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Come prevedere le eruzioni dei vulcani: dall'Etna arriva una scoperta rivoluzionaria

Grazie alla sua intensa attività, il vulcano siciliano è diventato una vera e propria "palestra" per geologi e vulcanologi. Uno studio dell'Ingv apre importanti scenari

Aurelio Sanguinetti
Esperto di scienze naturali
  • 21 ottobre 2025

Il Monte Etna, in Sicilia, non è solo il vulcano attivo più grande d’Europa: è anche uno dei meglio studiati al mondo. Grazie alla sua intensa attività e a una lunga storia eruttiva, è diventato una vera e propria "palestra" per geologi e vulcanologi. Un gruppo di ricercatori italiani, guidati dal geofisico Marco Firetto Carlino dell’INGV (Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia), ha recentemente sviluppato un nuovo metodo per cercare di prevedere quando l’Etna potrebbe eruttare.

Il trucco? Studiare i microterremoti che si verificano sotto il vulcano e un particolare parametro, noto ai vulcanologi da decenni, chiamato valore b. Esso rappresenta il rapporto tra piccoli e grandi terremoti in una determinata zona ed è in grado di fornire indicazioni su dove si trova il magma all’interno di un vulcano.

Quando il magma si muove nel sottosuolo, infatti, provoca delle piccole fratture nella crosta terrestre. Più il magma si avvicina alla superficie, più questi microterremoti diventano frequenti. Monitorando come cambia il valore b nel tempo, i ricercatori possono capire in quale fase si trova la risalita del magma.

Il magma ovviamente non sale però dritto verso l’alto: prima di raggiungere la vetta dell’Etna, attraversa un complesso sistema di camere magmatiche (definiti dagli geologi anche come "serbatoi") situate a diverse profondità, tra gli 11 km sotto il livello del mare fino alla superficie. Ogni volta che il magma passa da una camera all’altra, modifica la struttura delle rocce intorno, causando terremoti. In particolare, le zone della Terra più “attive” dal punto di vista vulcanologico, come la Sicilia orientale, tendono ad avere molti piccoli terremoti rispetto ad altre regioni del pianeta, dove strati di roccia più stabili tendono ad avere scosse più forti ma rari. Ed è proprio in queste variazioni che il valore b può fare la differenza.

Analizzando 20 anni di dati sismici provenienti dall’Etna (dal 2005 al 2024), i ricercatori hanno notato che il valore b cambia in modo prevedibile prima delle eruzioni. Questo significa che si potrebbe usare questo parametro per prevedere le eruzioni con più precisione rispetto ai metodi usati finora.

L’eruzione più recente, a giugno 2025, ha generato per esempio una gigantesca nube di cenere alta 6,5 km. Fortunatamente, era stata prevista grazie al monitoraggio garantito dai geologi dell’INGV, ma metodi come quello proposto dal team guidato da Carlino potrebbe rendere le previsioni ancora più precise in futuro.

Anche se lo studio è stato fatto sull’Etna, lo stesso approccio potrebbe essere applicato ad altri vulcani attivi nel mondo, purché siano disponibili abbastanza dati sismici. Il valore b, quindi, potrebbe diventare uno strumento chiave per la sicurezza vulcanica, aiutando le autorità a prendere decisioni rapide in caso di emergenza.
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