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Estratta viva a 50 ore dal sisma del Belìce: "Cudduredda" fece piangere tutto il mondo

La piccola Eleonora Di Girolamo aveva solo 6 anni quando fu estratta viva dalle macerie a 50 ore dal terribile sisma del 1968. Morì due giorni dopo in ospedale

Maria Oliveri
Storica, saggista e operatrice culturale
  • 15 gennaio 2024

Eleonora Di Girolamo, detta "Cudduredda", con la mamma Leonarda Fontana (foto di Nicola Scafidi)

Nella notte tra il 14 e il 15 gennaio del 1968, un sisma di magnitudo 6,4 riduceva in polvere e macerie molti comuni della valle del Belìce, seminando morte e distruzione tra le province di Palermo, Trapani e Agrigento.

Si trattò di una della prime gravi emergenze nell’Italia del dopo guerra: i morti sarebbero stati quasi trecento, i feriti molti di più, almeno mille, e gli sfollati centomila. La ricostruzione sarebbe stata lunga e complessa: gli abitanti avrebbero vissuto prima per mesi nelle tendopoli e poi per decenni in baracche di lamiera: le ultime 250 baracche con i tetti in eternit sarebbero state dismesse solo 38 anni dopo, nel 2006.

Alcune forti scosse si erano avvertite già il 14 gennaio 1968 e l'allora comandante dei carabinieri di Palermo, il colonnello Carlo Alberto Dalla Chiesa, si era recato nelle zone colpite e aveva consigliato agli abitanti di dormire all'aperto o nelle automobili; sarebbero stati in molti a salvarsi così quella notte, quando la terra avrebbe tremato, di nuovo.
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Alle ore 2:33 del 15 gennaio, una scossa molto violenta fu avvertita fino a Pantelleria, ma la scossa più forte si verificò poco dopo, alle ore 3:01 con effetti devastanti: molte cittadine furono gravemente danneggiate; Gibellina, Poggioreale, Salaparuta e Montevago vennero completamente distrutte. Eppure, incredibile a dirsi, fino alla prima mattina del 15 gennaio, nessuno ebbe immediatamente contezza della enormità della catastrofe.

La notizia cominciò a diffondersi a livello nazionale soltanto dopo l’annuncio di Piero Angela al telegiornale delle 13:30. Il pilota di uno degli aerei impegnati nella ricognizione della zona dichiarò "Ho volato su un inferno!".

I primi soccorritori, giunti in prossimità dell'epicentro, tra Gibellina, Salaparuta e Poggioreale, trovarono le strade quasi risucchiate dalla terra e ventiquattro ore dopo il cataclisma molti paesi erano ancora isolati. Furono impegnati nei soccorsi più di mille vigili del fuoco, la Croce Rossa, italiana e internazionale, l'Esercito Italiano, i carabinieri.

Nei giorni seguenti arrivarono anche le autorità: il presidente della Repubblica Saragat e il ministro dell'Interno Taviani. Sarebbero state registrate ben 345 scosse nella valle del Belìce, tra il 14 gennaio e il 1º settembre 1968 e si sarebbero contate vittime anche tra i soccorritori.

I sopravvissuti di quei tragici eventi hanno bene impressa ancor oggi nella memoria, a distanza di oltre 50 anni, la paura e l'orrore di quei giorni, quando erano stati costretti a vivere senza luce, senza cibo, senza medicine, tra i vicoli deserti e le case devastate.

Rammentano, con le lacrime agli occhi e un nodo alla gola, i lamenti strazianti delle vittime sotto le macerie, il ritardo nei soccorsi, la fame e il freddo pungente che si insinuava fin dentro alle ossa, nelle lunghe notti trascorse all’aperto.

Il giornalista Giovanni Russo, inviato del Corriere della Sera, constatò di persona che i superstiti, avendo perso le poche cose che avevano, vivevano in uno stato di totale indigenza. Tra le macerie, scavando faticosamente per giorni, furono ritrovati centinaia di morti e migliaia di feriti che furono trasportati negli ospedali di Palermo, Sciacca e Agrigento,

Tra i feriti c’era anche Eleonora Di Girolamo, detta Cudduredda: sarebbe diventata il simbolo della tragedia del Belìce. Aveva solo 6 anni quando il 17 gennaio, dopo 50 ore dal sisma, venne estratta ancora viva dalle macerie.

A sentire la flebile richiesta di aiuto, fu un angelo venuto dal nord, da Reggio Emilia, un vigile del fuoco volontario di appena 20 anni, Ivo Soncini, che si mise a scavare con le mani nude, per salvare la piccola.

