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Impiccata o "sirrata", la vecchia faceva sempre una brutta fine: la mezza Quaresima a Palermo

A mezza quaresima i palermitani erano soliti organizzare una festa che ormai non si fa più. Era qualcosa di simile al "Nannu e a Nanna", con tanto di processione

Antonino Prestigiacomo
Appassionato di storia, arte e folklore di Palermo
  • 14 aprile 2022

Particolare del dipinto "La Vecchietta" di Tito Alessi

La Quaresima è quel “lunghissimo” periodo di quaranta giorni che va dal mercoledì delle Ceneri sino al giovedì Santo. È questo un lungo lasso di tempo in cui i credenti vivono, o meglio dovrebbero vivere, in penitenza perché rappresenterebbe i quaranta giorni vissuti da Gesù nel deserto, dopo il Battesimo nel Giordano.

I palermitani del passato, però, di fare penitenza e digiuni non ne volevano sapere (qualcuno starà pensando: perché quelli di ora? Ma questa è una storia vecchia, perciò rivolgiamoci ai nostri avi che comunque non è che vivessero nell'oro durante il resto dell'anno) e allora anche nei periodi in cui bisognava maggiormente raccogliersi e pregare, loro pensavano alle carnevalate per allontanare il clima mesto che certamente le processioni religiose e i vari sermoni dei sacerdoti infondevano nella città.

A mezza quaresima il popolo organizzava una festa che ormai non si fa più. Era qualcosa di simile al “Nannu e a Nanna”: due fantocci che venivano arsi pubblicamente dopo una caratteristica processione. Similmente avveniva per la “Sirrata di la vecchia”.
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Così Luigi Natoli racconta, o forse sarebbe meglio dire romanza, l'antica tradizione della “sirrata di la vecchia” nella sua opera Capitan Terrore: «Era la mezza quaresima, e allora in Palermo la si festeggiava con una carnevalata che si chiamava “la serrata della vecchia”[...] Venivano innanzi quattro trombettieri che strillavano in certi imbuti, che facevano le veci di trombe; li seguiva una specie di cavalcata ridicola, che a sua volta precedeva un carro tirato da buoi.

Vi era dentro un fantoccio vestito da vecchia e un uomo che rappresentava il boia. Delle finte guardie lo circondavano, e una folla di popolaccio lo accompagnava. A mezzo della piazza di Ballarò era rizzata una forca; lì si fermò il carro, e la vecchia fu impiccata fra gli urli e le sghignazzate del pubblico. Questa “serrata della vecchia” era il saluto che dava la gente alla quaresima che se ne andava».

Giuseppe Pitré, invece, sulla stessa tradizione riporta il ricordo diretto del Marchese di Villabianca del 1737: «La sirrata di la vecchia, che a' giorni nostri pochi sapranno che cosa significhi, e che si dice in forma di scherzo, è storica in Palermo e di valore mitologico. A mezza Quaresima una vecchia veniva trasportata in Palermo sopra un carrozzone tirato da buoi e accompagnata e assistita a ben morire da due lazzari vestiti alla maniera de' soci della Compagnia de' Bianchi, il cui istituto è, come si sa, di assistere i condannati a morte, ma coperto il capo di grandi e certo non odorosi baccalari.

Nella piazza di Ballarò era alzato un palco e la vecchia, tra la comune e lieta aspettazione vi saliva rassegnata a subire l'estremo supplizio. Ed ecco due finti carnefici in mezzo a una tempesta di battimani e di evviva segarle con vera imperturbabilità il collo o meglio una vescica ripiena di sangue precedentemente acconciatale, donde fluivane in larga copia il sangue stesso, intanto che la vecchia così segata fingeva venir meno per isfinimento morendo in lei la ingrata Quaresima di penitenza. L'ultimo di questi simulacri di esecuzioni ebbe luogo tra noi nel 1737».

Di seguito a questo racconto il Pitré suggerisce che la stessa tradizione si svolgeva anche a Trapani. Ma se proprio vogliamo non è una tradizione del tutto siciliana. Infatti, leggendo I giorni del sacro di Franco Cardini, ci accorgiamo che questo tipo di tradizione la si registrava anche al nord Italia: «La vecchia si brucia ancora (il testo è del 1983) a Castel del Rio, tra Firenzuola e Imola, e bruciature e/o segamenti di Vecchie si avevano un po' d'appertutto, da Verona a Brescia, alla Romagna (Famoso il rito di Forlimpopoli), alla Toscana, all'Umbria fino a Palermo, dove sin all'inoltrato XVIII secolo la Sirrata di la vecchia era una festa grande e solenne».

Al sud Italia inoltre nello stesso periodo si registrava il gioco della “pignatta” o “pentolaccia” che consisteva nel rompere da bendati un contenitore ripieno di dolciumi appeso da qualche parte. Anche i fantocci delle vecchie che venivano segate potevano contenere leccornie, che rimandano alla benefica figura della Befana.

La vecchia segata, però, non è la Befana, né la Nanna, rappresenta la quaresima, e l'atto del segarla significa “esorcizzare” il periodo di sacrificio lungo quaranta giorni, dimezzarlo e alleggerirlo. In sostanza, la “Sirrata di la vecchia” era una festa in antitesi al tempo religioso che una volta “dettava legge” e costringeva a digiuni e penitenze, oltre a quelle già patite dal popolo nella sua condizione di sottomesso. Oggi, tutto sommato, viviamo nel benessere ma, viste le brutture della pandemia e della guerra, una bella vecchia panciuta la segherei ben volentieri.

(Per approfondimenti sul tema suggerisco di leggere Spettacoli e feste popolari siciliane di Giuseppe Pitré, I giorni del sacro di Franco Cardini)
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