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Cosa resta della Conca d'Oro? Un prezioso lembo di agrumeti e natura: ecco dove

Un paesaggio quasi completamente cancellato dalla scellerata espansione urbanistica di Palermo che ha risparmiato però un piccolo fazzoletto di agrumeti e verde

  • 2 maggio 2018

L'ultimo lembo di Conca d'Oro a Palermo

Nella letteratura e nelle arti pittoriche l’immagine di Palermo come ‘paradiso terrestre’ si rincorre sin dal medioevo. Da Ugo Falcando, che nella sua "Epistola ad Petrum" (XII sec.) decanta gli orti e la variegata galassia di frutti che brillano sugli alberi della piana, ai pittori ottocenteschi come Michele Cortegiani e Francesco Lo Jacono, che ritraggono i meravigliosi agrumeti della Conca d’Oro messi a dimora alla fine del XVIII secolo, tutti ci trasmettono la visione di una città immersa in una rigogliosa piana, fertile e ricca di piante.

Un paesaggio oggi quasi completamente cancellato da quella scellerata espansione urbanistica, iniziata nel secondo dopoguerra, che ha di fatto trasformato i lunghi filari di alberi da frutto in orribili condomini di cemento.

Edifici come metastasi, che sembrano però avere risparmiato un piccolo lembo di territorio compreso tra le propaggini sudorientali della città di Palermo e Villabate. Il colpo d’occhio più emozionante si ha sicuramente dalla strada che si stacca alla fine di via Fondo De Gregorio a Villabate: posteggiata la macchina basta fare qualche passo a piedi per essere investiti dal profumo di zagara.
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Il pendio scivola velocemente lasciando spazio ad un panorama eccezionale: agrumeti a perdita d’occhio, puntellati da qualche casale e dalle borgate immerse nel verde, mentre sullo sfondo si impongono monte Pellegrino e la città, con il mare sulla destra.

Ogni tanto sbuca un nespolo: «Sono alberi sentinella, danno informazioni sullo stato di salute dell’agrumeto» spiega Max Serradifalco, 39 anni, fotografo paesaggista palermitano, è tra i promotori di un progetto interessante per la salvaguardia di quest’ultimo angolo di Conca d’Oro.

«Gli agrumeti risalgono all’Ottocento, sono un pezzo di storia della nostra città, così come i bunker e le strutture della Seconda Guerra Mondiale che si possono incontrare passeggiando a piedi nel fondo» continua Serradifalco.

Il progetto di salvaguardia della Fawara, dal nome del grande parco normanno i cui resti sono ancora visibili a nord dell’autostrada, prevede il recupero di vecchi manufatti e il coinvolgimento dei privati per creare il primo polo di turismo rurale urbano in Italia.

«La zona si estende per circa 35 ettari e racchiude anche casali, bagli ed edifici molto antichi che potrebbero essere ristrutturati per creare strutture ricettive, nel completo rispetto della natura e delle aree coltivate. Inoltre le numerose trazzere che tagliano il territorio, dal monte di Gibilrossa a Maredolce, offrirebbero la possibilità ai turisti di potersi muovere esclusivamente in bicicletta, raggiungendo facilmente il capolinea del tram o le fermate degli autobus e collegandosi dunque alla città».

Un progetto brillante che ha incuriosito anche la sezione di Palermo di Italia Nostra: «Intanto bisogna fare conoscere al pubblico questo territorio - dice a Balarm Piero Longo, Presidente della sezione di Palermo - Poi ben vengano i progetti di tutela e valorizzazione, ma adesso c’è bisogno di una collaborazione da parte delle amministrazioni comunali sia di Palermo che di Villabate perché il futuro di quest’area non è chiaro».

La zona di Ciaculli, essendo una delle meno urbanizzate della Conca d’Oro, era stata individuata dal Comune di Palermo per ospitare alcune strutture come il nuovo cimitero della città o la nuova sede del mercato ortofrutticolo cittadino.

«Dobbiamo chiedere a gran voce che l’area venga posta sotto tutela, per evitare nuove speculazioni edilizie - chiosa il Prof. Longo - Questo territorio ha una storia antichissima ed è l’ultimo lembo di Conca d’Oro rimasto. Italia Nostra può contribuire alla sua salvaguardia ma c’è bisogno anche dell’interesse dei cittadini, nonché delle amministrazioni locali».

Ciaculli è diventata inoltre presidio slow food grazie al recupero degli storici agrumeti ed al rilancio sul mercato del famoso "Tardivo di Ciaculli", il mandarino tipico di queste zone.

Oggi la possibilità di salvaguardare questo territorio ci permette di riscattare gli anni bui della nostra città, quando il cemento sostituiva nottetempo i rigogliosi frutteti, consegnando alle generazioni future un piccolo tassello verde della storia di Palermo.
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