STORIE
"Sogni di zenzero" dal Senegal alla Sicilia: la storia e le ricette (di vita) di Mareme
Una storia straordinaria che ne ha dentro tante altre. Piatti che fondono sapori di due cucine e di due culture, racchiusi nel libro scritto con la giornalista Lidia Tilotta

Mareme Cisse e Lidia Tilotta
Il cibo racconta storie e quella di Mareme Cisse è speciale come la sua cucina. Non è arrivata dal Senegal in Sicilia con un "viaggio della speranza" ma nell'Isola ha vissuto il suo inferno e a suo modo è riuscita a "salvarsi", a fondersi con la gente, le sue strade, i suoi colori. E soprattutto i suoi sapori.
«Il primo impatto non è stato semplice - racconta Mareme - perché non avevo messo in conto di lasciare la mia terra e la mia famiglia. Io non avrei mai pensato di emigrare e a casa mia stavo benissimo. Sono partita solo per raggiungere mio marito».
Una volta in Sicilia il «cibo è stata la mia ancora di salvezza e ho imparato a conoscere prodotti meravigliosi con i quali ho creato e sperimentato e lo faccio sempre di più».
Ed è così che la sua storia arriva a noi. Attraverso i suoi piatti. «Ho conosciuto Mareme a una cena organizzata dall’Arci nel suo ristorante ad Agrigento - racconta la giornalista e scrittrice Lidia Tilotta -. Abbiamo parlato e ho proposto di raccontare la sua storia in un servizio per Mediterraneo, la rubrica nazionale di Rai 3 curata dalla Tgr Sicilia».
Da questo incontro prende vita, poco a poco, "Sogni di zenzero", un libro che nasce e che cresce tra i fornelli di una cucina dove due donne si scambiano ricette e momenti di vita.
«Nonostante una iniziale diffidenza, alla fine ha accettato. Abbiamo scelto di cucinare insieme per iniziare il nostro rapporto - spiega Lidia - che ci ha portato a mesi di ascolto e scrittura. Lei doveva entrare nel mio mondo, quello delle parole e io nel suo, quello della cucina.
E soprattutto io dovevo diventare lei per raccontarla e quindi dovevo imparare a conoscerla. È stato complesso e bellissimo allo stesso tempo. E il nostro piatto, Sogni di zenzero, che ha anche dato il nome al libro, è buonissimo oltre che bellissimo».
Se si rimane in superficie, la vicenda di Mareme può sembrare simile a quelle di tante altre persone. Ma «non è solo interessante - racconta Lidia - erano tante storie in una sola».
I capitoli del libro sono momenti della sua vita, che hanno segnato il suo arrivo e la sua vita ad Agrigento. «In realtà con Mareme abbiamo da subito deciso che il suo percorso di vita sarebbe stato parallelo a quello delle ricette che l’hanno accompagnato - continua -.
E così ci sono i piatti della sua infanzia e adolescenza in Senegal, quelli che si è inventata arrivata ad Agrigento, quelli che l’hanno aiutata a vincere l’abbandono da parte del marito che l’aveva lasciata sola con quattro figli».
Una decisione che la stessa Mareme difende con forza: «Ho deciso di rimanere perché non volevo arrendermi. Perché questa ormai è casa mia e dei miei figli. Perché se si ha un mestiere quello ci salva. Io so fare bene una cosa: cucinare.
E con la cucina ho vinto le mie battaglie. Le comunità hanno capito, la senegalese all’inizio non senza difficoltà, ma è stato così. Io ho deciso di raccontare la mia storia per far capire alle donne che si può vincere puntando su sé stesse, su ciò che sappiamo fare. Il lavoro e l’indipendenza economica sono importantissimi».
E poi nel libro si trovano anche i piatti che le hanno fatto spiccare il volo, dando vita a una cucina diversa, che è sperimentazione e che riesce a fondersi in uno stupendo intreccio tra i sapori e gli ingredienti delle culture senegalese, francese e siciliana.
Sono cucine che hanno molti ingredienti in comune e altri molto diversi. «Alla base c’è però un grande rispetto per il cibo - spiega Lidia - In Senegal come in Sicilia il cibo è nutrimento dell’anima oltre che del fisico. Crea legami e fa comunità. Mareme è bravissima a fare incontrare nei suoi piatti le culture diverse valorizzando le materie prime del territorio. Non a caso il suo legame con Slow Food è molto profondo».