L'appellativo affettuoso di Cudduredda, le venne dato quando arrivò all'ospedale di Salemi, ravvolta in una coperta. "Un miracolo!". Scrissero i giornali a caratteri cubitali, riportando la notizia del salvataggio della bambina.

«Quello che è successo nel 1968 è una cosa che non si dimentica – ha raccontato Soncini – al microfono del Tg3, in occasione della visita a Gibellina nel 2022, quando ha ricevuto la cittadinanza onoraria.

"Ci sono anch’io», fu la frase udita dall’ex vigile del fuoco.

«Grazie a quella voce ho capito dove poteva trovarsi quella bambina, bloccata sotto due travi, che si erano incrociate».

Soncini ha incontrato per la prima volta la mamma e i fratelli di Cudduredda nel 2005, poi è tornato nel 2018, in occasione della visita del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella nella Valle del Belìce, nel cinquantesimo anniversario della catastrofe.

«All’epoca, nel ’68 – ha ricordato Soncini – c’era il caos totale subito dopo il terremoto. I soccorsi non erano organizzati. Portavamo in paese i cadaveri usando delle porte in legno come barelle. Ricordo il viso di ‘Cudduredda’ e i suoi occhi che chiedevano aiuto».

Le immagini sgranate della Rai girate da una troupe di Sergio Zavoli ripresero Cudduredda, mentre veniva estratta ancora viva dalle macerie e la storia della piccola siciliana fece il giro del mondo ed emozionò tutti.

«Quei minuti che la tenni in braccio per portarla dalle macerie al punto di primo soccorso rimangono scolpiti nella mia mente», ha concluso Soncini.

Quando Cudduredda venne ritrovata si cominciarono a cercare i suoi genitori, prima nelle tendopoli di Gibellina, di Santa Ninfa, di Castelvetrano; successivamente negli ospedali: vennero ritrovati al San Biagio di Marsala.

«Io mi trovavo in ospedale a Marsala accanto a mio figlio Nicola che era stato operato alle gambe, nessuno mi avvertì che Gibellina era stata colpita dal terremoto».

Raccontava la mamma di Cudduredda, la signora Leonarda Fontana scomparsa a 91 anni, nel 2021, nella sua casa di Gibellina nuova, dove si era trasferita dopo aver vissuto prima a Petrosino (nei giorni immediatamente dopo il sisma del 15 gennaio) e poi per 12 anni nelle baracche.

«Quando iniziarono ad arrivare i primi feriti in ospedale, chiesi ad alcuni di loro la gravità dell’evento e così mi preoccupai per le sorti dei miei familiari».

Il ritorno in fretta a Gibellina, la scoperta che la figlia era stata salvata e strappata da sotto le macerie nella loro casa di campagna a Zubbia, poi il viaggio a Salemi e quindi a Palermo. «Ricordo ancora i suoi occhi, quello sguardo perso nel vuoto...».

La voce di Leonarda Fontana, si incrinava per la commozione. Al collo teneva sempre un medaglione con la foto della figlioletta. Quando Soncini l’aveva tratta in salvo le condizioni della bambina erano gravi, respirava a fatica, era cosciente ma priva di forze.

Dall’ospedale di campo allestito sotto Gibellina, dove aveva ricevuto i primi soccorsi, Cudduredda era stata trasferita prima all’ospedale di Salemi e poi a Palermo, a Villa Sofia. Lì la raggiunse la madre e lì purtroppo due giorni dopo la picciridda spirò - per un’emorragia interna o forse per una polmonite - tra le braccia di Leonarda, che mai si era allontanata dal suo capezzale.

La foto di Nicola Scafidi immortala uno degli ultimi momenti di tenerezza in ospedale, tra Eleonora e la sua mamma, che già portava in grembo un’altra vita.

Qualche mese dopo, quando già la famiglia abitava in una baracca, nacque una bimba che fu chiamata proprio come la sorellina scomparsa. La famiglia di Cudduredda, non è mai riuscita a darsi pace per la morte atroce e ingiusta della piccola Eleonora, strappata troppo presto dalle loro braccia.

La madre ha sempre continuato a vivere la perdita della figlia con una ferita mai rimarginata e ha conservato, per oltre mezzo secolo, i pochi ricordi della figlia salvati dalla distruzione come reliquie: la cartella di scuola, i quaderni e i giocattoli che arrivarono da tutto il mondo, spediti da persone che si erano commosse per la storia di quella picciridduzza, simbolo di tante vite crudelmente spezzate in quella gelida notte di metà gennaio del 1968.
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