ATTUALITÀ
Il cimitero per i "senza nome" che non c'è più e altre stranezze accadute a Palermo
La storia di fosse comuni aperte dal fiume esondato, un ponte "delle Teste" distrutto (di recente) e un muro attraverso il quale si parlava con le anime dei "decollati"
Un'antica stampa descrive il cimitero non più esistente di Palermo
Qui si giudicavano persone provenienti da ogni luogo della Sicilia, accusati d’ogni genere di delitti, qui si decollavano o si impiccavano.
Per questo motivo nacque a Palermo la devozione per le "anime de’ decollati" e sorse la famosa "Chiesa delle Anime de’ Corpi decollati", che era il Santuario dove di concentrava la venerazione del popolo per questi geni tutelari.
Questa chiesa è l’attuale Maria Santissima del Carmelo ai Decollati, un tempo chiamata anche Madonna del Fiume, costruita intorno al 1785 sulla sponda sinistra del fiume Oreto, su un terreno di proprietà del marchese di Santa Marina.
L’8 luglio del 1799, le autorità decisero che i cadaveri dei giustiziati dovevano essere seppelliti nel nuovo cimitero annesso alla chiesetta, anziché in quello che si trovava presso l’ospedale di San Bartolomeo alla Cala, come era avvenuto fino a quel momento. I corpi dei giustiziati però non venivano tumulati, bensì gettati alla rinfusa dentro una botola posta nella piazzetta davanti alla chiesa, corpi di assassini, rei politici e vittime innocenti.
Alcune teste di decapitati venivano poste in una piramide in muratura dentro dei finestrini. Questa macabra piramide era collocata davanti alla chiesa perchè servisse a tutti da monito.
Nel bovembre del 1881 un’esondazione del fiume Oreto fece disperdere i documenti conservati nella chiesa e i resti mortali che giacevano nelle fosse comuni.
La devozione alle anime dei giustiziati cominciò a crescere fra la popolazione, che le credeva erranti in cerca di pace eterna, dispensatrici delle grazie richieste in cambio di una sentita preghiera.
Le anime dei Decollati fanno parte della devozione popolare dei palermitani che intreccia fede e credenze, fra preghiere e richieste e segni da identificare. I nostri anziani ne parlavano come di entità positive, anime che davano consigli o risposte in aiuto a chi chiedeva loro di intercedere presso l’Onnipotente.
I palermitani ne rimasero talmente impressionati, che quando parlavano del ponte vicino il cimitero lo chiamavano "Ponte delle teste". Nacquero così le varie preghiere, e si richiedeva a loro un segno alle loro richieste, sulla sorte positiva o negativa di eventi che dovevano accadere.
Fino ai primi anni del secolo scorso, nella chiesa c’era una lapide (ormai scomparsa) dove le pie donne che ogni lunedì si recavano scalze e poggiavano le orecchie in attesa di risposta dopo essere partite in corteo dalla via Lincoln proprio dal punto in cui si apriva l’altrettanto scomparsa Porta di Termini.
"Ed aspettavano tremanti – scrive ancora Pitrè – la risposta alle loro preghiere mentre il più lieve rumore faceva loro sapere che erano state favorevolmente accolte".
La risposta, infatti, veniva interpretata a secondo del primo rumore che si sentiva subito finita la preghiera. Poteva essere l’abbaiare di un cane, il pianto di un bambino, un grido lontano. Tutto era considerato un segno, una risposta alla domanda.
Per tanti anni rimase a ricordo un cippo funerario che raffigura le anime purganti dei corpi decollati. Era sempre colmo di fiori e di lumini, il due novembre di ogni anno, qualcuno portava sul luogo dei fiori e li sistemava in un vaso di pietra o in quello improvvisato con una bottiglia di plastica tagliata a metà, in omaggio alla grazia ricevuta o da ricevere.
Negli ultimi anni il luogo è stato stravolto prima per l’espansione della città, per la costruzione della nuova linea tramviaria ed ultimamente il cippo che si trova all’angolo di corso dei Mille è stato semidistrutto e non è stato ancora ricostruito.
Il 17 luglio del 1875 la rivista statunitense Harper’s Weekly pubblicò una foto che ritraeva il cimitero, con il titolo: "Brigands’ Cemetery, Palermo, Sicily" (Cimitero dei Briganti a Palermo in Sicilia).
Questo è il risultato di quando si scrive la storia di una città che non si conosce.
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