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Sua mamma ha 90 anni e ancora lo aspetta: così Vincenzo Fiore è "ritornato" a casa

La sorte dei "desaparecidos" toccò anche a 45 italiani, e di questi, sei erano siciliani. Uno di loro è "tornato" (simbolicamente) nel suo borgo in provincia di Palermo

Sara Abello
Giornalista
  • 13 settembre 2023

Uno striscione con i volti di alcuni desaparecidos

Lo scrittore argentino Jorge Luis Borges diceva: «A volte penso di non essere argentino, dato che non ho nè sangue nè cognome italiano». Come dargli torto?!

La storia dell’Italia è legata a doppio nodo con buona parte dei paesi dell’America del Sud, in particolar modo Venezuela e Argentina. Quanti meridionali, siciliani soprattutto, non hanno avuto qualche antenato che ha attraversato l’oceano in cerca di fortuna? Vale per me e per voi.

Spesso però, tutto si trovava, meno che quella fortuna tanto sperata. Questa è la storia di sei siciliani, di uno in particolar modo; ma anche di tantissime persone: 30.000 individui presi con la forza e fatti sparire, nella maggior parte dei casi per sempre.

Questa è la storia di Vincenzo Fiore, desaparecido a Quilmes, figlio della nostra isola e di mamma Giuseppa che ancora oggi, ultra novantenne, tutti i giovedì si reca in Plaza de Mayo al centro di Buenos Aires, di fronte la sede del governo argentino, per chiedere verità e giustizia non solo per suo figlio ma per tutti gli altri desaparecidos.
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Perchè non si perda la memoria e questi eventi non si ripetano mai più. Nunca más! Il 24 marzo del 1976 l’Argentina fu travolta da un colpo di stato che instaurò quel regime rivelatosi negli anni come il più sanguinoso tra quelli dittatoriali dell’America latina.

Le conseguenze furono nefaste e lasciò uno strascico di morte e dolore che vive ancora oggi, non solo in quella parte di mondo. Chiunque venisse considerato nemico del governo era etichettato come "sovversivo" e per questo eliminato.

Peccato però che fosse necessario davvero poco, un semplice mormorìo, perchè questo marchio finisse sulla testa di molti, troppi. La sorte dei desaperecidos toccò anche 45 italiani di nascita, e di questi, sei erano siciliani: Salvatore Privitera da Grammichele, in provincia di Catania; Claudio Di Rosa da Piazza Armerina e Giovanni Camiolo da Valguarnera Caropepe, in provincia di Enna; Giuseppe Vizzini da Comiso, in provincia di Ragusa; Silvana Cambi nata in Libia ma da genitori siciliani; Vincenzo Fiore da San Mauro Castelverde, in provincia di Palermo.

Per Fiore, proprio di recente, nel suo paese di origine è stata posta una targa ad imperitura memoria. Vincenzo Fiore nacque a San Mauro Castelverde nel 1950 da Giuseppa Gallà e Mauro Fiore, quando aveva appena un anno la sua famiglia si trasferì in Argentina con la speranza di avere un futuro migliore.

Una storia comune a tanti, fatta spesso di "richiami" di amici e parenti emigrati per primi che invitavano coloro che erano rimasti in Italia a raggiungerli per far fortuna come loro. La famiglia Fiore si stabilì a Quilmes dove diede alla luce altri figli e riuscì così a mettere solide radici.

Una volta cresciuto, Vincenzo si mise a lavorare come operaio nella vicina fabbrica Peugeot. Ben presto divenne attivista sindacale militando anche nel partito socialista dei lavoratori: questa la sua unica “colpa”. Fu infatti associato al regime peronista perchè sovente i sindacati erano di quella natura.

In quello spaccato storico le stesse fabbriche avevano al loro interno centri di detenzione e guardie alle quali venivano segnalati i facinorosi, o più spesso solo presunti tali, che finivano così prigionieri in attesa che poi la polizia argentina li arrestasse.

Poco prima di quel 23 settembre 1977, giorno in cui Vincenzo Fiore venne prelevato dalle forze armate e dalla polizia argentina nella sua casa di Quilmes, vi era stato un attentato ad una fabbrica Peugeot vicina a quella in cui lavorava. Questo forse il pretesto, perchè giusto un pretesto era sufficiente, a causa del quale di lui non si ebbero più tracce.

