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Ferro di cavallo, dita incrociate e ombrelli chiusi in casa: sconfiggere il malocchio in Sicilia

La seconda parte del nostro glossario è dedicata ai gesti, credenze e pratiche scaramantiche che ruotano intorno a comportamenti e abitudini, dentro e fuori casa

  • 31 dicembre 2020

Se col precedente articolo avete imparato a vedere gli animali in un modo completamente diverso, nonché a ingraziarvi gli spiriti di casa e a capire perché facciamo le corna o non passiamo sotto la scala, oggi troverete altri preziosi suggerimenti contro la sfiga.

INCROCIARE LE DITA
Per augurarci la buona sorte o difenderci dal malocchio in tutto il mondo incrociamo le dita, sovrapponendo il medio all’indice. Vi siete mai chiesti perché? Sono varie le ipotesi. Il gesto risalirebbe al Medioevo quando si credeva che il demonio, per raggiungere l’anima del malcapitato, dovesse passare per forza dalle sue dita: chiudendole a croce, si sarebbe quindi impedito il suo accesso.

Il gesto dell’incrociare le dita evocherebbe quindi il Cristo benedicente, la sacra manus dextera Dei (‘mano destra di Dio’) ebraico-cristiana, nella quale vengono tesi verso l’alto il pollice, l’indice e il medio, che richiamano la Santa Trinità, mentre il mignolo e l’anulare restano piegati in basso. La stessa posizione della dita appare in un’antica divinità pagana dell’Asia Minore, Sabazio, custode della fecondità della terra, poi assimilato in Grecia a Zeus, al dio Sole e a Dioniso.

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METALLI, SONAGLI E FERRI DI CAVALLO
“Corna e tocca firru”, diciamo in Sicilia. Al ferro – con il quale in Sicilia chiamiamo indistintamente tutti i metalli (dal piombo all’oro) – è riconosciuto un forte potere contro la sfortuna, le streghe o il diavolo. Non è un caso che nelle culle dei bambini siano sempre presenti sonagli metallici, il cui tintinnio contribuisce ad allontanare le presenze ostili.

E in metallo (argento, oro) sono i motivi decorativi di un cornetto portafortuna o lo stesso cornetto. Il ferro evoca l’idea dell’arma, della spada per attaccare o difendersi ed è la materia con cui si forgia il ferro di cavallo, esibito, contro gli spiriti nefasti e il malocchio, sulle porte di casa, delle stalle e delle botteghe, con le punte in alto e un fiocco rosso, oppure addosso come amuleto e sotto il letto contro i demoni che minacciano la fertilità coniugale.

Durante il Medioevo, del resto, il ferro era ancora raro e costoso, e quindi trovarlo lungo le trazzere, magari accidentalmente schiodato dallo zoccolo (purché anteriore!) di un cavallo, presagiva fortuna. Il ferro di cavallo infatti non si compra mai per sé, va rubato oppure ottenuto come regalo o ritrovamento fortuito. Si narra che San Dunstan, un fabbro inglese poi divenuto arcivescovo di Canterbury, abbia un giorno ricevuto la visita di uno strano personaggio che desiderava aver inchiodato ai propri zoccoli dei buoni ferri. Il Santo, avendo riconosciuto in lui il diavolo, lo legò prontamente al muro e gli inchiodò i ferri nel modo più doloroso possibile.

Il diavolo fu liberato dall’orribile tortura solo dopo aver giurato che non sarebbe più entrato nelle case che avessero affisso sull’uscio un ferro di cavallo. Tra i metalli, infine, un ruolo principe gioca l’oro che, evocando il sole, il fuoco e la vita nel suo tipico colore scintillante, allude al benessere e alla ricchezza, anche spirituale. Il fine delle antiche pratiche alchemiche era la conversione del piombo, metallo povero e grezzo, in oro, metafora della crescita e dell’arricchimento interiore.

