STORIA E TRADIZIONI
Il suo nome ha origini diverse (anche a Palermo): perché piazza Scaffa si chiama così
Divide in due parti il Corso dei Mille e si pone come bivio tra questo e la via Brancaccio che conduce all'omonimo quartiere. Vi raccontiamo la sua storia
Piazza Scaffa
Ma potevano indicare anche travi di legno usate per attraversare piccoli fiumi e corsi d'acqua, ponti rudimentali insomma. Il marchese di Villabianca nei suoi diari indica anche con il termine scaffa una sorta di cassa o di grandissimo contenitore di legno ove si costruivano imbarcazioni: «Fu fabbricato lo sciabecco sopra una cassa ossia scaffa di grossa legname». Sempre il Villabianca cita nei suoi diari, tra i "molini esistenti", quello di Scaffa sito a Maredolce.
Ancora il termine scaffa può indicare sia un piccolo rigonfiamento del terreno che al contrario un avvallamento o una buca. Sicché quando in dialetto qualcuno vi intima di "un pigghiari scaffi" vi sta suggerendo di scansare le buche o i punti impervi della strada per evitare di sobbalzare continuamente dentro l'abitacolo del vostro mezzo.
Essa divide in due parti il Corso dei Mille (antica via del Ponte delle Teste) e si pone come bivio tra questo e la via Brancaccio che conduce all'omonimo quartiere. Fu chiamata così, si crede, per via di un avvallamento che presentava, oppure per il nome di una famiglia aristocratica, gli Scaffa, Onofrio Scaffa fu un noto "consulrore" del Senato palermitano nel XVIII sec.
Vicino alla piazza esiste tuttora il famoso Ponte dell'Ammiraglio, fatto costruire dall'ammiraglio di Ruggero II, Giorgio Antiocheno, nella prima metà del XII secolo per collegare la zona suburbana, al di là del fiume Oreto, con la città medievale.
Ma nei dintorni della piazza, in realtà, vi erano almeno altri due ponti più piccoli, una chiesa e diversi mulini.
Tali "ponticelli" furono costruiti nelle ristrette vicinanze del più grande e prestigioso Ponte dell'Ammiraglio perché il canale del fiume Oreto nel corso dei secoli si andava diramando e restringendo, sicché diveniva scomodo oltrepassare il fiume attraverso il Ponte dell'Ammiraglio poiché molto lungo e con pavimentazione alquanto disconnessa.
Il marchese di Villabianca nei suoi manoscritti ci ha tramandato un acquerello molto esplicativo di questo "sistema" di ponti. Il Vocabolario siciliano etimologico (1790) nel descrivere il corso del fiume Oreto ad un certo punto dice: «ed ingrossato con l'acque di altre fonti passa sotto la Chiesa della Madonna delle Grazie (detta anche del Fiume o del Ponte); qui sostiene un ponte di pietra con tre archi (Ponte delle Teste); indi dopo breve corso regge sopra di sé un altro ponte; e questo è quel ponte, che per essere stato disfatto dalla piena corrente delle sue acque, nominossi ponte rotto benché poi fosse ristorato: (oggi però non più esiste).
Più in giù mette le sue acque sotto il famoso ponte dell'Ammiraglio (volgarmente detto della Midaglia) siegue di poi il suo cammino, mettendo foce nel mar tirreno sotto un altro nobilissimo ponte presso la Città di Palermo: (il quale ne' nostri tempi avendolo rovesciato la furia dell'acque, il Senato di Palermo ne cambiò il letto, e vi fabbricò un nuovo ponte)».
L'ultimo ponte sotto al quale passava l'Oreto sarebbe il noto Ponte di Mare. Sempre il marchese di Villabianca ci riferisce, attraverso i suoi diari, che la Chiesa del Fiume venne benedetta il 23 ottobre 1785, sebbene la sua originaria costruzione risalirebbe al Seicento, e ne aveva cura la congregazione del Sabato.
Essa aveva il compito di «rilevare i cadaveri dal luogo del supplizio, e portarli processionalmente a seppellir nella chiesa, dinanzi a cui è uno spazio piantato a cipressi, siccome luogo di sepoltura».
Avendo anche innanzi «la piramide delle teste de' giustiziati», sulla quale si apponevano entro "finestrini" le teste dei condannati come monito, l'edificio religioso dal popolo fu anche riconosciuto come Chiesa delle Anime de' corpi Decollati.
