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Il "nero bianco" di Palermo e la libertà del jazz: il maestro che rimase un autodidatta

La vita e la carriera di un grande musicista siciliano che ci ha lasciato a 88 anni e per anni ha insegnato solo per la sua "chiara fama". La storia di Claudio Lo Cascio

Valentina Frinchi
Freelance in comunicazione e spettacolo
  • 17 settembre 2022

Il maestro Claudio Lo Cascio

Se n'è andato all'età di 88 anni, nella notte tra il 2 e il 3 febbraio, Claudio Lo Cascio, decano del jazz siciliano, un uomo importante, un uomo nobile d'animo.

Noi vi avevamo raccontato la sua storia in questo articolo.

Classe '34, Claudio Lo Cascio frequenta Palazzo Sant'Elia, che negli anni del dopoguerra ospitava la succursale della scuola media "Duca degli Abruzzi, e in quelle mura, con le prime recite scolastiche, scopre la musica.

Nella strada che si chiamava "via rimpetto Casa Professa" (poi diventata via Nino Basile), in quel tratto delimitato tra la salita Raffadali e Piazza Casa Professa, al numero 9, vi abitava la famiglia Lo Cascio.

Il padre titolare della farmacia di fronte al Palazzo delle Ferrovie, di via Roma 36, che seppur da giovane aveva suonato l'oboe, quando il figlio gli chiese di accordare il vecchio pianoforte tarlato "Boiselot" (della nonna Isabella) che tenevano in casa, rispose: «tanto accordato o scordato sempre lo stesso rumore fa».
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Quando i genitori compresero un "orecchio" per la musica unico del ragazzo, che con l'indice della mano destra cominciava a suonare le note di "Lili Marleen", decisero di farlo studiare con la signorina Romano che si recava a casa loro tre volte la settimana per insegnare al figlio le prime lezioni di solfeggio e pianoforte.

L'onestà dell'insegnante la indusse a rivelare ai genitori che il ragazzo avendo un eccessivo orecchio non imparava a dovere secondo le regole della didattica.

Per questa ragione Claudio Lo Cascio rimarrà autodidatta ma diventerà un grande artista, compositore, pianista, direttore d'orchestra.

È nel 1951 che incontra il chitarrista Gigi Arrigo in alcune jam session tenute nella sua abitazione di via Mariano Stabile. Questo musicista diventerà il suo maestro, perché lo accompagnerà nei suoi studi da autodidatta e con lui scoprirà le parole "armonia, arrangiamento, quadratura", le basi per comprendere la libertà del jazz, quel modo di essere che sino ad allora sembrava che a Palermo fosse utopia far trionfare.

La città non era ancora pronta al concetto di democrazia musicale dove ogni musicista trova il suo limite nella libertà degli altri e per questo nasce lo spirito della condivisione per far succedere delle cose "insieme".

Per la società colta i jazzisti erano considerati i negri bianchi, basti pensare che il costo SIAE di un concerto jazz era accomunato a quello della musica leggera perché non era previsto un altro genere importante che si potesse distinguere dalla musica da camera.

Del resto i primi show musicali in onda dalla televisione italiana sono stati quelli chiamati "jazz e musica leggera" con l'esordio di Renzo Arbore e Gianni Boncompagni.

Claudio Lo Cascio ha concentrato tutta la sua vita per affermare il jazz, una musica diversa, e si è battuto per espugnare tutta una serie di tappe che hanno delineato la nascita di un genere diverso sì, ma ha fatto di serie B. È stata la figura dalla notevole importanza per la diffusione della cultura musicale a Palermo.

Dietro un autorizzazione eccezionale dell'avvocato Gullo, allora vice sindaco della città di Palermo, nel 1956, fu possibile poter utilizzare saltuariamente Villa Whitacker, sede ufficiale dell'associazione musicale "Amici della Musica" e della sua attività concertistica di musica da camera, per potere fare qualche concerto jazz con un pubblico compito accomodato in delle sedie predisposte, con l'obbligo per gli uomini di indossare giacca e cravatta. Era la sera dell'inaugurazione, il 19 maggio 1956.

Quella sera il batterista Doruccio Cammarata aveva un abbigliamento più Spartano, una maglia color crema a righe blu e rossa, punto. Il maestro Claudio Lo Cascio gli intimò di andare a casa a cambiarsi.

I musicisti, quella sera si esibirono tutti in smoking con diverse formazioni: una banda Dixieland, Diretta dal maestro Claudio Lo Cascio - Carmelo Marretta tromba, Franco Lombardo clarino, Isidoro Mirabile trombone, Enzo Randisi piano, Livio Civiletti chitarra, Riccardo Corso contrabbasso, Gianni Cavallaro batteria, è il New Jazz Quartet - Enzo Randisi vibrafono, Claudio Lo Cascio piano e arrangiatore, Bruno Petronio contrabbasso, Gianni Mastrilli batteria; primo esempio di jazz moderno siciliano.

