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Giovanni Falcone nei ricordi della sorella: giocava a fare Zorro, voleva aiutare i deboli

Trentadue anni dopo la strage di Capaci, la sorella Maria racconta com'era il magistrato da piccolo, nella vita quotidiana. L'intervista video (esclusiva)

  • 23 maggio 2024

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«Si vive una volta sola». Quando in famiglia gli chiedevano perché aveva accettato di far parte del pool antimafia, Giovanni Falcone rispondeva così.

Era un magistrato tutto d'un pezzo lui, credeva fermamente nelle istituzioni e con grande coraggio portò avanti il suo lavoro fino alla morte.

A 32 anni di distanza dalla strage di Capaci, la sorella Maria racconta a Balarm com'era il magistrato da piccolo, nella vita quotidiana e familiare. «Serio, studioso, Giovanni era un fratello come tutti gli altri - ricorda - aveva tanti amici, faceva molto sport e stava spesso fuori casa».

L'infanzia, gli studi, le marachelle, Falcone era un tipo tosto già da bambino. «Da bambini andammo al cinema a vedere il film "Zorro" - racconta Maria Falcone - mio fratello si innamorò di questo supereroe che lottava per difendere i deboli contro i potenti. Si fece comprare da papà il costume: aveva lo spadino, il cappello, il mantello».
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In quegli anni la famiglia Falcone abitava in via Castrofilippo, nel quartiere della Kalsa di Palermo. «Abitavamo in una casa molto bella con un salone rivestito di stoffa antica - continua Maria - un giorno fece il segno di zorro nel salone rovinando le pareti, immaginate le botte che prese dalla mamma».

Giovanni Falcone frequentò le scuole elementari al Convitto Nazionale di Palermo (che poi, nel 1999 gli verrà intitolato), le medie alla "Giovanni Verga" e le superiori al liceo classico "Umberto I".

Era studioso, a scuola aveva la media dell'otto. Il pomeriggio frequentava l'Azione Cattolica e trascorreva tanto tempo nell'oratorio della parrocchia, facendo la spola tra quella di Santa Teresa alla Kalsa e quella di San Francesco.

Durante una delle tante partite di calcetto conobbe Paolo Borsellino, più piccolo di sei mesi, con cui si sarebbe ritrovato prima sui banchi dell'Università e poi in Magistratura.

In parrocchia si appassionò anche al ping-pong e in una partita giocò con Tommaso Spadaro futuro "re della Kalsa", personaggio di spicco della malavita locale impegnato nel traffico di stupefacenti, oggi all'ergastolo per l'omicidio di Giuseppe Lo Baido.

«Il quartiere in cui siamo cresciuti era particolare - spiega Maria - nell'Ottocento vi si era sviluppata la vita della nobiltà palermitana, con palazzi antichi molto belli, poi c'era anche un contorno di casette: così si differenziavano i ceti sociali».

In quel periodo, nel quartiere bazzicava anche Tommaso Buscetta, esponente di spicco di cosa nostra ma anche primo grande pentito della storia dell'organizzazione, che rivelerà, proprio a Falcone, l'organigramma della mafia consentendo l'istituzione del reato di stampo mafioso, il 416 bis, che definisce l'appartenza all'organizzazione punendo i membri con la reclusione da dieci a quindici anni.

Dopo il liceo Giovanni si trasferì a Livorno per frequentare l'Accademia navale. Ma dopo neanche un anno, convinto che la vita militare non facesse per lui, Giovanni decise di tornare a Palermo per iscriversi a Giurisprudenza. In soli 6 anni diventò magistrato.

Così, quel ragazzo che amava il mare, le sigarette e aveva una forza di volontà fuori dal comune iniziò a servire lo Stato.

Iniziò come pretore a Lentini (Siracusa), poi a Trapani, dove rimase per 12 anni. Trasferito a Palermo, si occupò del processo al costruttore edile Rosario Spatola, accusato di associazione mafiosa.

L'ostinata ricerca della prova, le indagini patrimoniali e bancarie, le tracce lasciate dal denaro e il lavoro di squadra. Falcone creò in poco tempo un metodo investigativo diventato oggi modello nel mondo.

Insieme al pool antimafia, istruirà il primo maxiprocesso a Cosa nostra. L'eccezionale impegno di un manipolo di magistrati guidati da Falcone dopo anni di assoluzioni per insufficienza di prove portò alla sbarra 475 tra boss e gregari di cosa nostra e si concluse con 19 ergastoli e condanne a 2665 anni di carcere.

«Mio fratello ha dato la vita per la democrazia del nostro Paese.- sottolinea Maria Falcone - È importante ricordare la sua figura, soprattutto ai giovani».

«Anche se in questi ultimi 30 anni non ha più fatto attentati - continua - la mafia purtroppo c'è ancora. Continua a fare i suoi affari soprattutto attraverso il traffico della droga e delle armi. Far capire ai giovani che un ruolo alla lotta alla mafia possono averlo anche loro è importante»

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