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Il baglio (in rovina) nella Valle dell'Eleuterio: nel vecchio feudo con il "Cozzo di Sopra e di Sotto"

La storia di un luogo che affonda le radici nelle antiche tradizioni aristocratiche e contadine. Qui tra mulini ad acqua e paesaggi rurali, c'è il fascino di un tempo

Marco Giammona
Docente, ricercatore e saggista
  • 8 settembre 2022

Il baglio di Balistreri (foto di Filippo Barbaria)

L’origine di queste antiche strutture e del loro nome risale a quando questi insediamenti rurali, sorti nel Medioevo, erano abitati da nuclei familiari di agricoltori che dedicavano tutta la loro vita alla coltivazione di prodotti necessari al loro sostentamento.

Il baglio è un insediamento edilizio rurale tipico del XVI – XVII secolo, che ha rappresentato per lungo tempo il tipo di azienda (a carattere agricolo-pastorale) più diffuso in Sicilia e nel meridione d’Italia, diventando a pieno titolo segno della cultura contadina locale.

Il baglio come la masseria costituiva l'espressione di un'organizzazione economica legata al latifondo, la grande proprietà terriera che alimentava anche le rendite delle classi aristocratiche e della borghesia.

Le masserie erano quindi delle grandi aziende agricole abitate, spesso, anche dai proprietari terrieri, ma la grande costruzione rurale comprendeva pure gli alloggi dei contadini, in certe zone anche solo stagionali, le stalle, i depositi per i foraggi e i raccolti, i locali per la lavorazione dei prodotti (palmento, caseificio e frantoio).
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Di queste strutture colpiscono la funzionalità e la razionalità che predominano nella partitura degli ambienti, la sapiente modulazione di spazi interni ed esterni e la grande armonia e delicatezza con le quali si inseriscono nell’ambiente circostante, segno di un perfetto equilibrio tra uomo e natura.

Nella variata geografia del paesaggio agrario della Valle dell’Eleuterio, questi insediamenti di carattere comunitario, si mostrano ancora oggi ben visibili nel baglio di Balistreri nel territorio del Comune di Misilmeri.

Presenta caratteristiche architettoniche e funzionali, ben precise che il tempo e gli eventi solo in parte hanno modificato, lasciando dunque parzialmente inalterato il nucleo originario dalla cui analisi si può ricavare, nelle grandi linee, buona parte della storia del complesso rurale.

Il baglio si trova all’interno dell’antico feudo Bongiordano, la cui origine del nome fa presumere ad una similitudine biblica riferita al sacro “Fiume Giordano”, infatti il feudo appartenuto già dal XII secolo all’Ordine dei Cavalieri Teutonici presuppone una loro intestazione.

Fino al 1783 il feudo apparteneva alla baronia di Don Pietro Mauro, Marchese di Villa Mauro da Messina, per Reale Clemenza del Re Carlo III di Borbone concesso a Napoli il 13-09-1756.

A causa di sopraggiunte disgrazie e per i troppi debiti contratti coi suoi creditori, l'1 febbraio 1783, il Marchesato Mauro passò per 400 onze a Isidoro Baletreros (discendente di una famiglia di origine spagnola) “Barone di Bongiordano”, titolo che aveva avuto da Ferdinando IV, per privilegio, il 22 giugno 1773.

Si deve però ad D. Antonino Balestreros, possessore di tutto il Feudo di Bongiordano, la volontà verso la metà dell’Ottocento di nobilitare ed arricchire questo podere, posto lungo il fiume Eleuterio, con la costruzione di due mulini ad acqua detti del "Cozzo di Sopra" e del "Cozzo di Sotto", con la piantagione di un esteso vigneto e di un corrispondente oliveto ed un vasto orto di agrumeti e frutti, irrigato dall'acqua della sorgente di Risalaimi.

Grazie agli investimenti di D. Antonino Balestreros si ingrandiva anche il piccolo caseggiato del feudo facendo edificare vaste cantine di vino e stalle per buoi, vacche e pecore con fienili e paglieri, ed un palmento con annesso trappeto sotterraneo.

Vi impiantò inoltre diciottomila alberi di frassino mannifero per la produzione della manna ed estesi sommaccheti con i relativi locali per la conservazione di quella foglia, che dava una produzione di dieci mila chili in un anno.

Il Baglio divenne un vero e proprio centro di una grande attività agricola autosufficiente, che incessantemente impiegava numerosi artigiani, bottai, muratori e contadini dei paesi vicini come Bolognetta, Marineo, Misilmeri ed anche Villabate.

Tutto il personale che vi dimorava, dipendeva dal massaro, responsabile del buon andamento di tutte le attività, insieme alla massara alla quale erano demandati particolari compiti, come quello del formaggio della ricotta dell’allevamento del pollame ed altri piccoli servizi più adatti ad una donna.

Durante il giorno, l’attività operante si svolgeva per tutta la campagna dall’alba al tramonto, e solo a sera al rientro dal lavoro, queste pietre prendevano vita e movimento, uomini ed animali, affaticati e stanchi davano un senso vitale, una visione bucolica e nello stesso tempo familiare.

All’interno del baglio era presente anche una piccola chiesetta rurale intitolata a Santa Rosalia, a testimonianza della profonda religiosità e della devozione popolare contadina dove ogni anno, la seconda domenica di Settembre, se ne solennizzava la Festa, con Funzioni Sacre, corse di cavalli ed altri intrattenimenti popolari.

Nella divisione del Feudo, al Barone Turrisi, genero di don Antonino Ballestreros, come erede per ragione della moglie toccò tutto il casamento del Baglio, l'orto ed i mulini ad acqua, mentre il figlio Don Pietro Marchese di Bongiordano ebbe la maggiore estensione dei terreni che stanno in collina, dove costruì un'elegante masseria fortificata chiamata anche “Acqua del Pioppo”, premiata dalla provincia nel 1902 per la migliore produzione.

Nel secolo scorso, dopo le guerre, ci fu il cambiamento determinante, tra la riforma agraria e i latifondi frazionati, le masserie persero il loro ruolo aggregante, i gabellotti successivi ed i campieri, a poco a poco diventarono i padroni del feudo di Bongiordano, e i Balestreros ed i Turrisi, furono costretti a cedere, per una misera cifra le loro terre, che furono successivamente divise in vari appezzamenti a privati.

Del corpo architettonico del Baglio, abbondonato nel dopoguerra, restano ancora vari locali abbandonati o perlopiù invasi dalla vegetazione e alcuni ambienti crollati nel tempo.

Un patrimonio culturale che lentamente fu lasciato morire, senza considerare la ricchezza che si andava a perdere. Oggi possono ancora testimoniare, con intensità il lavoro, i sacrifici e le passioni dei contadini di un tempo nemmeno troppo lontano.

Un luogo che richiama fascino e storia, dove vivono memorie e particolari che ci fanno pensare e suscitano una vaga nostalgia, la testimonianza vera e radicata di ciò che siamo; il pretesto più genuino per rimanere legati alle nostre radici.
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