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"Gioia mia" debutta e vince premi: la Sicilia set per il talento di Rory Quattrocchi

Il film d'esordio di Margherita Spampinato convince anche la critica. Dell'Isola naturalmente si respirano i luoghi, a partire dal cuore del centro storico di Trapani

Tancredi Bua
Giornalista
  • 22 dicembre 2025

Aurora Quattrocchi e Marco Fiore in "Gioia mia"

Le case degli anziani possono essere posti spaventosi, in cui decine di crocifissi e immagini sacre ci sovrastano come i parenti vivi attorno al letto del morto, o meravigliosi, in cui aprire una scatola di ricordi significa scoprire di essere più legati di quanto la differenza d’età potrebbe mai fare pensare. È questo il mondo in cui si muove "Gioia mia", il primo lungometraggio della regista Margherita Spampinato, dall’11 dicembre in sala con Fandango.

Il film, prodotto da Yagi Media in associazione con Gianluca Arcopinto, Claudio Cofrancesco (che ne è anche direttore della fotografia), Paolo Butini, Ivan Caso e Filippo Barracco, conta su un cast capeggiato dall’attrice palermitana Aurora “Rory” Quattrocchi e completato dal piccolo Marco Fiore (già in “Gela”, il cortometraggio di Margherita Spampinato che è stato la scintilla per il lungo, ma anche in “Supersex” di Francesca Manieri, in cui interpretava un giovanissimo Rocco Siffredi), la coetanea Martina Ziami (già in “Paradiso in vendita” di Luca Barbareschi), Camille Dugay (già in “Cuore sacro” di Ferzan Ozpetek), e poi Clara Salvo, Renata Sajeva, Concetta Ingrassia, Giuseppina Cardella e Giuseppina Cammareri.

Cuore della storia è il rapporto tra il piccolo Nico, mandato dai genitori a passare l’estate in Sicilia, e la solitaria Gela, l’anziana parente da cui il bambino starà nelle settimane sull’isola. Da una parte il mondo digitale in cui è immerso Nico, scandito da suoni di videogiochi e squilli di smartphone, dall’altro l’universo analogico in cui vive Gela, una casa in cui ogni muro è guardato da un santino, una statuina della Madonna o un crocifisso, e in cui annoiarsi è una dimensione necessaria. Non potrà che essere scontro, prima, e indagine e scoperta poi.

Al Locarno Film Festival 2025, “Gioia mia” è stato premiato con il Premio speciale della giuria Ciné+, mentre per la sua Gela, Aurora Quattrocchi s’è portata a casa il Pardo per la migliore interpretazione. Margherita Spampinato, classe 1979, di recente inserita dalla rivista Il Cinematografo fra i venti registi da tenere d’occhio per il futuro del cinema italiano, ha vissuto quasi tutta la vita a Roma – punto di partenza più che favorevole per muoversi fra un set e l’altro: prima di quest’esordio alla regia di un lungo, Margherita Spampinato è stata fra gli script supervisor di "Buongiorno, notte" di Marco Bellocchio, di "Fascisti su Marte" di Corrado Guzzanti e Igor Skofic, di “I Viceré” di Roberto Faenza, de “Gli amici del bar Margherita” di Pupi Avati, di “Venuto al mondo” di Sergio Castellitto e de “La mafia uccide solo d’estate” di Pif.

Ma come rivela il cognome, le sue origini sono siciliane, e infatti è a Palermo che è nata, che ha vissuto i primi due anni della sua vita (prima di trasferirsi con i genitori a Roma) e che passava le vacanze estive, in compagnia di due anziane zie. Ed è proprio a Palermo che, nella realtà, è nata la storia raccontata nel film. «Sono cresciuta a Roma – dice la Spampinato – in una famiglia laica, molto politicizzata, però tutte le estati i miei genitori mi mandavano in vacanza a casa di due anziane zie signorine, cugine di mia nonna. E loro erano proprio super-religiose, quindi mi portavano in chiesa, mi insegnavano le buone maniere, mi facevano fare il riposino, tutte cose completamente diverse dalla mia vita romana, ma soprattutto loro erano proprio convinte che esistessero gli spiriti, il diavolo, quindi per me da bambina questa dimensione magica era proprio molto, molto potente.

Ho un ricordo molto forte di questo "mondo magico", nel quale tutte le estati andavo. Inoltre, io ho un bambino dell’età del protagonista, e quindi mi sembrava interessante raccontare la storia di un bambino appunto maschio, che arriva in questo mondo magico, provenendo da un mondo razionale, e si trova in un universo formato da donne in cui completa la sua formazione. Tutte queste donne lo stimolano proprio a sviluppare l’intuizione, l’empatia, tutta quella parte dell’intelligenza che effettivamente a lui manca».

Della Sicilia, naturalmente, si respirano i luoghi, a partire dalla casa di Gela e del palazzo in cui è custodita, nel cuore del centro storico di Trapani, di cui si riconoscono i vicoli, le strade da cui si sale alle mura di Tramontana e la spiaggia sottostante. «Nel film non si capisce in che città dell’isola sia ambientata la storia, però sì, abbiamo trovato questa location (il palazzo antico in cui abita Gela, ndr) a Trapani che era veramente perfetta, e lì poi abbiamo fatto tutto, anche i provini per i ruoli più piccoli. Le altre nonne, gli altri bambini che giocano con il protagonista sono tutta gente del trapanese».

E della Sicilia si respira naturalmente la lingua – quasi in contrasto con il romanesco del giovane Marco Fiore – grazie all’interpretazione di Aurora Quattrocchi: «Scrivendo – dice la regista – ho sempre pensato a lei, poi quando la sceneggiatura era pronta le ho telefonato perché abbiamo un amico in comune, e le ho detto “Ma ti va di leggere il copione?”, lei l’ha letto e mi ha detto di andare a trovarla quando volevo. Ho preso subito un volo e sono arrivata a Palermo proprio il giorno del suo compleanno, è stato molto divertente.

Abbiamo fatto una lettura, solo una le è bastata, lei s’è subito ispirata a una sua zia anziana, che ricordava da quando era bambina, e improvvisamente avevo davanti Gela. È stato tutto molto bello, appena ci siamo conosciute ci siamo piaciute, perché poi Aurora è molto passionale, molto istintiva. Ero felicissima perché lei da subito ha interpretato questo personaggio con un’intelligenza, una vivacità e un’ironia che mi piacevano moltissimo».
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