Lo stesso ostracismo nei confronti di tutto ciò che non era musica classica vigeva anche al conservatorio Bellini di Palermo dove il maestro Averna, formidabile liutaio, e "Direttore di disciplina", sospendeva ogni allievo che trovava esercitarsi in qualcosa di fuori programma.

L'alunno sospeso poteva rientrare in istituto solo se accompagnato da "almeno" uno dei genitori, "meglio se son tutti e due", concludeva il severo insegnante.

Il 23 marzo 1958 ebbe luogo il primo concerto jazz della storia italiana all'interno di un Conservatorio, il Vincenzo Bellini di Palermo che vide la sala "Scarlatti" a volta da un ritmo moderno e da un sound mai sentito prima suonato dal New Jazz Society - con due orientamenti in parallelo, il "neoclassico" e l'east coast-hard bop".

I primi appassionati Jazz apprezzarono la complessità degli arrangiamenti del maestro Claudio Lo Cascio eseguiti con estrema scioltezza in un neo-bop italiano confrontabile con quello eseguito dal migliore dei jazzisti statunitensi.

Certo, la realtà palermitana rimase di stucco e quasi indisposta nel vedere salire una "batteria" nella sala Scarlatti e quella sera per aver luogo quella tappa così importante si dovette accettare il nome "concerto di jazz sinfonico".

Soltanto un anno dopo, nel 1959, Il jazz riuscì ad entrare in chiesa con un concerto nell'auditorium dei Padri Gesuiti di Casa Professa.

Sino a quel momento la musica jazz era considerata materialista e carica di sensualità per essere suonata in un luogo sacro. E dire che il jazz riesce a trasmettere messaggi di pace e di felicità, ma niente, sino ad allora chiusura totale alla musica che non fosse classica. Su segnalazione di Ignazio Garsia, nel 1985 Lo Cascio venne a conoscenza che si apriva per la prima volta, al Conservatorio di Palermo, la cattedra di "Storia del Jazz".

Con la clausola della "chiara fama" si poteva accedere e presentare domanda con i requisiti di un'attività concertistica e artistica pur non avendo un titolo di studio adeguato.

Claudio Lo Cascio diventò docente a contratto per tanti anni, con un nucleo di studenti agguerriti e tosti, provenienti dalle più disparate località, per poter partecipare alle lezioni nella Biblioteca del Conservatorio.

Negli anni che si avvicinavano all'età della pensione, lo stesso Garsia dovette comunicargli che non avrebbe potuto continuare ad insegnare.

Fu una delusione fortissima perché il maestro si era illuso che l'atipicità del suo contratto lo avrebbe escluso dalle regole imposte a un insegnante di ruolo.

Nel 1976, con un canone locativo di 100.000 lire mensili, Claudio Lo Cascio riuscì a conquistare Villa Pantelleria con l'idea di realizzare un centro culturale interdisciplinare privato, in memoria del più originale dei jazzisti europei, il chitarrista zingaro Django Reinhardt, con l'idea di riunire tutte le musiche senza alcuna priorità artistica. Il 1986 è un anno importante perché accade ciò che ha caratterizzato il significato di un progetto e l'onestà del suo leader.

Tra i progetti e le ricerche musicali di Claudio Lo Cascio nasce tra i primi, se non addirittura il primo disco di quello che oggi chiameremo etno jazz , "il Folk Jazz - un ponte fra le regioni d'Europa". Claudio Lo Cascio e la sua New Jazz Society ripercorrono un viaggio di somiglianze, parentele, contaminazioni, identità e sonorità della musica colta che appartiene alla Sicilia, quanto all'America e all'Europa medio-orientale.

Questo tipo di "jazz alternativo" abbraccia differenze etniche di popolazione distanti, trovando uno straordinario punto di incontro nel folk vestito da Jazz in cui ciascuno si possa riconoscere in quel sound che non è per pochi eletti, ma è culturale, pacifico, senza discriminazione alcuna.

Ed è proprio nell'improvvisazione del Jazz che viene fuori un Folk carico di sincerità dove tutti i popoli si prendono per mano e si muovono ascoltando la stessa musica, quella sintonia umile che non impone alcun genere ma dolcemente accompagna ciascuno secondo la propria melodia e consuetudine culturale.

Penso che il maestro Lo Cascio meriti un riconoscimento, per essere stato pioniere della cultura per la nostra città, e penso che alle nostre istituzioni manchi quella gratitudine e quella sensibilità che ho letto negli occhi di un uomo di 81 anni che non sente più di avere quella grinta per combattere, ma si aspetta solo un po' di compagnia, una carezza, una telefonata, un messaggio.

Ho conosciuto una persona "nobile" in ogni suo respiro, e il giorno che ho potuto incontrarlo nella sua casa di via Francesco Crispi rimarrà indelebile nei miei ricordi.
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