Mareme crea di continuo, sperimenta e innova. E il cibo diventa la dimostrazione del fatto che «se ci rinchiudiamo nei piccoli recinti ci inaridiamo - sottolinea la scrittrice - e se invece ci contaminiamo cresciamo, ci arricchiamo e conquistiamo spazi di felicità».
Per lei è importante «far capire come le chef e gli chef che arrivano dall’Africa o da altri continenti non debbano per forza fare cucina etnica e che la strada della sperimentazione è infinita. Non solo, ma la cucina è strumento di rivoluzione culturale in un mondo in cui gli squilibri sono sempre più grandi».
In questo senso il piatto che la rappresenta di più «forse è il cous cous - racconta Mareme -. È un piatto molto importante nella nostra cucina e lo è anche in quella siciliana. È un esempio vero di contaminazione. E poi è il piatto con cui ho vinto il cous cous fest che per me è stato una tappa importante del mio percorso».
Nella cucina di Mareme le spezie sono fondamentali perché la rappresentano così tanto da chiamare un mix particolare con lo stesso nome di sua mamma e di sua figlia Salamba: «Sono memoria che si evolve. Una miscela segreta che tale deve rimanere».
Nel capitolo "il diritto di volare" parla dell’impatto col razzismo e della voglia di far conoscere i propri piatti senza che il giudizio degli altri dipenda dal colore della pelle. Ce lo racconta così, un po' di malavoglia.
«Non amo parlarne in realtà - dice Mareme -. Il razzismo c’è ed è molto più diffuso di quanto non si pensi. Quando penso alla vicenda della scorsa estate con la coppia che si è alzata senza nemmeno ordinare dopo aver scoperto che ero nera penso che avrei voluto dire una cosa a quei signori: "Assaggiate la mia cucina e solo allora potrete giudicare".
Detto questo c’è anche tanta bellezza in giro e consapevolezza che il mix di culture non fa altro che far crescere la civiltà. Al contrario, alzare muri porta soltanto a un impoverimento progressivo delle nostre società».
Il cassetto dei sogni di Mareme ormai è aperto. Sicuramente almeno uno si è realizzato, con tenacia e sacrificio. E chissà se presto anche a Palermo arriverà il profumo delle sue preziose spezie.
«Il primo impatto non è stato semplice - racconta Mareme - perché non avevo messo in conto di lasciare la mia terra e la mia famiglia. Io non avrei mai pensato di emigrare e a casa mia stavo benissimo. Sono partita solo per raggiungere mio marito».
Una volta in Sicilia il «cibo è stata la mia ancora di salvezza e ho imparato a conoscere prodotti meravigliosi con i quali ho creato e sperimentato e lo faccio sempre di più».
Ed è così che la sua storia arriva a noi. Attraverso i suoi piatti. «Ho conosciuto Mareme a una cena organizzata dall’Arci nel suo ristorante ad Agrigento - racconta la giornalista e scrittrice Lidia Tilotta -. Abbiamo parlato e ho proposto di raccontare la sua storia in un servizio per Mediterraneo, la rubrica nazionale di Rai 3 curata dalla Tgr Sicilia».
Da questo incontro prende vita, poco a poco, "Sogni di zenzero", un libro che nasce e che cresce tra i fornelli di una cucina dove due donne si scambiano ricette e momenti di vita.
«Nonostante una iniziale diffidenza, alla fine ha accettato. Abbiamo scelto di cucinare insieme per iniziare il nostro rapporto - spiega Lidia - che ci ha portato a mesi di ascolto e scrittura. Lei doveva entrare nel mio mondo, quello delle parole e io nel suo, quello della cucina.
E soprattutto io dovevo diventare lei per raccontarla e quindi dovevo imparare a conoscerla. È stato complesso e bellissimo allo stesso tempo. E il nostro piatto, Sogni di zenzero, che ha anche dato il nome al libro, è buonissimo oltre che bellissimo».
