Due uomini, una bara, decidere chi vive e chi muore: "Ouminicch'" di Rosario Palazzolo al teatro Atlante

"Ouminicch'" con Rosario Palazzolo e Salvatore Nocera
Due uomini, una bara e una decisione da prendere: chi vive, chi muore. Possiamo riassumere così "Ouminicch'", spettacolo scritto e diretto da Rosario Palazzolo e in scena a Palermo dal 29 novembre al primo dicembre per la nuova sede del teatro Atlante di via della Vetriera 23 (traversa di via Alloro).
Sulle scene di Luca Mannino e le musiche di Francesco Di Fiore si muovono gli attori Salvatore Nocera e lo stesso Rosario Palazzolo: Trentasetti e Trentaquattru non hanno scampo sin dal principio, costretti come sono a giocarsi il tutto per tutto.
Due uomini che sanno di morire e che per questo si affidano ad una spiritualità fatta di santini, di segni rivelatori che non rivelano, che restano silenziosi come una coscienza collettiva.
È una storia che ha la pretesa di farsi metafora comune di un luogo, il nostro, che ha smesso di appartenerci, che è divenuto di colpo un altro luogo, non più nostro.
Perché è una specie di bivio "Ouminicch’", con nessuna uscita. Il tutto in un registro drammaturgico intriso di silenzi estenuanti e guizzi improvvisi, una lingua secca, carica d’umor nero, mista al dialetto palermitano che gioca con la sintassi.
«A quelli che non sanno spalancare le porte, scardinarle e abbatterle. A quelli che non hanno mai avuto una porta da spalancare, da scardinare, da abbattere. A quelli che non sanno cos’è una porta».
Sulle scene di Luca Mannino e le musiche di Francesco Di Fiore si muovono gli attori Salvatore Nocera e lo stesso Rosario Palazzolo: Trentasetti e Trentaquattru non hanno scampo sin dal principio, costretti come sono a giocarsi il tutto per tutto.
Due uomini che sanno di morire e che per questo si affidano ad una spiritualità fatta di santini, di segni rivelatori che non rivelano, che restano silenziosi come una coscienza collettiva.
È una storia che ha la pretesa di farsi metafora comune di un luogo, il nostro, che ha smesso di appartenerci, che è divenuto di colpo un altro luogo, non più nostro.
Perché è una specie di bivio "Ouminicch’", con nessuna uscita. Il tutto in un registro drammaturgico intriso di silenzi estenuanti e guizzi improvvisi, una lingua secca, carica d’umor nero, mista al dialetto palermitano che gioca con la sintassi.
«A quelli che non sanno spalancare le porte, scardinarle e abbatterle. A quelli che non hanno mai avuto una porta da spalancare, da scardinare, da abbattere. A quelli che non sanno cos’è una porta».
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