La piramide venne distrutta durante i lavori per la costruzione della ferrovia, ma un nuovo cippo fu ricostruito nel 1900 in ricordo dei poveri condannati e «decorato da una lastra sbalzata in metallo nobile evocante la storia del sito»; il cippo oggi avrebbe nuovamente bisogno d'essere restaurato.
Suggerisce il professore Giovanni Fatta che i cadaveri dei condannati «venivano gettati alla rinfusa, dentro una botola posta nella piazzetta davanti alla chiesa». Una botola che conteneva i corpi si può definire come una fossa comune? Un buco, una "scaffa" insomma. Che la piazza e il vicino cortile della Scaffa abbiano preso il nome proprio da questa botola o fossa? In fondo il detto "hai un piede nella fossa" rimanda proprio al luogo di sepoltura.
Mi fa pensare a ciò anche l'attribuzione di "scaffa" data al mulino che esisteva nei pressi della piazza. Ad esempio Carmelo Piola nel suo Dizionario delle strade di Palermo non cita "il molino di scaffa" intendendo con "scaffa" il nome del proprietario, né scrive della famiglia "Scaffa" perché avrebbe scritto al massimo "il molino degli Scaffa" o "de'" o "di Scaffa", invece egli scrive proprio "il molino della Scaffa" come a suggerire che la scaffa fosse qualcosa che caratterizzasse, non il molino in se stesso, ma il luogo in cui si trovava, quindi nei pressi di una "scaffa", ovvero di una fossa.
Un'altra ipotesi interessante sul nome è quella che rivela il geologo Pietro Todaro in un suo studio su Le architetture d'acqua dell'Oreto, dove considera "scaffa" il "salto d'acqua" di un mulino, cioè la canalizzazione in muratura per intercettare l'acqua del fiume, evidentemente presente in situ.
Oltre al nome del luogo, vorrei concentrarmi su un evento storico passato alla storia come La battaglia di Ponte Ammiraglio. Pare da numerose cronache dell'epopea garibaldina che i Mille entrarono a Palermo dopo un grande scontro sul Ponte Ammiraglio, evento immortalato in numerosi dipinti, varie incisioni e anche dal nostro grande pittore Renato Guttuso. Beh, in realtà non fu proprio così.
La zona attorno al Ponte Ammiraglio fu certamente interessata da una colluttazione a fuoco, ma i garibaldini passarono ai lati del ponte e sotto le sue arcate, in quanto da quel tratto ormai l'acqua dell'Oreto scorreva veramente misera, il letto era quasi asciutto.
Bisogna sfatare perciò la favola della battaglia di Ponte Ammiraglio perché le cose andarono diversamente da ciò che comunemente si credeva e divulgava: «il 27 maggio 1860, quando una colonna borbonica, accampata per tutta la notte tra le arcate asciutte del ponte maggiore, malgrado fosse attestata con pezzi di artiglieria sul passaggio obbligato dello stretto ponte delle Teste, dovette soccombere alla carica di fucileria ed alla baionetta del grosso dei garibaldini.
Questi, conquistata con pesanti perdite la posizione in quella che a buon diritto avrebbe potuto chiamarsi "la battaglia del Ponte delle Teste, poterono così irrompere in città attraverso la munitissima porta di Termini».
Tuttavia quello che viene definito come Ponte delle Teste nelle cronache garibaldine e che fu il probabile scenario della battaglia, non è il cinquecentesco ponte segnato nelle antiche mappe, né quello settecentesco definito "Ponte delle Teste" in seguito al trasloco della «piramide del serbatoio delle teste recise» che si trovava nel piano di S. Erasmo e che in previsione della bonifica e abbellimento del piano fu trasferita innanzi la chiesa della Madonna del Ponte. Entrambi questi ponti non esistevano più al tempo della presa di Palermo.
Il Ponte delle Teste citato nelle cronache garibaldine era un nuovo ponte che per essere stato costruito vicino o al posto di uno dei primi due assunse lo stesso nome, ma fu realizzato, ex novo, dal senato palermitano intorno al 1835. Infine, il ponte ritrovato qualche anno fa durante gli scavi per la realizzazione del tram, potrebbe essere quest'ultimo, oppure potrebbe non essere nessuno di quelli finora citati.
Vedete quante storie si nascondono dentro una...scaffa? (Per approfondimenti confronta Il ponte delle Teste sul fiume Oreto di Giovanni Fatta; Diari della città di Palermo dal secolo XVI al XIX di Gioacchino Di Marzo; Guida istruttiva... di Gaspare Palermo; Le architetture d'acqua dell'Oreto di Pietro Todaro).
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