"Trapanaterra": un'odissea meridionale tra trivelle e malaffare in scena al Teatro Libero di Palermo
Un'immagine dello spettacolo "Trapanaterra"
Partire, restare, difendere o sfruttare la propria terra: c'è tutto questo all'interno dello spettacolo in programma al Teatro Libero di Palermo dal 31 gennaio al 2 febbraio, "Trapanaterra".
Inquadrato nella stagione artistica #Inoltrarsi del Teatro Libero di Palermo, lo spettacolo è ideato da Dino Lopardo e prodotto dalla compagnia Madiel di Potenza. In scena gli attori Dino Lopardo e Massimo Russo, che cura anche le musiche.
"Trapanaterra" si pone come un'odissea meridionale, una riflessione sul significato di "radice" per chi parte e per chi resta: è, a tutti gli effetti, un'ironica e rabbiosa trattazione dello sfruttamento di una terra.
Protagonisti sono due fratelli: uno è rimasto nella terra natìa, l'altro è appena tornato, organetto alla mano. Il più piccolo in calosce si districa tra i tubi gorgoglianti della raffineria, il più grande quello che è “scappato”, è un bohemienne che respira di nuovo l’aria di casa, che forse non c’è più, che è cambiata.
Il suo è un paese di musica e musicanti dove non si canta e non si balla più, nemmeno ai matrimoni. Si può solo sentire il rumore delle trivelle, la puzza dei gas e il malaffare. Storie d’infanzia, ricordi di famiglia, canti di piazza e bestemmie: è l’ultra-locale che diventa ultra- universale.
Tutto è impastato nel dialetto, osso delle storie che s’insinua come la musica. Inutile arrabbiarsi, o forse no. Qualcuno è partito perché altri potessero crescere, ma di chi è il coraggio? Di chi resta? O di chi torna?
Inquadrato nella stagione artistica #Inoltrarsi del Teatro Libero di Palermo, lo spettacolo è ideato da Dino Lopardo e prodotto dalla compagnia Madiel di Potenza. In scena gli attori Dino Lopardo e Massimo Russo, che cura anche le musiche.
"Trapanaterra" si pone come un'odissea meridionale, una riflessione sul significato di "radice" per chi parte e per chi resta: è, a tutti gli effetti, un'ironica e rabbiosa trattazione dello sfruttamento di una terra.
Protagonisti sono due fratelli: uno è rimasto nella terra natìa, l'altro è appena tornato, organetto alla mano. Il più piccolo in calosce si districa tra i tubi gorgoglianti della raffineria, il più grande quello che è “scappato”, è un bohemienne che respira di nuovo l’aria di casa, che forse non c’è più, che è cambiata.
Il suo è un paese di musica e musicanti dove non si canta e non si balla più, nemmeno ai matrimoni. Si può solo sentire il rumore delle trivelle, la puzza dei gas e il malaffare. Storie d’infanzia, ricordi di famiglia, canti di piazza e bestemmie: è l’ultra-locale che diventa ultra- universale.
Tutto è impastato nel dialetto, osso delle storie che s’insinua come la musica. Inutile arrabbiarsi, o forse no. Qualcuno è partito perché altri potessero crescere, ma di chi è il coraggio? Di chi resta? O di chi torna?
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