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"A cunzata ru liettu", il rito per le nozze in Sicilia: tra chi ancora lo fa e chi inorridisce

Come si svolgeva, e ancora in parte si svolge, l'usanza che rendeva il matrimonio un affare pubblico, non degli sposi. Tra riti "recuperabili" e altri da dimenticare

Alessandro Panno
Appassionato di sicilianità
  • 4 maggio 2023

Letto conzato

Da nico essere invitato ai matrimoni era cosa di festa. Potevo pistiare cose che normalmente non avevo, ed alla fine potevo giocare nel parco della villa ricevimenti con gli altri bambini. Purtroppo però il tempo passa per tutti, e ora t’ha mettere u vestito buono, sperando che nel frattempo non sei ingrassato, e magari il tutto si svolge in un giorno feriale di agosto con 56 gradi all’ombra.

Le infinite portate che compongono la festa ti mettono a dura prova, e non hai neppure la scusa della sigaretta, dato che non fumi, per alzarti dalla sedia.

Ha poi bisogno di una semana di ferie per riprenderti. Ciò nonostante il matrimonio, in Sicilia, è cosa seria e di particolare rilevanza, e sottoposto, almeno in tempi andati, a tutta una serie di usanze, relazioni sociali ed azioni scaramatiche, anche se di dubbia utilità.

Ai tempi in cui Facebook era a nannà che tutto osservava e riferiva dalle scalette della persiana, le ragazze non è che avevano tutto sto movimento al di fuori della porta di casa, se non in attenta compagnia del padre o fratello, ed anche da zite, comunque, c’era sempre a cannila a controllare la situazione.
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I picciuttanazzi, quindi, tra una battuta ed un altra, se adocchiavano una damigella dovevano affidarsi alla mediazione della propria madre. Quest’ultima si presentava sull’ uscio di casa della famiglia della giovinetta, chiedendo in prestito, alla futura consuocera, un pettine da telaio i sirici o ri novi.

Se la madre della fanciulla non aveva obiezioni di sorta al fidanzmento rispondeva che si, aveva un pettine di sirici, altrimenti rispondeva che lo aveva solo ri novi. Ma se ancora non ne aveva discusso con quello che, in teoria, era il capofamiglia rispondeva che doveva cercare.

Se si voleva evitare tutta sta discussione, ci si limitava a lasciare davanti casa di lei una spazzola o uno zzuccu, (una sorta di ceppo preso dalla base di un fico d’india). Se il giorno dopo l’ oggetto era sparito, buon segno, ufficialmente si era invitati a prendere gli accordi del caso, altrimenti, se lo stesso veniva fatto rotolare in strada indicando un "no" categorico.

La madre ru possibile zito, quindi, veniva fatta accomodare e inziava l’esame della potenziale nuora. Se la picciotta al momento della trasitina era assittata con le mani in grembo era fimmina lagnusa, se stava masticando era sicuramente una manciataria e avrebbe mandato il figlio in rovina, se era con il telaio in mano o a spazzare casa, buon segno, trattavasi di fimmina massara.

Nello specifico, se tesseva della lana sarebbe stata figghiarola, se rappezzava qualcosa attenta all’ economia domestica se invece era a far la calza era sicuro amurusa per il buon divertimento del masculu! Ma anche la controparte aveva il suo messaggio non detto da recapitare.

Se lei ad un certo punto della discussione indossava il grembiule annodandolo a destra tutto ok, le cose stavano andando bene e le cosa avrebbe potuto avere esito positivo, ma se lo annodava a sinistra allora madre e figlio erano invitati a lasciare la casa poichè il potere genitoriale non era d’accordo.

Anche a quei tempi, destra e sinistra potevano sfasciare intere famiglie! Ma se i due giovani amanti non volevano rinunciare al loro roseo futuro, potevano sempre ricorrere alla fuitina. I due, si sarebbero incontrati furtivamente durante la notte e sarebbero scappati assieme, successivamente, con la complicità di un parente o amico che li avrebbe ospitati, sarebbero spariti per i tre giorni successivi, durante i quali, si ipotizzava, l’unione si era consumata.

A quel punto, ai genitori, dopo n’anticchia di obbligatorio e dovuto teatrino, non rimaneva altro da fare che acconsentire all’unione che si sarebbe svolta in modo legittimo. Molto spesso, la fuitina era fortemente incoraggiata da una delle due parti o entrambe, poichè questo siginficava matrimonio riparatore, quindi senza troppi sfarzi e pochi piccioli da spendere.

