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In Sicilia si chiama "jattu mammuni": storie di una creatura mitologica che spaventa tutti

Per alcuni il Gatto Mammone era un grosso e brutto animale che spaventa le mandrie, per altri invece era una creatura buona in grado di tenere lontani gli spiriti maligni

Gianluca Tantillo
Appassionato di etnografia e storia
  • 16 aprile 2021

Quando da piccolo mi infilavo in quel bellissimo "Paese delle Meraviglie" che era lo sgabuzzino di mio nonno, pieno zeppo di attrezzi e cose pericolose con cui un bambino di otto anni può felicemente giocare rischiando la guardia medica, lui per farmi spaventare mi minacciava di chiamare una creatura mitologica persa nei meandri della tradizione: il Gatto Mammone.

Mio nonno era antico come la camminata a piedi, certo, ma il Gatto Mammone è più antico ancora. Il suo nome (non quello di mio nonno) dovrebbe essere un incrocio tra il gatto (animale da sempre associato a cose strane) e la parola araba maimūn che sta per scimmia.

Un'altra versione vuole che invece derivi da Mammona una parola di origine misteriosa che in aramaico è associata al diavolo.

Si racconta che si trattava di un gatto grosso e brutto che spaventava le mandrie che pascolavano usando un verso che era un mix tra un miagolio e un ruggito (in pratica se vi foste trovati con le pecore al cospetto del Gatto Mammone, non avreste ottenuto ricotta per quella settimana).
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In altri racconti invece diviene una creatura buona in grado di tenere lontani gli spiriti maligni e certe volte pare che porti sul muso una “M” bianca come quella di Vegeta di Dragon Ball sotto l’influsso del mago Babidi (i più giovani se lo ricorderanno).

Secondo gli studiosi (perché è giusto che pure gli studiosi si occupino degli incubi dei bambini) l’origine di questa parola potrebbe derivare dalla divinità dell’antico Egitto Amon che poi che poi venne assimilato a Ra divenendo Amon-Ra.

Per quando riguarda i fatti di casa nostra, perché noi di sicilianità ci occupiamo, dubitando che mio nonno avesse amici in antico Egitto, è possibile farla salire ai nostri amati Fenici.

Baal Ammone, chiamato il Saturno Africano, era la divinità principale delle colonie fenicie di Cartagine e che se andate cercare una foto pare il fratello sputato del Genio di Palermo: barba all’ultima moda, animali intorno e spesso seduto su un trono stile Casamonica.

La cosa bella di questo Baal Ammon, e che ricollega alla questione "bambini/mammone", era che il suo culto prevedeva che si bruciassero dei fanciulli in suo sacrificio. Se questa vi sembra una cosa assurda pensate che pure da noi (a Mozia e a Solunto) sono stati ritrovati dei Tofet punici che erano degli altari o simil forni che servivano proprio a questo.

La credenza di questa creatura, visto che nel Mediterraneo andavano girando dalla mattina alla sera, si diffuse presto in tutto il Sud Italia e con l’avvento del Cristianesimo, venendo meno le religioni pagane, queste figure finirono nel calderone della racconto popolare, dell’arte o in alcuni casi nel Carnevale.

A Paternò, in provincia di Catania, per esempio, ci sta un monumento che contiene un'antica fonte idrica che si chiama "Fonte Mamoide".

È lo stesso storico Francesco Onorato Colonna che nel suo “Compilatio historico” ci racconta della leggenda secondo cui quelle parti si aggirava una belva pericolosa detta jattu mammuni che proteggeva la fonte.

Sempre per restare nelle Isole, in Sardegna, in provincia di Nuoro, il Maimòne altro non è che un fantoccio fatto con stracci, pelli di gatto e che assomiglia ad un gatto ma più brutto. Nella Puglia tanta cara al nostro Federico II, invece la parola mamàun significa “stupido” o perlopiù “biricchino”.

Questa figura, dal Sud Italia, certe volte si è pure spostata al Nord.

È il caso di Serafina dal Pont che nel 1968 disse ai giornali di avere visto il gatto mammone che le spaventò le mucche mentre erano al pascolo. Serafina si salvò invocando Santa Rita che si materializzò sotto forma di topo ancora più grosso del gatto mettendolo in fuga.

Secondo me, a Serafina venne un leggero languorino, tipo voglia di qualcosa di buono, s’acchiappò un fungo che non si doveva acchiappare e finì a schifio. Questa cosa prima di divertire me, divertì Dino Buzzati che ci fece un disegno su Serafina.

Negli anni, anche se in forme leggermente diverse, questa figura ha continuato a vivere nel cinema e nella letteratura in genere.

Non sarà il caso del nostro Gattopardo ovviamente, ma lo stesso Wolfgang Goethe che nel 1787 descrive quello di Palermo come il promontorio più bello del mondo, se ne torna in Germania e nel 1808 scrive il dramma in versi “Faust” in cui ci mette pure la famiglia di una Gatta Mammona che crea filtri magici.

Di nuovo Dino Buzzati, Premio Strega 1958, scrive un romanzo intitolato “La famosa invasione degli orsi in Sicilia” in cui parla del Gatto Mammone.

Per quanto riguarda i cartoni pare siano stati presi anche alcuni tratti di questa figura in “Le avventure di Alice del Pese delle Meraviglie” per lo Stregatto e la stessa Maga Magò in “La spada nella roccia”, sempre della Disney, dice di essere lei stessa un gatto mammone.

Nel cinema invece ci pensò Alberto Sordi che nel film “Un americano a Roma” viene beccato da una guardia a sparare ad un gatto che sta mangiando su un foglio di giornale, dopo aver detto la battuta: «Gatto Mammone, fai finta de legge er giornale! Canta i Salmi"».

Concludiamo dicendo, visto che i napoletani condividiamo la nostra passione per le carte regionali da gioco, che il tre di mazze, proprio delle carte napoletane, ha al centro la faccia di un uomo un poco brutto assai che viene chiamato proprio gatto mammone.

Ora, io non lo posso sapere se mio nonno sapeva tutte queste cose sul gatto mammone, ma a distanza di anni, pure se non c’è più, glielo posso dire: «A me stu gatto mammone non mi ha fatto scantare mai!».
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