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Gira il mondo ma si sente "paesano": chi è Paul, lu 'miricanu (che parla in siciliano)

Grazie alla sua professione di informatico lavora in smart working e trascorre ogni anno qualche mese nel paese dei suoi avi. Parla 7 lingue ma preferisce il siciliano

  • 5 maggio 2024

Paul Rausch

Nato e cresciuto a Cape Coral, in Florida, Paul Rausch ha 37 anni e appartiene alla settima generazione di emigrati sanbiagesi.

Grazie alla sua professione di ingegnere informatico, lavora in smart working, e trascorre ogni anno qualche mese nell'entroterra siciliano, a San Biagio Platani, il paese dei suoi bisnonni e degli archi di Pasqua. Il resto dell'anno gira il mondo.

Parla sette lingue e quando è in Sicilia parla in siciliano. Anche durante la nostra chiacchierata - come potete ascoltare dalla video intervista - Paul ha usato questo registro linguistico, ma per facilità di comprensione abbiamo preferito riportare le sue parole in italiano.

«L'italiano è una lingua straniera per me - spiega - Quando sono in Sicilia preferisco parlare la mia lingua, il siciliano». In realtà Paul l'italiano lo parla pure, e racconta un aneddoto carino: quando ha iniziato a prendere lezioni pensava fossero la stessa cosa.

Pur sentendo sin da bambino parlare tutti in siciliano lu 'miricanu (così lo chiamano in Paese) ha imparato la lingua "delle sue origini" a 14 anni. «Da piccolino parlavo inglese come tutti gli altri bambini - racconta - i nonni mi parlavano in siciliano, io lo capivo ma rispondevo in inglese».
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Poi, quando è morto il nonno ha deciso di imparare a parlare in siciliano. «Pensavo che l'italiano e il siciliano fossero la stessa cosa - spiega - ho preso delle lezioni online, ma poi ho scoperto che quello non era siciliano, all'epoca non c'erano libri di testo, era difficile riuscire a prendere lezioni».

A 15 anni Paul scopre il wikipedia in siciliano: «Adesso è da vent'anni che con mia nonna parlo solo in siciliano». Da lì l'idea di lavorare per il riconoscimento del siciliano come lingua, realizzando l'unicode e pubblicando - insieme a Salvatore Baiamonte e la Cademia siciliana - uno studio sull'ortografia.

«Adesso stiamo iniziando a lavorare con l'intelligenza artificiale - spiega - per normalizzare la lingua, un processo che solitamente fa l'università, la regione, ma che abbiamo fatto noi siculoamericani».

La sua - e quella della sua famiglia - è una storia di partenze e "ritorni". I suoi bisnonni nacquero in America, ma una volta sposati partirono alla volta dell'Argentina. Lì, dopo aver creato una colonia, tornarono in Sicilia ma lasciarono nuovamente l'Isola durante la seconda guerra mondiale, in direzione Florida.

«I siciliani quando emigravano si spostavano sempre insieme - racconta - la nostra prima colonia di sanbiagesi era a Tampa Florida, erano produttori di tabacco».

In quegli anni gli emigrati prendevano casa vicini, popolavano interi quartieri e creavano delle piccole "sicilie" in cui preservare la lingua e le usanze dell'Isola.

Paul cresce nella terza colonia di Sanbiagesi, quella che dalla Sicilia - durante la seconda guerra mondiale - torna in Florida, a Cape Coral. «Siamo cresciuti con la consapevolezza che il siciliano fosse la nostra lingua: la parlavano soprattutto gli anziani.

Due, tre strade erano tutte abitatate da Sanbiagesi - racconta - da piccolo non riuscivo a distinguere i parenti dagli altri compaesani. Eravamo tutti una grande famiglia allargata».

A 19 anni, spinto dalla curiosità di conoscere le sue origini, Paul prende un volo per la Sicilia e raggiunge San Biagio Platani. «Sono figlio unico - spiega - e la prima volta ci sono andato solo. Mia mamma si spaventava perché pensava ci fosse ancora il servizio militare obbligatorio».

Ricorda quel giorno come fosse ieri: «Quando ho visto il Paese per la prima volta mi ha fatto un certo effetto - racconta - una delle cose che più mi ha colpito è stato sentire persone giovani, sotto i 30 anni, parlare la mia stessa lingua, alla fermata dell'autobus. Fino a quel momento non avevo mai sentito un ragazzo della mia età, o addirittura più piccolo, parlare in siciliano».

Quand'è arrivato i parenti non l'hanno riconosciuto, se lo aspettavano più "americano": «Mio zio mi ha detto "Paul mi aspettavo un americano" io gli ho risposto "e come ti aspettavi fosse un americano?", lui: "più sofisticato", ero sempre stato uno di loro».

A San Biagio Paul scopre tanti legami di sangue: «Non mi sarei mai immaginato di avere tutti questi parenti - spiega - essendo emigrato, pensavo che tutti i miei parenti fossero tutti andati via, fossero tutti emigrati».

L'entroterra siciliano di fatto, è sempre più meta di "stranieri", generazioni di emigrati che decidono di riscoprire le proprie origini e scelgono di vivere nell'Isola: «Il 30% di noi è nato e cresciuto fuori - spiega Paul - parliamo siciliano ognuno con i suoi accenti diversi, insieme al tedesco, l'inglese, il francese, il fiammingo. Siamo una colonia di "ritornati"».

È anche per questo, che secondo Paul, in paese c'è una mentalità più aperta, anche rispetto alle città: «A Palermo quando parlo in siciliano per ordinare una pizza mi prendono per ignorante e maleducato - racconta - in Paese invece si parla in siciliano con tutti: il farmacista, il medico».

In uno dei suoi viaggi, durante il covid, Paul rimane bloccato a San Biagio e dopo un mese in paese decide di tornarci più spesso: «Mi sono reso conto che non volevo stare tutto l'anno senza trascorrere qualche mese in paese - racconta - e ho comprato casa a San biagio».

E come lui ce ne sono tanti. «I paesani non sono quelli che sono rimasti ma quelli che sono ritornati - spiega 'U miricanu - e sono tornati con altre 3 lingue, due passaporti, un po' di soldi. È una grande comunità. Non importa che orientamento sessuale hai, se ti senti uomo o donna, non importa da dove vieni e dove sei nato quando sei paesano sei paesano, fai parte di una grande famiglia che non si può lasciare mai».
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