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Il suo paese si svuota ma lui vuole restare: chi è Agostino "alfiere" di un borgo in Sicilia

Nei ricordi dei suoi appena 33 anni c’è quella trasformazione che ha visto cambiare lo scenario della “s-popolazione” che continua a perdere pezzi di vita e di storia

Giovanna Gebbia
Esperta di turismo relazionale
  • 11 settembre 2023

Agostino Messineo

Alla domanda perché non andarsene, la risposta non è in una motivazione ma in un'altra prospettiva che diventa punto di vista e di partenza di questa intervista: piuttosto, perché non provare a restare?

Questo ci spiega, in parte, chi è il giovane madonita, classe 1990, nato e residente a Petralia Soprana che risponde al nome di Agostino Messineo alias “Alfiere”, un sostantivo che lui stesso ha aggiunto ma di cui spiegheremo il perché più avanti.

Lo spirito è quello che nutre il sentimento profondo verso il suo paese, senza mancare di quel senso critico che lo spinse, qualche anno fa, a dare vita insieme ad altri concittadini "attivi" all’Associazione di cui è anche il presidente, Cittadinanza Attiva Petralia Soprana, nata per essere un presidio di attivismo socio- cultutale finalizzato a migliorare la qualità della vita in quella Petralia Soprana diventata borgo più bello d’Italia cinque anni fa e nel cui video promozionale prodotto dalla RAI è stato uno dei giovani testimonial insieme ad altri giovani del luogo.
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Stiamo parlando di un animoso animatore culturale, autore di un giovanile libro di prosa e di poesia - Animah (edito Arianna, 2014) - e ideatore del Festival Comet Poesia, dedicato ai paesi e… alla poesia, appunto, intesa non solo come forma di scrittura ma anche come contenitore-manifesto per trasmettere quei valori nei quali si annida la riflessione che vuol fare emergere una presa di coscienza sulla realtà.

L’intento è usare la narrazione della poetica dove i versi recitati - e gli interventi dei vari ospiti sul palco - diventano segmenti di un messaggio corale che alla fine sviluppano la tematica scelta per l’edizione in corso.

«Io non faccio intrattenimento e non mi ritengo un uomo di spettacolo - ci tiene a precisare - La poesia è un tramite per la promozione delle risorse culturali e umane del territorio, un mezzo per suscitare o risvegliare negli spettatori e soprattutto nella comunità quel senso critico di riflessione e di appartenenza e un vettore utile alla crescita sociale, per imparare a conoscere, comprendere e acquisire consapevolezza sullo stato del piccolo mondo in cui viviamo ed esserne parte, appunto, in maniera attiva!».

È in questo contesto che si inserisce il pay-off Salvate i Paesi, che è la radice costante delle sue azioni e interlocuzioni.

«In questo che è, più che uno slogan, un mònito di aiuto, affermo la visione di quello che da tempo sta accadendo - spiega - per contrastare lo spopolamento e l'abbandono dei paesi non è stato fatto abbastanza, o meglio, non si sono realizzate azioni abbastanza efficaci per tutelare la salvaguardia delle piccole comunità, non solo attraverso la valorizzazione del loro patrimonio culturale e umano ma anche nella tutela dei servizi essenziali».

Quale direzione allora? «Bisogna partire dall'assunto che le scelte prese dall'alto e le direzioni intraprese a livello globale non costituiscono un paradigma necessariamente accettabile o sostenibile da parte di tutti.

Per quanto "ci riguarda" - e mi riferisco agli attori locali, quali cittadini, amministratori e imprenditori economici delle aree interne - dovremmo riflettere sul presente e sul futuro dei nostri luoghi e, prendendo consapevolezza delle loro problematiche nel mondo odierno, facendo tesoro delle nuove esigenze della popolazione, soprattutto quella giovanile.

In secondo luogo, ed è una cosa non scontata, mantenendo viva l'attenzione sulla resistenza all'estinzione delle piccole comunità e sul loro patrimonio economico, umano e culturale, oltre il buon punto di partenza, anzi, di "restanza", dell'ambito turistico.

In terzo luogo, ed è la cosa più ardua, ad oggi utopica, cercando di attuare azioni che possano almeno tamponare il fronte di avanzamento di un fenomeno ahimè diffuso su tutto il territorio italiano, anche in controtendenza alle politiche regionali e nazionali. Il tutto partendo da azioni di ordinaria amministrazione, come il mantenimento dignitoso delle strade e il potenziamento delle risorse che il paesaggio ci offre.

Oggi siamo chiamati a ripensare ai nostri luoghi, da una parte custodendo la memoria del passato e tutelando ciò che è ancora "presente" e, dall'altra, preoccupandoci di ciò che ci manca o ci viene negato, con un occhio attento sul futuro.

