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Non chiamatelo disabile, chiamatelo col suo nome: la storia di "Gelsomino H" in scena al Teatro Libero

  • Teatro Libero - Palermo
  • Dal 4 al 5 ottobre 2019 (evento concluso)
  • 21.15
  • 7 euro (intero), 5 euro (ridotto under 35)
  • Info e prenotazioni ai numeri 091 6174040 e 392 9199609 a partire dal 30 settembre (dalle ore 16 alle 19). È necessario perfezionare la prenotazione con l'acquisto dei biglietti il giorno stesso dello spettacolo (entro le ore 20.30) presso il botteghino del Teatro Libero di piazza Marina
Balarm
La redazione

Maurizio Bologna e Carlo Di Vita in "Gelsomino H"

Niente "diversamente qualcosa" e niente il "non qualcosa". Non chiamatelo "disabile", chiamatelo col suo nome. E il suo nome è Gelsomino, protagonista di "Gelsomino H", spettacolo prodotto dal Ditirammu di Palermo in scena al Teatro Libero venerdì 4 e sabato 5 ottobre.

Scritto e diretto da Elisa Parrinello, lo spettacolo vede in scena Maurizio Bologna insieme al giovanissimo Carlo Di Vita, che interpreta Gelsomino, e Vanessa Carollo e Gloria Riti che interpretano il fantasma della madre (rispettivamente il 4 e il 5 ottobre), con le musiche originali di Giacomo Scinardo, il brano "Kalsa" di Giuseppe Milici, scene e costumi di Elisa Parrinello (realizzati con l'assistente ai costumi Donatella Nicosia).

"Gelsomino H" è la storia di un ragazzo affetto da una malattia degenerativa che non permette al suo corpo nessun movimento. Il padre di Gelsomino (Maurizio Bologna) è una voce nel silenzio di una vita fatta di emarginazioni, solitudine, che mostra il coraggio di un’altra vita.

Una di quelle vite dove si pensa “che a te non possa accadere” ma dove invece può accadere che giunti al momento di morire prima del figlio come la natura vuole il desiderio di protezione supera anche la ragione bramando il desiderio di andar via dopo il figlio, per proteggerlo ancora e renderlo libero. 

«Gelsomino non parla, lo so che non parlerà mai». Ma nella sua impossibilità fisica ha un’eccellente capacità di sentire e capire qualsiasi cosa attorno a sé. Non è la disabilità a provocare sofferenza. È l'impossibilità di vivere sapendo di esistere. 

«Mio figlio si chiama "Gelsomino"». Bisogna chiamare le cose col proprio nome, senza girarci intorno e senza addolcire con il politicamente corretto.
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