Ma anche lo sposo aveva i suoi chiffari. Secondo tradizione toccava a lui, infatti, "portare" la casa con arredi e corredi (questi ultimi in realtà toccavano ai genitori di lui), difatti proverbio recitava che "masculu i ventotto e fimmina i riciotto", proprio perchè l’uomo, oltre ad avere il tempo di maturare esperienza "amorosa", doveva travagghiare per accumulare la lanna necessaria a mettere su casa.

Durante il fidanzamento ed i preparativi non doveva mai regalare dolci a forma di gatto o che potessero ricordarli, ne mele cotogne che indicavano l’amarezza. Inoltre doveva premurarsi di appendere sul muro in cui era accostato il letto, un rosario ed una palma benedetta e regalare alla futura consorte una spiga di grano, simbolo di abbondanza e della promessa che lui avrebbe sempre provveduto al suo fabbisogno alimentare.

Il matrimono non doveva essere mai a maggio perchè "sposa maiulina un si godi a cuttunina", nè in alcuni giorni della settimana poichè “di Venniri e di Marte non ci si sposa e un si parte".

Finalmente, dopo tribolazioni giungeva il fatidico giorno. La sposa, come indica anche Giuseppe Pitrè nel suo “il popolo siciliano, la nascista e le nozze”, doveva indossare una cosa vecchia che non le avrebbe fatto scordare la sua provenienza, una nuova per la futura vita che arrivava, una prestata o regalata da una persona che le sarebbe stata sempre vicina, una blu per indicare la sincerità e purezza, ed infine una rossa per indicare passione amore e fecondità, dato che anche l’ eros aveva il suo peso!

Lungo il tragitto, dalla casa alla chiesa, era usanza lanciare in strada confetti e la stessa zagara di cui era composto il bouquet in segno di augurio, ed In chiesa avrebbe trovato lo sposo che la attendeva a metà navata e avrebbe sostituito il bouquet da lei portato con quello preparato dalla madre di lui.

Durante lo scambio delle fedi lo sposo doveva accertarsi che la stessa sarebbe arrivata fino in fondo al dito, poichè se si fosse bloccata a metà, sarebbe stata lei a prendere il comando della coppia. Cosa che in ogni caso accadeva anche se la fede arrivava al gomito. Ricevuta la benedizione del sacerdote bisognava rialzarsi contemporanemaente, poichè il primo ad essere in piedi sarebbe stato anche il primo a morire e ad ascendere in cielo alla destra del padre.

Superati incolumi tutti sti tricchi trallacchi e fatti i dovuti scongiuri, la coppia poteva finalmente consumare il meritato matrimonio, ma nel frattempo era già avvenuta la cunzata del letto.

Parrebbe, ma senza metterci la mano sul fuoco, che tale tradizione possa molto lontanamente derivare dal Lectisternio, ovvero una pratica romana del 399 a.c. in cui durante le celebrazioni dei Saturnali si faceva una cerimonia propiziatoria esponendo sul letto, delle coppie che dovevano fare contratto di matrimonio, cibo e bevande offerti agli dei. Successivamente nel tempo, le commari di letto, ovvero amiche nubili e, potenzialmente, vergini, della sposa avevano il compito di far trovare il letto conzato con la biancheria del corredo immacolato di lei.

Le commari, che indossavano rigorosamente un grembiule bianco, non dovevano mai essere dispari come numero, soprattutto tre, dato che la mezzana del trio, nella migliore delle ipotesi non avrebbe mai trovato marito, nelle peggiori sarebbe potuta passare a migliore vita.

Bello fare la commare... si collocavano ai lati del giaciglio e con movimenti sincronizzati e lesti preparavano il tutto, avendo cura di inserire tra uno strato e l’altro di lenzuola riso e grano come augurio, con relative ingiurie degli sposi che poi dovevano liberare il giaciglio da quei corpi estranei che non oso immaginare dove potevano infilarsi. Era anche pratica comune qualche scherzo come quello del sacco, per il divertimento, unico, delle commari stesse.

Al termine di tutto si invitavano i bambini a saltellare sul letto appena conzato quale augurio di una numerosa prole. Sotto il letto si legavano delle campanelle che, muovendosi durante l’amplesso, erano segnale certo, per tutti coloro che ascoltavano, che il matrimonio era stato consumato.

Atto che, assieme all’esposizione, il giorno dopo, del lenzuolo sporco di sangue come testimonianza della purezza della sposa, non dava adito a dubbi, facendo sapere a tutti che u masculu era masculu e a fimmina era pura. Insomma il matrimonio era prima un affare pubblico e poi, se rimaneva tempo, degli sposi.

Fortunatamente, oggi, alcune di queste usanze sono finite nel dimenticatoio, mentre altre sarebbe, forse, carino rispolverarle.

In ogni caso quando organizzate un matrimonio abbiate pietà dei vostri invitati, perchè più che un giorno di festa rischia di diventare un supplizio!
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