I NUMERI 13 E 17 E I GIORNI SETTIMANALI MARTEDÌ E VENERDÌ
Il 13 è certamente un numero ambivalente, rappresenta la morte, ma anche la rinascita, è un numero aritmico che rompe l’armonia e la continuità ed evoca la fine di un ciclo e la sua ripresa. È composto dalla combinazione dei numeri 1, il divino, il creatore, l’origine di ogni cosa, e 3, il numero della perfezione, della Santa Trinità e della magia tradizionale (“u trinu è malandrino”, si dice in Sicilia) che lo usa, con i suoi multipli, per scunciuri e rituali.

La terribile fama del 13 è da addebitare molto probabilmente al tradimento di Giuda, il tredicesimo apostolo dell’Ultima Cena, che è diventato anche il tredicesimo convitato non gradito nelle nostre tavole. Nei tarocchi la tredicesima carta è la Morte, intesa anche come rigenerazione, e nella smorfia napoletana il 13 è invece correlato alla figura di Sant’Antonio, il benevolo frate francescano a cui si associa quell’eruzione cutanea dovuta all’Herpes zoster e nota come “fuoco di Sant’Antonio”. Si narra che il Santo eremita fu torturato col fuoco dal diavolo nel deserto. I suoi discepoli, che lo ritrovarono con tutta la pelle ustionata e martoriata dalle fiamme, lo elessero a simbolo di ogni sofferenza subita dall’umanità.

Il 17 pare porti sfortuna solo in Italia e non ne conosciamo le cause. Potrebbe essere un retaggio dottrinale degli antichi pitagorici, oppure perché un anagramma del numero romano XVII che, diventando il verbo latino VIXI, ‘sono vissuto’ e dunque ‘sono morto’, si fa presagio di sventura, o ancora perché nell’Antico Testamento (Genesi 7, 11) si dice che il diluvio universale abbia avuto inizio il 17 del cheshvan, il secondo mese del calendario ebraico corrispondente a ottobre-novembre del nostro calendario solare.

Associato al venerdì il 17 appare ancora più funesto: il venerdì è infatti il giorno della Settimana Santa in cui si verifica la morte di Cristo. In Sicilia il giorno della settimana più temuto e sfortunato resta comunque il martedì. Forse perché dedicato a Marte, dio della guerra, emblema della discordia e della disarmonia. I contadini sostengono che è il giorno degli spiriti ostili, dei sabba delle donni di fora (insieme al giovedì) e in cui sarebbe nato Giuda. Un nostro motto recita che “di marti né si spusa né si parti”. Non è consigliabile né viaggiare né sposarsi di martedì: si corre il rischio di attirare a sé la sfortuna, di morire entro l’anno o di diventare curnuti.

MAI L’OMBRELLO APERTO DENTRO
Non si apre mai l’ombrello in casa, in una bottega e in ogni luogo al chiuso se non si vuole invitare a nozze la sfortuna. Pare che gli antichi dignitari Egizi erano soliti ripararsi dai raggi del Sole tramite eleganti ombrelli con piume di pavone e che Ra, il dio del Sole stesso, ne avesse proibito l’uso al coperto punendo severamente i trasgressori.

I primi ombrelli moderni, realizzati a cavallo tra il Settecento e l’Ottocento, avevano inoltre un’acuminata punta di metallo e dunque, con la loro tipica apertura a scatto, potevano diventare armi letali per chi si fosse trovato nelle vicinanze: era dunque meglio non aprirli in luoghi più ristretti come le case.

Un’altra spiegazione giunge dalle usanze funerarie di origine medievale: i preti, per l’estrema unzione nelle case dei moribondi, aprivano sul loro letto un baldacchino o un ombrello nero. Nelle case della gente più povera, infine, l’ombrello era spesso un valido espediente per contrastare la pioggia quando spuntavano noiosi buchi al soffitto, per cui aprire un ombrello in casa evocherebbe uno stile di vita misero, disgraziato e sfortunato.

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