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Il 12 gennaio, la costituzione e un governo da cambiare: la Rivoluzione a Palermo

Nei giorni prima dell’insurrezione le vie di Palermo sono state riempite con un manifesto che invogliava tutti alla rivolta: l'evento passa alla storia come "Rivoluzione siciliana"

Balarm
La redazione
  • 12 gennaio 2019

La rivoluzione di Palermo del 12 gennaio 1848 (stampa del 1850)

L'insurrezione del 12 gennaio 1848 è ricordata come la "Rivoluzione siciliana": un evento che ha riportato in vita la democrazia recuperando la Costituzione del 1812 e che ha portato alla proclamazione del Nuovo Regno di Sicilia e alla formazione di un governo provvisorio.

C'è stato un tempo in cui i siciliani sono stati felici di invadere per le strade per ribaltare lo status quo: la rivoluzione è scoppiata con la barricate e con gli attacchi armati contro le truppe borboniche che furono costrette a rifugiarsi nelle fortezze e nelle caserme.

Nel dicembre precedente D'Azeglio, Cavour, Santarosa, Pellico e altri fecero un "Appello" a Ferdinando II tentando, con le parole, di

I siciliani però non erano uomini di chiacchiere: consapevoli che le parole, da sole, non avrebbero sortito effetti, aspettarono il 12 gennaio, compleanno di Ferdinando, per dare inizio a una violenta protesta.

Sotto la guida di Rosolino Pilo e Giuseppe La Masa c'erano il Principe di Sant'elia, il Duca della Verdura, il Principe Pandolfina, Ruggero Settimo, Mariano Stabile, Francesco Crispi e Giacinto Carini.
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Comitati di liberali erano sparsi per tutto lo Stivale ma la rivolta ebbe come centro Palermo: andava sciolto il regno delle Due Sicilie e l'isola doveva diventare un corpo indipendente.

L'idea era - e così è stato - di insorgere e proclamare la costituzione del 1812 mentre a Napoli avrebbero chiesto al re la costituzione del 1820 e, se lui non l'avesse concessa, sarebbero insorti insieme con i Calabresi.

Nei giorni prima, già dal 9 di gennaio, è apparso per le strade e sui muri un manifesto a opera dei fratelli Rosano e Francesco Bagnasco:

"Siciliani! Il tempo delle preghiere inutilmente passò. Inutili le proteste, le suppliche, le pacifiche dimostrazioni. Ferdinando II tutto ha disprezzato e noi, popolo libero, ridotto nelle catene e nella miseria, tarderemo ancora a riconquistare i nostri legittimi diritti? All'armi, figli di Sicilia, allarmi ! La forza di tutti è onnipossente: l'unione dei popoli è la caduta dei re. Il giorno 12 gennaio, all'alba, comincerà l'epoca gloriosa dell'universale rigenerazione. Palermo accoglierà con trasporto quanti Siciliani armati si presenteranno al sostegno della causa comune, a stabilire riforme e istituzioni analoghe al progresso del secolo, volute dall'Europa, dall'Italia e da Pio IX. Unione, ordine, subordinazione ai capi, rispetto a tutte le proprietà, il furto sia dichiarato tradimento della Patria e, come tale, punito. Chi mancherà di mezzi ne sarà provveduto. Con questi principi il Cielo asseconderà la giustissima impresa. Siciliani, allarmi!".

Il luogotenente della Sicilia, il generale Di Majo fece arrestare nel corso della notte alcuni liberali tra cui Emerico e Michele Amari, Francesco Ferrara, Francesco Notarbartolo e altri e decise che per il giorno della protesta il grosso delle truppe del presidio rimanesse pronto nelle caserme mentre varie pattuglie percorrevano le vie della città.

All'alba del 12, com'era in uso, il cannone del forte di Castellammare sparò dei colpi in segno di festa e le vie si riempirono di gente, disarmata, curiosa, aspettante e ansiosa finché un giovane non sparò in aria un colpo: era il segnale.

Le vie furono invase per la rivolzuzione: cospiratori armati, preti, nastri bianchi rossi e verdi, incitatori del popolo e oratori.

A un certo punto si combatteva in tutte le vie della città fra gruppi di ribelli e grosse pattuglie di soldati mentre accorevvano ancora persone da Monreale, Villabate, Termini e Misilmeri e nascevano barricate su via Maqueda.

All'alba del 13 i rivoltosi avevano occupato i Commissariati di polizia, l'Ospedale di San Francesco da Paola, alcune caserme e il Palazzo di Giustizia.

Alla sera dei 14, il magistrato municipale (il pretore borbonico Marchese Spedalotto) aderiva all'insurrezione.

Nacque così un comitato direttivo di quarantadue persone per vegliare alla sicurezza e animare i cittadini mentre veniva fissato il prezzo del grano e i magazzini venivano aperti alla plebe.

Tra bombardamenti, stenti e alleanze furono due settimane di combattimenti disperati in cui la gente di Palermo si dimostrò capace di fare cose straordinarie.

Tanto che la rivoluzione si era allargata e aveva preso altre città dell'isola e il 25 gennaio il Comitato generale proclamava:

"Palermo dal 12 gennaio ha intrapreso una rivoluzione delle più gloriose. Molte città siciliane ne hanno seguito l'esempio mandando uomini armati in soccorso e tutti giurano di morire per la causa della libertà".

"Le condizioni attuali d'Europa, il movimento degli altri popoli italiani, la forza e la concordia nostra presentano alla nostra patria quell'occasione da tanti anni sospirata per rivendicare i nostri diritti, per scuotere il giogo ignominioso e funesto della sofferta schiavitù. Noi siamo interamente convinti che tutte le città dell'isola seguiranno l'esempio di Palermo, la quale pur avendo più difficoltà da sormontare, è stata la prima a mostrare che la forza è nel popolo e nulla resiste all'unanime e concorde volontà delle moltitudini. I più reputati ed onesti cittadini occupino in ogni città la direzione delle cose pubbliche, provvedano alla sicurezza delle persone e della proprietà, raccomandino la moderazione dopo la vittoria e principalmente il rispetto per gli uffizi e per gli archivi pubblici, e costituendosi da per tutto in Comitati provvisori si mettano subito in corrispondenza con questo Comitato generale, anche tramite i loro delegati per imprimere al movimento siciliano la più imponente gravità".

Il resto è storia.
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