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Ti senti nel Far West ma sei in Sicilia: dov'è il villaggio (fantasma) "dei Ferrovieri"

Costruito intorno al 1955 è un luogo dimenticato dove si nasconde un borgo. Nella chiesetta oggi abbandonata diceva messa un giovane padre Pino Puglisi

Susanna La Valle
Storica, insegnante e ghostwriter
  • 28 luglio 2025

Il Villaggio dei Ferrovieri (foto di collettivo Liotrum Urbex Sicilia)

Avete presente un villaggio del far west abbandonato dai cercatori d’oro, dove la terra e le piante hanno ricoperto tutto, dove rotolano balle di sterpaglie agitate da un vento che cancella tracce di vita… .

Il saloon non ha più porte, è stato depredato, così la chiesa, e la stazione ha l’orologio fermo alla stessa ora, da anni. Tutto dà un senso di profonda desolazione e morte.

Oppure ricordate una favola che richiama racconti antichi di luoghi addormentati sotto l’incantesimo di una fata permalosa in perenne attesa di essere risvegliati dall’arrivo di un principe in grado di sciogliere il sortilegio e liberare il tempo cristallizzato.

È questo che richiama alla memoria il Villaggio dei Ferrovieri a Roccapalumba sulle colline del palermitano.

Un luogo dimenticato dove si nasconde un borgo costruito per i dipendenti delle ferrovie dello stato: un piccolo mondo con abitazioni, scuola, chiesa, negozi, ambulatorio, campo sportivo.

Qui erano ospitate le famiglie dei ferrovieri che lavoravano sulla tratta Palermo-Agrigento. Lo scalo era importante serviva al trasporto di salgemma e zolfo dalle miniere, come quella di Lercara Friddi, verso i porti da dove sarebbero partiti i carichi; ma non solo era una tratta importante anche per i pendolari che ogni mattina si spostavano.

Nella Chiesetta del villaggio, intitola al Santissimo Crocifisso, un giovane Pino Puglisi celebrava Messa, Il Beato raggiungeva il villaggio ogni sabato e domenica, prima che venisse nominato un parroco che prese dimora in quella canonica, prendendosi cura di quei abitanti e dei loro figli e che fu l’ultimo a lasciare il borgo, quando tutti furono invitati ad andare via.

Fu doloroso lasciare quelle case, fu fatta richiesta alle Ferrovie dello Stato di acquistare le abitazioni, dove ormai vivevano da 30 anni, qualcuno continuò a pagare l’affitto per l’ intero anno successivo alla partenza, sperando nell’assegnazione, ma non ci fu niente da fare, l’agonia di quel piccolissimo borgo era ormai stabilita.

Costruito intorno al 1955 nel periodo del boom economico, aveva 70 palazzine residenziali, con circa 800 inquilini, ogni appartamento aveva circa 5/6 persone, nucleo famigliare “tipo “ di quel periodo.

Ogni abitazione era di circa 90 mq, vi erano balconi a loggetta, persino tettoie fuori le palazzine come parcheggi coperti per le macchine.

Lo "Scalo Ferroviario", nome dato al borgo dai suoi abitanti, oggi si presenta come un borgo abbandonato, le entrate delle case sono state murate per evitare che qualcuno potesse abusivamente prenderne possesso.

La Chiesa con il suo Campanile, ha la porta spalancata, tutto è stato portato via sono rimasti i banconi, un leggio, un confessionale, un vecchio proiettore, attrezzi per la musica e tanti libri religiosi buttati alla rinfusa vicino a bauli vuoti.

Altro luogo ancora accessibile l’ambulatorio che fungeva anche da ufficio. Il Villaggio, come abbiamo detto di proprietà di RFI, è gestito dalla società che si occupa delle proprietà Immobiliari dell’Ente.

Entrato nel piano di dismissione tra altri beni come caselli, sedimi ferroviari, alloggi, case cantoniere, magazzini, linee, persino fari, ritenuti "non più strumentali all'attività ferroviaria e quindi proposti in vendita mediante gare a evidenza pubblica, con l'obiettivo di produrre reddito e creare valore sociale per la comunità" si legge sul sito RFI.

Francamente queste parole pongono dei quesiti non si capisce come i due obiettivi possano essere raggiunti abbandonando il luogo e mettendolo in vendita a corpo e non in singole unità, al costo di 1,8 milioni di euro; cifra che terrà ben lontano qualsiasi acquirente che oltre a sborsare una cifra importante, dovrà investirne altre per lavori di ristrutturazione delle abitazioni, nonostante siano tutto sommato recenti, ripristinando la rete viaria completamente abbandonata , quella fognaria, acqua luce e gas.

Siamo in presenza di un Villaggio Fantasma come è stato definito dal Collettivo Urbex che si occupa di documentare luoghi abbandonati lasciati al più completo degrado e che difficilmente saranno mai recuperati a “un valore sociale”.

Eppure questo posto era una volta pieno di vita. Uno degli abitanti racconta che la sera d’estate si scendeva in strada, dalle proprie abitazioni, dove venivano allestiti dei tavoli; ognuno portava qualcosa da mangiare e da bere, c’era musica, i bambini giocavano sulle altalene, persino i dipendenti in turno si allontanavano per qualche minuto per bere o mangiare qualcosa che veniva offerta, era un luogo amato e tenuto bene.

Ora tutto è silenzio, tornando alle analogie descritte all’inizio di questa storia, se ne potrebbero aggiungere altre: un luogo post apocalittico come abbiamo visto in tanti film o un luogo devastato da un terremoto come lo ha definito il Parroco di Roccapalumba, che ha lasciato in piedi case facendo fuggire gli uomini “però questo sito non è stato dimenticato da Dio ma dall’uomo”.

Dalle case murate al pian terreno si vedono le erbacce che stanno divorando tutto, alzando lo sguardo da alcuni balconi “si affacciano” grandi fichi d’india, sembrano braccia di reclusi vivi che chiedono di essere liberati.

Piante di rampicanti guadagnano inesorabilmente ogni anno metri, coprendo finestre diroccate chiudendo per sempre gli occhi a queste mura.

Aggirarsi in questo luogo provoca un misto di ansia e rabbia, eppure non si può fare a meno di entrare in quella chiesetta vuota, fermarsi a qualche panca ricoperta da polvere e sporcizia, in alcune un messale abbandonato vede girare le sue pagine da folate d’aria, sono mute preghiere, mentre fuori le altalene si alzano e ondeggiano, cigolando mestamente.
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