Se si rimane in superficie, la vicenda di Mareme può sembrare simile a quelle di tante altre persone. Ma «non è solo interessante - racconta Lidia - erano tante storie in una sola».
I capitoli del libro sono momenti della sua vita, che hanno segnato il suo arrivo e la sua vita ad Agrigento. «In realtà con Mareme abbiamo da subito deciso che il suo percorso di vita sarebbe stato parallelo a quello delle ricette che l’hanno accompagnato - continua -.
E così ci sono i piatti della sua infanzia e adolescenza in Senegal, quelli che si è inventata arrivata ad Agrigento, quelli che l’hanno aiutata a vincere l’abbandono da parte del marito che l’aveva lasciata sola con quattro figli».
Una decisione che la stessa Mareme difende con forza: «Ho deciso di rimanere perché non volevo arrendermi. Perché questa ormai è casa mia e dei miei figli. Perché se si ha un mestiere quello ci salva. Io so fare bene una cosa: cucinare.
E con la cucina ho vinto le mie battaglie. Le comunità hanno capito, la senegalese all’inizio non senza difficoltà, ma è stato così. Io ho deciso di raccontare la mia storia per far capire alle donne che si può vincere puntando su sé stesse, su ciò che sappiamo fare. Il lavoro e l’indipendenza economica sono importantissimi».
E poi nel libro si trovano anche i piatti che le hanno fatto spiccare il volo, dando vita a una cucina diversa, che è sperimentazione e che riesce a fondersi in uno stupendo intreccio tra i sapori e gli ingredienti delle culture senegalese, francese e siciliana.
Sono cucine che hanno molti ingredienti in comune e altri molto diversi. «Alla base c’è però un grande rispetto per il cibo - spiega Lidia - In Senegal come in Sicilia il cibo è nutrimento dell’anima oltre che del fisico. Crea legami e fa comunità. Mareme è bravissima a fare incontrare nei suoi piatti le culture diverse valorizzando le materie prime del territorio. Non a caso il suo legame con Slow Food è molto profondo».
Mareme crea di continuo, sperimenta e innova. E il cibo diventa la dimostrazione del fatto che «se ci rinchiudiamo nei piccoli recinti ci inaridiamo - sottolinea la scrittrice - e se invece ci contaminiamo cresciamo, ci arricchiamo e conquistiamo spazi di felicità».
Per lei è importante «far capire come le chef e gli chef che arrivano dall’Africa o da altri continenti non debbano per forza fare cucina etnica e che la strada della sperimentazione è infinita. Non solo, ma la cucina è strumento di rivoluzione culturale in un mondo in cui gli squilibri sono sempre più grandi».
In questo senso il piatto che la rappresenta di più «forse è il cous cous - racconta Mareme -. È un piatto molto importante nella nostra cucina e lo è anche in quella siciliana. È un esempio vero di contaminazione. E poi è il piatto con cui ho vinto il cous cous fest che per me è stato una tappa importante del mio percorso».
Nella cucina di Mareme le spezie sono fondamentali perché la rappresentano così tanto da chiamare un mix particolare con lo stesso nome di sua mamma e di sua figlia Salamba: «Sono memoria che si evolve. Una miscela segreta che tale deve rimanere».
Nel capitolo "il diritto di volare" parla dell’impatto col razzismo e della voglia di far conoscere i propri piatti senza che il giudizio degli altri dipenda dal colore della pelle. Ce lo racconta così, un po' di malavoglia.
«Non amo parlarne in realtà - dice Mareme -. Il razzismo c’è ed è molto più diffuso di quanto non si pensi. Quando penso alla vicenda della scorsa estate con la coppia che si è alzata senza nemmeno ordinare dopo aver scoperto che ero nera penso che avrei voluto dire una cosa a quei signori: "Assaggiate la mia cucina e solo allora potrete giudicare".
Detto questo c’è anche tanta bellezza in giro e consapevolezza che il mix di culture non fa altro che far crescere la civiltà. Al contrario, alzare muri porta soltanto a un impoverimento progressivo delle nostre società».
Il cassetto dei sogni di Mareme ormai è aperto. Sicuramente almeno uno si è realizzato, con tenacia e sacrificio. E chissà se presto anche a Palermo arriverà il profumo delle sue preziose spezie.
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