Così di Vincenzo non è rimasto nulla, se non la sua storia e il ricordo di sua madre, rimasta una delle poche Madres de Plaza de Mayo ancora in vita, e della sorella Lilian, all’epoca poco più che bambina. Quei prigionieri venivano uccisi con varie modalità, quella più ricordata per la sua crudeltà ancora oggi è il cosiddetto "vuelo de la muerte", il volo della morte di questi uomini e donne che, drogati, venivano caricati su aerei e scaricati in mare ancora vivi.

Gli aerei si levano in volo dall’aeroporto Jorge Newbery di Buenos Aires, sul Rio de la Plata, all’epoca militare, e da lì i prigionieri non facevano più ritorno, lasciando le famiglie senza un corpo, a chiedersi per i decenni a venire quale sorte fosse toccata loro.

La storia dei desaparecidos siciliani giunge a noi grazie ad un altro nostro conterraneo: Alberto Todaro, agrigentino, professore di inglese alle scuole medie e autore di libri. Todaro, nell’ambito di un dottorato di ricerca sui fenomeni dell’emigrazione promosso dall’Università spagnola di Granada, non solo ha effettuato studi approfonditi, ma ha trascorso un intero mese in Argentina.

Lì ha avuto modo di conoscere da vicino, attraverso il ricordo e le ricostruzioni di mamma Giuseppina e sua figlia Lilian, la storia e gli accadimenti che hanno fatto di Vincenzo uno dei tanti, troppi, desaparecidos.

«Dopo tre anni di ricerca delle loro notizie, ho instaurato un ideale rapporto di "amicizia" con quelli che chiamo "i miei desaparecidos" - così li definisce Todaro - che ormai fanno parte dei miei pensieri quotidiani».

Dalla sua sensibilità, toccata da questi studi e dai rapporti concreti instaurati con i parenti delle vittime, e quelli ideali con chi non c’è più attravero le ricostruzioni dei fatti che hanno portato al tragico epilogo, è partita la campagna di sensibilizzazione di Todaro.

Alcuni mesi fa ha infatti contattato i sindaci dei vari comuni siciliani dai quali sono emigrati i sei desaparecidos. «Tante volte
mi sono immedesimato nelle loro vicende, persino arrivando a commuovermi alle lacrime. Ecco perché ho pensato di sensibilizzare i sindaci dei paesi di provenienza chiedendo loro di fare un gesto che possa ricordare alle collettività da loro guidate che un figlio del loro paese, andato via per necessità, è scomparso e non ve n’è più traccia», ecco come Todaro racconta il suo progetto.

Di questi al momento solo Giuseppe Minutilla, sindaco di San Mauro Castelverde, ha risposto. Così, nell’ambito del Festival di Poesia Paolo Prestigiacomo, ha organizzato la manifestazione che ha visto l’apposizione di una targa in marmo proprio sulla casa in cui Vincenzo Fiore è nato.

Sulla lapide, il cui contenuto è stato affidato ad Alberto Todaro, che per questo ha collaborato con Giuseppina e Lilian Fiore, oltre alle informazioni di rito, è stata incisa una frase di Claudio Tognonato, sociologo dell’Università RomaTre ed ex esule argentino: «I desaparecidos lasciano dietro di sé un vuoto, la presenza di ciò che manca».

E così è, un vuoto che è presente. Poco dopo questa citazione infatti, è stata aggiunta una formula che viene sempre ripetuta ancora oggi in Argentina, nel corso delle manifestazioni pubbliche. Lì, quando qualcuno dice il nome di un desaparecido, in coro si risponde «Presente!», poi uno pronuncia «Ahora», e tutti gli altri ribattono «y siempre».

Perchè la loro assenza è una presenza, seppur ossimorica, forte, costante e imperitura. Da adesso, grazie alla targa e alla risposta positiva del Comune di San Mauro Castelverde, Vincenzo Fiore è simbolicamente tornato a casa.

Un momento di commemorazione molto sentito che si spera possa ripetersi Comune dopo Comune, in ognuna delle cittadine di origine degli altri cinque desaparecidos, così che anche loro possano tornare idealmente in terra natia, e che il loro ricordo non si spenga mai, per non far ripetere mai una pagina così crudele della storia.
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