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Spezie e "muddica atturrata": i trucchi (alla Paolina) della cucina penitenziale di Palermo

A Palermo, all'interno della cucina penitenziale tipica della Quaresima c'era la cucina alla "Paolina", che prende nome dal convento di San Francesco di Paola

Giovanna Gebbia
Esperta di turismo relazionale
  • 26 febbraio 2023

Pasta alla Paolina (foto di fornellidisicilia.it - Pinterest)

Vi raccontiamo una cucina molto particolare che a dispetto del nome nasconde ingegno e bontà: la cucina penitenziale ecclesiale.

Terminati i baccanali carnevaleschi del martedì grasso, il mercoledì delle ceneri apre l'austerità dei quaranta giorni quaresimali ai quali in Sicilia, come in tutto il Sud d’Italia, fanno seguito usanze e tradizioni che rimandano ad antichi precetti di penitenza che nel tempo si sono trasformati e dagli altari, sono scesi sulle tavole per diventare veri ricettari entrati a fare parte della nostra gastronomia storica.

La cucina penitenziale ha origini nel Medioevo quando la Quaresima veniva rappresentata come una vecchia con in mano un’aringa essiccata oppure come una vecchia magra, spettinata e scalza, con una corona di aglio testa, un piatto di acciughe o uno con due pesci in mano.

Un periodo nel quale non ci si poteva nutrire di cibi "grassi" e si andava di “magro”, anzi magrissimo, quindi carne vietata insieme a formaggi e rosso delle uova.
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Addirittura, si dice che ai tempi di Carlo Magno, chi non rispettava la regola era punito con la pena capitale. Poveri i trasgressori.

Palermo ovviamente non poteva mancare, città crogiolo di sfizi e vizi da buongustai pure in tempo di vacche magre, e all’interno della cucina penitenziale palermitana c’era la cucina alla "Paolina", che prende nome dal convento Di San Francesco di Paola.

Nell'Ordine dei Minimi fondato da San Francesco di Paola, i frati osservavano le regole della "vita quaresimale": cibarsi di vegetali crudi o cotti tra erbe o ortaggi e l’astenersi totalmente dal mangiare carne, latte, uova e formaggi, grassi in generale oltre alle normali regole di obbedienza, povertà e castità.

Le verdure e i legumi erano di solito cavoli, cavolfiori, ceci, fave e cicerchie, oltre alle verdure spontanee raccolte nei campi dove abbondavano soprattutto in primavera. L'alimentazione dei conventi comprendeva però il pane, la pasta e anche il pesce detto povero, come sarde o acciughe.

La caratteristica era l'aggiunta di spezie presenti nei piatti: cannella, chiodi di garofano, noce moscata, zafferano e semi di finocchietto selvatico erano il condimento e il completamento di ogni piatto.

Una delle versioni di ricetta di Pasta alla Paolina sembra sia nata proprio tra le mura dell'antico monastero di Palermo, ed entrata nella gastronomia della cucina popolare casalinga.

Gli ingredienti erano: la pasta - i maccarruna fatti in casa, ma anche acquistati negli stessi conventi dove si producevano - abbondante cipolla, olio, sarde salate o fresche se era il tempo, spezie.

Con le cipolle si faceva un sostanzioso soffritto dentro il quale si scioglievano le sarde, poi con qualche cucchiaio di acqua della pasta si addensava il condimento che si aggiustava con le spezie (di solito cannella e chiodi di garofano, semi di finocchietto).

Una volta cotta la pasta, questa veniva condita con la salsa e servita prima ai confrati e successivamente alla tavole delle famiglie palermitane.

Altra versione di condimento alla paolina, cucinato dalle suore, era quella a base di verdure. In questo caso dopo aver preparato un abbontante soffritto di cipolle bianche, si scioglievano prima le sarde salate o fresche e infine si aggiungeva la verdura: a Palermo i cosiddetti sparaceddri andavano per la maggiore, ma anche cicoria e sinapi.

Tutto comunque veniva profumato con l'abbondanza delle spezie.

La variante con "il pomodoro" ovviamente arriverà con la scoperta delle Americhe, quando questo da ortaggio velenoso divenne, invece, prezioso e quasi onnipresente per la gastronomia del sud.

Per completare davvero un'autentica pasta alla Paolina immancabile è la "muddica atturrata".

Quel bel pan grattato fritto dorato in olio d'oliva, che in Sicilia non è uno dei sostituti del formaggio nel condimento delle paste come si crede, ma è un vero e proprio espediente gastronomico geniale come la versione con la mollica fresca sbriciolata, impastata con aglio pestato e prezzemolo tritato, pepe nero e olio usato spesso sui ragù di pesce.

Piccole gioie della cucina penitenziale che per il lungo periodo quaresimale precedente la Pasqua, pur non potendo essere contaminata, trovava l'espediente più ingegnoso per dare sollievo ai palati più sofferenti della privazione al desco.

Poi, come ben sappiamo, trascorso l'arco temporale di privazione arrivava il trionfo della gola e i conventi si trasformavano in luoghi di perdizione tra dolci e manicaretti che riscattavano e allietavano il palato e il cuore.

Ma questa è tutta un'altra storia.
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