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L'antica gemella di Gioiosa Marea che (forse) non conosci: da qui si vedono anche le Eolie

Non tutti conoscono questo luogo, vicino a una nota meta estiva dove i resti di un'antica città, tra i fiori selvatici, raccontano storie di arrembaggi e fughe sui monti

  • 18 dicembre 2022

Gioiosa Guardia in Sicilia (foto di Di Enzo Rippa - Opera propria, CC BY-SA 4.0)

Tutti conoscono Gioiosa Marea, se non ci sono stati almeno per sentito dire. La graziosa cittadina in riva al Tirreno, infatti, è un'apprezzata meta turistica estiva. Ma quanti conoscono, invece, Gioiosa Guardia?

Bisogna risalire qualche chilometro sulla collina alle spalle di Gioiosa Marea per raggiungere le rovine della piccola città dove i gioiosani hanno vissuto fino al 1783. La strada, piuttosto stretta e in continua salita giunge fin quasi alla vetta di Monte Meliuso, a circa 800 metri d'altezza.

Fu qui che nel Trecento venne costruita una robusta fortezza, per ordine di Vinciguerra d'Aragona, uno degli aristocratici più influenti della Sicilia dell'epoca, con addirittura sangue reale nelle vene, visto che il nonno paterno Sancio era figlio naturale del re Pietro I di Sicilia.

L'elenco dei feudi e dei titoli di questo Vinciguerra è da capogiro, con torri, terre e castelli da Cammarata a Tindari, da Termini Imerese a Capo d'Orlando.
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Intorno alla fortezza su Monte Meliuso, l'Oppidum Guardiae Joiusae, pian piano cominciarono a sorgere delle case. A quei tempi, sistemarsi su montagne difficilmente accessibili era, di fatto, la maniera più facile per difendersi dalle incursioni dei pirati che affliggevano le coste mediterranee.

Meglio ancora se, in cima a queste montagne, c'era pure un castello dove trovare rifugio se se ne fosse presentato il bisogno. Così Gioiosa Guardia prosperò e crebbe, si dotò di chiese e case in pietra.

Fino alla fine del Settecento, come accennato, quando una serie di terremoti devastanti atterrirono talmente i gioiosani da spingerli ad abbandonare le proprie case e a fondare un nuovo paese sulla costa. D'altronde, pirati non ce n'erano più, e la posizione vicino al mare era indubbiamente più comoda.

I gioiosani portarono a valle tutto quello che poterono recuperare, compresa la statua del santo patrono Nicola. Per non scontentare nessuno ricostruirono in riva al mare le stesse quattro chiese che avevano in montagna. Nei duecento e più anni che sono seguiti tutti gli edifici si sono andati inesorabilmente sbriciolando.

Oggi chi raggiunge il sito trova solo qualche brandello di mura, frammenti di volte, vani di antiche finestre, tutto riccamente colonizzato da erbe spontanee e punteggiato di fiori selvatici. Si fa fatica a riconoscere alcunché a parte il castello che staglia nella parte più alta della montagna dei muraglioni diroccati e una torre smozzicata.

La vista, in compenso, è rimasta intatta. Da quassù, nei giorni tersi, si distinguono le sagome di Ustica e dell'Aspromonte, sull'orizzonte galleggiano le Eolie, a est si eleva il cono dell'Etna. Il sito in cui venne costruito il castello, nel Trecento, non era stato sempre disabitato.

Scavi archeologici hanno svelato, una quarantina di anni fa, i resti di un centro abitato preistorico (XII-VIII secolo), successivamente ellenizzato, distrutto nel IV sec. a.C, forse anch'esso a causa di un terremoto. Sui ruderi del villaggio in seguito venne costruito un convento, anch'esso oggi diroccato. Quest'area si raggiunge percorrendo il “sentiero dei falchi”, un sentiero che gira intorno alla vetta della montagna regalando viste emozionanti.
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