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Volevano "cancellarlo" e ci sono riusciti: chi fu il frate siciliano che stampò il vocabolario

Una storia dimenticata. Di lui non parla più nessuno e non viene ricordato neppure nelle pagine degli studiosi locali dedicate agli uomini illustri della sua città natale

Elio Di Bella
Docente e giornalista
  • 26 giugno 2022

Pagine del vocabolario di Nicolò Valla (da Agrigento Ieri e Oggi)

Meno di cinquant’anni dopo l’invenzione della stampa, uno studioso agrigentino, oggi quasi del tutto sconosciuto, dava alle stampe il primo vocabolario che abbia visto luce in Italia. Di lui non parla oggi più nessuno e non viene ricordato neppure nelle pagine degli studiosi locali dedicate agli uomini illustri di Agrigento.

La topografia agrigentina contempla ancora un largo dedicato a lui, ma ben pochi sanno di chi si tratta. Eppure per quella sua prestigiosa opera, Agrigento è stata ricordata per diverso tempo come la patria del padre del vocabolario italiano.

L’illustre agrigentino che qui intendiamo ricordare è il grande studioso del Cinquecento Nicolò Valla. Una breve biografia (una delle poche esistenti) possiamo leggerla nelle "Memorie Storiche" dell’agrigentino Giuseppe Picone.

«Il nostro girgentino era frate dell’ordine dei conventuali e fu prestissimo teologo, e molto versato nelle sacre e nelle umane lettere. Da giovinotto, studiò in Roma, ove seguì l’ intero corso e dove esercitossi nelle varie discipline, nelle quali si rese coltissimo e ne tolse laudi, per le egregie doti del suo animo e del suo intelletto, alla corte di Papa Alessandro VI, che in agosto del 1516 lo elevava a Vescovo madurese (ossia, vescovo titolare di Madaura, in Africa, al confine della Numidia e della Getulia, ndr.)». Venne anche nominato vescovo suffraganeo a Malta.
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Nicolò Valla nacque intorno al 1475 ed entrò molto giovane a far parte dell’ordine dei frati conventuali di Agrigento.
Ebbe la fortuna di formarsi alla celebre scuola messinese di Costantino Lascaris, assieme a Pietro Bembo e a Cristoforo Scobar, canonico agrigentino particolarmente dotto.

Lo storico Giuseppe Picone ci fornisce anche un elenco delle numerose opere di poesia, grammatica e di epigrammi composte dal 1516 al 1546 (anno in cui probabilmente morì). Il suo lavoro più importante è però il famoso Vallium. Fu il primo vocabolario uscito da una tipografia italiana.

Era un lessico latino-volgare, composto nella sua prima edizione di 112 pagine. La lingua volgare in questo dizionario è il siciliano. Venne edito per la prima volta a Firenze nel 1500. Trovò un così largo favore che venne ristampato a Venezia ben tre volte, nel 1516, nel 1522 e nel 1546.

Cosa assai rara in quel secolo, l’ultima edizione era più ampia delle precedenti. Il Valla ci aggiunse, infatti, altri 200 vocaboli e la pubblicò con il titolo: «Vocabolarium vulgare cum latino apposito nuper correptum per proprium authorem Nicolaum Vallam, additis fere tercentum vocabulis reconditis, Venetiis MDXLVI».

Il prestigio di Valla era tale che qualche altra città italiana ha cercato di attribuirsene i natali e in epoca più recente è dovuto intervenire lo stesso Luigi Natoli per ricordare che è esistito solo un Nicolò Valla agrigentino, autore del famoso vocabolarium.

«Il quale che sia agrigentino - ha scritto Natoli - si legge nella dedica medesima dell’opera». In una dedica del suo dizionario latino-volgare a Matteo Loisio Falco infatti leggiamo: «Ex eadem clarissima agrigentina oriundus patria». Gli studiosi considerano ancora oggi l’opera dell’agrigentino Nicolò Valla un monumento del volgare siculo del XV e XVI secolo. Esso, infatti, accanto alle voci latine registrava quelle volgari siciliane.

Il Vallium servì da norma negli anni seguenti nella compilazione di altri importanti lessici stampati in Italia e offriva un importate dispositivo per riscattare il dialetto siciliano: accostandolo al latino, Valla riconosceva al volgare siciliano dignità di vera e propria lingua. Agli inizi del Cinquecento il destino del “vulgari nostru siculu”, come lingua letteraria, appariva segnato di fronte all’affermazione del toscano che aveva preso terreno anche sul latino umanistico.

Il siciliano restava come varietà parlata ed era sempre più marginalizzato dalla stampa. Il testo dell’agrigentino Valla veniva a riscattare il dialetto siciliano nel contesto culturale del tempo. Lo studio della grammatica e delle lingue classiche era essenziale nella formazione culturale del tempo ma, accanto al latino e al greco si ampliava la riflessione attorno alla lingue vive, ponendo le basi del pensiero linguistico moderno.

Valla così svolgeva un ruolo propulsivo di fondamentale importanza, tracciando un’importante futuro per la lingua siciliana. Conseguì la laurea in teologia a Siena nel 1502 e tornato in Sicilia nel 1509 è accertato il suo ruolo di predicatore e pedagogo presso la potente dinastia siciliana dei Barresi a Pietraperzia.

Era allora considerato tra i maggiori intellettuali siciliani del tempo e qualche invidioso cercò di distruggerne la fama, ma senza alcuna possibilità di successo.

Ebbe un ammiratore in Papa Alessandro VI, il quale aveva conosciuto Valla durante alcune dispute letterarie, apprezzandone la notevole preparazione in teologia e nelle sacre umane lettere. In particolare quel Papa ebbe così ottima impressione ascoltando un’orazione recitata dal Valla nel 1502 a Roma, che quando questo grande siciliano morì (1546), volle pagare tutte le spese del funerale.
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