"Madama Butterfly": l'opera di Giacomo Puccini con la regia di Nicola Berloffa

L'opera "Madama Butterfly" al Teatro Massimo di Palermo (foto di Rosellina Garbo)
Una "Butterfly" attualizzata al secondo dopoguerra, in un momento storico per il Giappone simile a quello immaginato da Puccini, con il paese sotto la dura occupazione degli americani: al Teatro Massimo di Palermo va in scena, da venerdì 16 a domenica 25 settembre, la "Butterfly" del regista Nicola Berloffa, un nuova produzione in collaborazione con il "Macerata Opera Festival".
Lo spettacolo è diretto da Jader Bignamini, con le scene a cura di Fabio Cherstich, costumi Valeria Donata Bettella, luci Marco Giusti. Lo scontro delle culture è uno dei punti su cui lavora di più questa regia.
Secondo il regista Nicola Berloffa, le circostanze dell’azione costituiscono una situazione ben conosciuta nella storia umana: per interessi politici ed economici, due nazioni con culture opposte si incontrano. Finché l’intenzione superiore dello Stato viene soddisfatta, la situazione può rimanere tranquilla, ma quando, più tardi, il singolo individuo incomincia a sentire le conseguenze delle trattative, le difficoltà nascono.
Sbarcato a Nagasaki, Pinkerton, ufficiale della marina degli Stati Uniti, per vanità e spirito d'avventura si unisce in matrimonio, secondo le usanze locali, con una geisha quindicenne di nome Cho Cho-san, acquisendo così il diritto di ripudiare la moglie anche dopo un mese; così infatti avviene, e Pinkerton ritorna in patria abbandonando la giovanissima sposa.
Ma questa, forte di un amore ardente e tenace, pur struggendosi nella lunga attesa accanto al bimbo nato da quelle nozze, continua a ripetere a tutti la sua incrollabile fiducia nel ritorno dell'amato.
L’incontro tra Butterfly e Pinkerton si può interpretare come la personificazione di uno scontro di culture, in questo caso della cultura americana con quella giapponese. In questa atmosfera già difficile di per sé ci viene presentato lo psicogramma di una donna totalmente disperata, catturata nella sua immaginazione di un futuro liberatorio che lo spettatore sa sin dall’inizio dell’opera che non è nient’altro che un’idea fuggitiva senza legame con la realtà.
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