Di cosa si nutre la mia benedetta utopia di salvare il paese? Della speranza di non far chiudere l'ospedale, di non lasciare letteralmente a pezzi le nostre strade, il cui status danneggia i piccoli commercianti e artigiani e vanifica gli sforzi quotidiani di promozione da parte degli operatori turistici.

Si nutre del diritto sì di andare, ma per scelte personali e ambizioni lavorative che richiedono nuovi e diversi "approdi" e soprattutto del diritto di restare dove sei nato e magari dove vorresti vivere. Scelta, quest'ultima, spesso nemmeno contemplabile in un mondo dove "fuggire" rappresenta l'unica ancora di salvezza».

E aggiunge: «Io, in passato e fino ad oggi, per scelte e non-scelte personali, non sono andato via e spero di non farlo ma se dovesse accadere spero di ritornare, perché, a scanso di chimere e falsi romanticismi, amo davvero questo paese.

Difatti, nel mio piccolo, cerco tutti i giorni di fare la mia parte, almeno per rendere il mio quotidiano più vivibile. Chi mi conosce davvero sa che non sono un pessimista ma un realista, che non offro soluzioni ma riflessioni, talvolta taglienti, su come si possa fare il meglio con quello che si ha e su come si possano - e si debbano - combattere il qualunquismo, l'apatia, il passivismo e la superficialità, componenti che spesso prendono il sopravvento rendendo il quotidiano vivere nella nostra realtà ancora più arduo, in assenza di amore e attenzione per le cose, anche le più piccole.

Un esempio sono le "Mattinate Ecologiche", promosse tramite l’associazione, ideate per rendere più pulite e vivibili quelle zone nascoste del paese che spesso, a causa dell'inciviltà, sono oggetto di degrado».

Ma c’è un altro aspetto che Agostino cura in maniera spontanea e per il quale lo si vede camminare per il centro storico con in mano un leggio: è l'originale accoglienza riservata ai visitatori con cui si accompagna per le vie del paese usando un altro format di sua invenzione, Narrando Petra ovvero una passeggiata tra i vicoli e le piazze dove i focus delle tappe sono ovviamente i beni culturali offerti dal minuscolo seppur concentrato centro storico della sua "Petralia", ai quali unisce la narrazione di aneddoti, eventi storici e curiosità che soltanto un local come lui può conoscere e raccontare con il giusto transfer emozionale.

Lui non fa da "guida turistica"; il senso di questa narrazione è mostrare il paese con i suoi occhi, trasmettendo con passione la storia e la vita quotidiana di questi luoghi attraverso il racconto e il sentimento che tutti dovremmo nutrire verso le piccole comunità, quelle - come lui stesso afferma - minacciate e condannate alla morte per lenta agonia di persone, di risorse, di interessi: i paesi non devono morire, ogni paese è un’anima, è una storia fatta di usanze, di tradizioni, di vita vera.

«Qui la privacy, ad esempio, ha un concetto molto particolare: se succede qualcosa, in meno di un giorno è dominio di tutti, si attiva il cosiddetto curtigghio ovvero il gossip made in paese, ma se vieni e te ne vuoi stare per i fatti tuoi è perfetto, il silenzio qui è un altro valore che merita attenzione, salvaguardia: sul silenzio si potrebbe veramente investire, Il silenzio è rigenerazione, è il non-suono di cui abbiamo bisogno. Come quella lentezza che in città è un'utopia e che qui, invece, è una normale modalità di vita, senza corse nel traffico o file interminabili da superare».

A lui chiediamo come vede il suo paese - e le aree interne del territorio - come vede il futuro partendo da un passato che nel suo racconto scorre veloce.

Nei ricordi dei suoi appena trentatré anni c’è quella trasformazione che ha visto cambiare lo scenario della popolazione, o meglio della "s-popolazione" che continua a perdere pezzi di vita tra partenze e scomparse di piccole economie che non sono ritornate, come le botteghe o gli artigiani, gli amici di infanzia che tornano una volta l’anno in estate e poi ripartono.

Eppure, c’è un accenno di inversione di tendenza, da qualche tempo la vendita delle case ha portato nuovi abitanti che hanno scelto per vacanza ma anche per residenza "il paese".

Torniamo indietro a quell’Alfiere aggiunto al suo nome, al perché di questa scelta.

«Alfiere è solo il mio nome d'arte. Semanticamente, l'alfiere è il portabandiera, colui che porta le insegne, la figura che annuncia, che è depositaria e trasporta nella sua insegna un messaggio di identità.

Io sono portabandiera dei miei valori, del mio vissuto, della mia scrittura, della mia esperienza quotidiana. Da annia cerco anche di essere portabandiera del bene comune. Se magari molte più persone facessero ciò, vivremmo tutti una vita migliore. In paese e in ogni dove».
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