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Genio dell’oreficeria amato anche da Chanel: la vita assai bizzarra di Fulco, Duca di Verdura

Il giovane uomo visse a Palermo e che la lasciò alla fine degli anni '20. Il suo ultimo saluto fu una festa in maschera che fece storia. La sua vita fu stravagante fino alla fine

Susanna La Valle
Storica, insegnante e ghostwriter
  • 15 febbraio 2022

Bracciali bianchi smaltati, uno per polso. I gioielli del Principe russo, non erano piaciuti a Madame Chanel, ma lei sapeva che il suo amico Fulco, li avrebbe trasformati in quei gioielli unici che porterà per tutta la vita, fino a consumarli.

Fulco Santostefano della Cerda duca di Verdura, è stato un genio dell’oreficeria e un personaggio unico. Nel suo libro “Estati Felici”, ritrovi il bambino, il ragazzo, il giovane uomo che visse a Palermo e che la lasciò alla fine degli anni '20. Il suo ultimo saluto fu una festa in maschera (Fulco si vestì da Nelson), che fece storia, vi parteciparono nobili e personaggi del jet set internazionale e dove spese gli ultimi soldi di un patrimonio, che da qualche tempo era diventato un “Volo di Rondine “ (termine usato per definire i patrimoni perduti). La Palermo di Fulco è un modo separato dalla città reale, dove Il censo era il metro di giudizio, scrive: “sapevi con chi avevi a che fare chiedendo dove erano seppelliti i loro morti, ai “Rotoli” il censo era basso”.
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Cugino di Tomasi di Lampedusa, tra i due non ci fu mai affetto e simpatia. Fulco lo ricorda “grasso e con gli occhi sonnolenti orientali”, l’autore del Gattopardo, più volte lasciò trapelare l’omosessualità del cugino.

Da Parigi a Manhattan, poi Londra; da Cole Porter a Cocò Chanel, da Greta Garbo, Katherine Hepburn, Marlene Dietrich, Fulco collaborò anche con Salvator Dalì e Picasso. Nato e crescuito a Villa di Niscemi, proprietà della nonna e della mamma, era a pochi passi dal Parco della Favorita. Qui trascorse “ quegli assolati anni” della crescita, con il berretto da marinaio d’inverno, il cappello di paglia in estate.

Fu un siciliano insolito “cosmopolita” distante emotivamente dalla sua terra e dai suoi problemi con ritorni che erano vacanze, rispetto a una vita vissuta altrove. Aveva un giardino lussureggiante, pieno di animali e frutti esotici, come il “nodoso e vetusto albero” chiamato dai giardinieri “ Pampaleone” (pompelmo), i cui frutti, allora misteriosi, gialli e tondi erano proibiti ai bambini. Luogo pieno di animali dai cavalli, pony, capre, cigni, scimmie, montoni, porcellini, d’india, manguste, scoiattoli, camaleonti gatti e cani e persino una coppia di “puzzolenti mandrilli” la cui sola occupazione, racconta Fulco, era mettere al mondo ogni anno “uno scimmiotto” che puntualmente il maschio uccideva, sbattendolo tra le sbarre della gabbia.

Zoo pittoresco a cui un giorno si aggiunse un Cammello. Il Duca Giulio, padre di Fulco, aveva confidato ai figli di aver acquistato l’animale in uno dei suoi viaggi in Africa. L’orafo racconta che dopo questa confidenza passarono settimane e mesi. I ragazzi si convinsero che era stato uno scherzo del padre, frutto della sua fervida immaginazione.

Finché un giorno non arrivò la notizia che un cammello e un arabo erano su una banchina del porto di Palermo, tra lo stupore della folla accorsa per vedere la strana coppia. Stanco della traversata, non fu possibile portare l’animale al recinto per lui approntato a Bagheria; così il Duca chiese ai figli e allo “Gnu” (il cocchiere) di far entrare furtivamente i due in Villa per una notte. Giulio Santostefano della Cerda era separato dalla moglie e viveva a Palermo in via Montevergini, luogo non consono per un cammello.

Così all’oscuro delle proprietarie, dalla banchina, il cammello e l’arabo si avviarono verso la villa, seguiti dalla folla. Il piano contava sull’allontanamento delle due Signore, confidando sulla loro uscita pomeridiana. Ma quel giorno le due donne rimasero a casa. I due ragazzi rassegnati al peggio assistettero all’arrivo dell’animale, preceduto da schiamazzi e grida.

La Nonna chiese al maggiordomo l’origine di quel vociare e chi vi fosse al cancello. Questi ritornò, dicendo “Eccellenza è un cammello”. La nobildonna lo considerò uno scherzo e rispose “Ma che cammello non fare l’impertinente”. Non ebbe modo di finire la frase che tutta la famiglia andò al balcone per assistere al trionfale ingresso del cammello e dall’arabo, tra gli applausi scroscianti della folla.

Nonostante la tensione tra i genitori di Fulco, il cammello fu fatto entrare e legato a una palma. L’animale forse sentendosi a casa incominciò a emettere un poderoso raglio che destò ogni cavallo e mulo del circondario che risposero al richiamo. La folla rimase la notte nel parco, improvvisando una festa con chitarre e mandolini. La mattina dopo il Cammello e l’arabo furono accompagnati all’uscita, tra nuovi applausi.

Il Cammello visse pacificamente a Bagheria, fino a quando un’amazzone maliarda di un circo equestre, non fece perdere la testa al padre di Fulco. L’animale divenne così il dono di quella “liaison”. Prima di partire, Moffo (gli fu dato questo nome per la somiglianza con un amico di Famiglia), fu tra i protagonisti di una grandiosa festa di beneficenza, dove oltre ai circensi si esibirono anche la sorella di Fulco e il padre in groppa all’animale, vestito da sceicco.

Qualche tempo dopo, in un piovoso pomeriggio a Parigi cercando riparo, Fulco e la sorella, videro il manifesto di un circo: “Moffus, le seul chameau musicien”. Stupiti, il giorno dopo vollero appurare se era il loro cammello; videro così Moffo, tutto bardato, che inginocchiandosi emetteva “equivoci suoni” con una trombetta avvicinata al muso.

È una delle tante storie di un Duca arguto e ironico, “bizzarrie” che lo accompagneranno anche nell’ultimo evento della vita. Dopo la morte a Londra nel 1978, un amico si offrì di portare le sue ceneri a Palermo. Durante il viaggio fu fermato da un poliziotto a Pisa che incuriosito dall’urna, chiese del contenuto, la risposta fu “Ashes” (ceneri).

L’agente che non era anglofono, capì "hashish”: fermò l’amico e sequestrò il contenuto per analizzarlo. Una volta appurato che erano ceneri, queste continuarono il loro viaggio. Oggi riposano, nella cappella di famiglia, in un aristocratico cimitero della città.
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