esempio di come la pazienza, l’osservazione e la passione possano creare qualcosa di eterno.
Infatti, camminare tra i vigneti di Marsala è come entrare in un quadro vivente: il sole dorato bacia i grappoli, il vento porta il profumo salmastro del mare e, insieme, la terra restituisce il suo aroma dolce e antico.
È in questo scenario che i viticoltori del XIX secolo iniziarono a osservare con occhi da scienziati il loro nettare: misuravano la gradazione, annotavano i tempi di invecchiamento, classificavano le botti.
Non era solo lavoro, era amore, era alchimia, era poesia concreta. Il sistema che svilupparono, oggi chiamato “tavola periodica dei vini”, non è una semplice lista: è un’enciclopedia sensoriale, una mappa del gusto e del tempo. Ogni categoria di Marsala – Fine, Superiore, Vergine, Soleras, Riserva – racconta storie diverse.
Alcune note più amare, altre più dolci, alcune invecchiate con pazienza quasi monastica. Ogni bicchiere è una bottiglia di tempo, un assaggio di storia. Quello dei viticoltori marsalesi non era un tentativo di imitare la scienza moderna, ma di creare una scienza propria, legata alla natura, alla materia prima e all’esperienza quotidiana.
L’idea era semplice ma geniale: capire il vino in profondità, predire come si sarebbe evoluto, offrire ai bevitori un’esperienza coerente e memorabile. Questo approccio, messo in pratica dievrsi anni fa, ricorda il metodo scientifico, composto da tre momenti: osservazione, misurazione, categorizzazione.
Ma qui, l’oggetto dello studio non era astratto ma del tutto vivo: respirava, cambiava, invecchiava. Ancora oggi, visitando le cantine storiche come quelle dei Florio, si percepisce quell’odore di mosto, di legno, di storia.
Le botti raccontano le stesse storie di 200 anni fa: la loro memoria è intrisa di sogni, di speranze e di sapori. Dunque, c’è un messaggio potente che emerge da questa storia: la capacità dei siciliani di sorprendere il mondo.
Di trasformare la materia più semplice – l’uva, il sole, il vento – in un prodotto straordinario che racconta cultura, ingegno e bellezza. Ecco che ogni bicchiere di Marsala diviene un invito a rallentare, a sentire il profumo della storia, a vivere l’esperienza completa del vino come arte e scienza insieme, riportandoci in un viaggio senza tempo fatto di luci, sapori e profumi tutti siciliani!
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