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L’antico fascino dei mulini nella Valle dell’Eleuterio: tour tra tesori (dimenticati)

I loro nomi derivavano soprattutto dalle famiglie di mugnai che li possedevano o che li tenevano in affitto o dalla posizione occupata rispetto agli altri

Marco Giammona
Docente, ricercatore e saggista
  • 13 maggio 2023

Un mulino nella valle dell'eleuterio

La Sicilia, si sa, ha fondato fin dall’antichità la sua stessa esistenza sulla produzione del grano e sulla sua trasformazione.

L’esigenza di poter disporre di attrezzi adatti alla molitura fu avvertita fin dai primordi della civiltà: fin dai tempi più antichi la molitura dei cereali ricoprì un posto importante nelle occupazioni domestiche quotidiane, soprattutto delle donne. Per millenni i cereali furono macinati su pietre a superficie concava, con l’aiuto di macinelli, con un faticoso movimento esercitato stando prevalentemente in ginocchio.

Ma fu quando ci si rese conto che, per ottenere il risultato, si poteva sfruttare la forza motrice dell’acqua che si assistette alla nascita di veri e propri impianti, a volte complessi, per la produzione della farina.

Così vennero costruiti i primi mulini in prossimità dei fiumi e, con il passare del tempo, essi divennero sempre più numerosi fino a formare, nell’ambito dello stesso territorio, a volte ristretto, delle vere e proprie aree pseudo artigianali.
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Il mulino ad acqua costituiva un notevole esempio di ingegneria industriale e rappresentava per i contadini la meta finale cui recarsi ogni anno col raccolto strappato alla terra, spesso con esiti esigui. Tuttavia quella civiltà contadina, scarsamente dotata di mezzi, svolgeva la propria attività in piena armonia con le risorse naturali disponibili e nel totale rispetto dell’ambiente circostante.

Lungo il corso del fiume Eleuterio è oggi possibile trovare le tracce di questo intrinseco passato. Il corso d’acqua, un tempo navigabile, disegnava varie anse nella vallata che scendeva verso meridione: esso solcava il territorio misilmerese, da nord a sud, e rappresentava la lunga spina dorsale attorno alla quale si era attestata la presenza dell’uomo fin da epoche lontane.

È proprio lungo questa linea di fiume che vennero costruiti i mulini ad acqua, ben 18, come attesta la Carta Idrografica della Sicilia del 1891, dei quali oggi rimane più di qualche traccia. Dei mulini dislocati nella valle dell’Eleuterio si ha notizia sin dal 937 d.C all'epoca della conquista araba della Sicilia.

E proprio dagli Arabi, che in Sicilia realizzarono numerose opere di incanalamento delle acque e diedero il via alla realizzazione di una serie di mulini idraulici, ci è rimasta in eredità anche una serie di termini come "gebbia", "saja" e "senia" parole che indicano, rispettivamente la vasca di raccolta delle acque, i canali e la ruota del mulino ad acqua.

Un ramificato sistema di canalizzazione costituiva la forza motrice di questa diffusa attività produttiva a cui corrispondeva una altrettanto capillare rete distributiva.

Per secoli la proprietà dei mulini della rimase appannaggio della nobiltà e del clero, che ne traevano, oltre a notevoli vantaggi economici, prestigio e potere. ​

Per l’intera valle dell’Eleuterio, la tecnica del mulino oltre che per la produzione di farina di frumento venne utilizzata per altri scopi quali la follatura dei panni, (Mulino Paratore - Risalaimi), e la macinazione della canna da zucchero (Trappeti di Ficarazzi), l'estrazione dell'olio d'oliva, dagli ampi uliveti impiantati sin dall'epoca araba.

I nomi dei mulini derivavano soprattutto dalle famiglie di mugnai che li possedevano o che li tenevano in gabella, o dalla posizione topografica da essi occupata nel contesto degli altri mulini.

Di quelli più antichi oggi ricordiamo i mulini “Cozzi” e quelli di “Paratore”, “Risalaimi”, “Mulinello”, “Mmenzu”, “Murtiddi”, “Abbadessa” “Don Cola” e “Stretto”. Operanti al pari di tutti gli altri mulini ad acqua siciliani furono attivi fino agli anni immediatamente successivi alla seconda guerra mondiale, avendo complessivamente una capacità giornaliera di circa 5-7 tonnellate, sufficienti al fabbisogno di Misilmeri, Marineo e dei paesi limitrofi come Bolognetta, Godrano, Villabate.

Vennero abbandonati in seguito all’avvento dei mulini a funzionamento elettrico sorti nelle immediate vicinanze e/o all’interno dei centri abitati senza tuttavia alterare la sostanza di una tecnologia secolare, costituita di gesti profondamente «abituali» inseriti sapientemente in un ciclo determinato dal tempo della semina e del raccolto, dalla domanda bassa e poco differenziata, ma costante, presente in un mercato essenzialmente rurale.

Mentre i mulini ad acqua erano spesso dislocati in posti impervi, tanto da essere raggiungibili solo con muli o asini ed erano soggetti a funzionamento discontinuo e strettamente dipendente dalla portata del fiume, di contro quelli elettrici risultavano di comodo accesso e potevano garantire un funzionamento continuo. Oggi gli antichi mulini della Valle dell’Eleuterio sono ridotti a ruderi utilizzati per altri scopi rispetto all'uso originario, conservando intatto il fascino della civiltà contadina a cui erano intimamente legati.

Ancora individuabile e in parte quasi perfettamente funzionante è il sistema di prese dell’acqua dal fiume Eleuterio e il sistema di canali di adduzione, le saje, che con un percorso a volte di centinaia di metri portava l’acqua al mulino: al termine del canale un primo invaso chiamato ingoggiatura consentiva di raccogliere l’acqua che attraverso un ulteriore canale veniva confluita nella botte, ossia un silo in pietra a forma cilindrica o parallelepipeda.

Da qui l’acqua per caduta veniva direzionata verso la ruota, dotata di pale in legno o ferro e posizionata sotto il corpo del mulino, che imprimeva il movimento rotatorio della mola in pietra: quest’ultima macinava il grano e consentiva di produrre la farina.

Di particolare interesse era il cosiddetto salto dell’acqua, ossia la caduta dell’acqua dalla botte alla ruota: i proprietari dei feudi dov’erano posti i mulini traevano anche da questo un cospicuo guadagno, considerato che per il funzionamento del mulino era necessario avere il salto dell’acqua che facevano pagare a prezzi non modesti.

È innegabile che i vecchi mulini ad acqua, o ciò che di essi rimane, racchiudano in sé un grande valore storico culturale e antropologico, testimonianze residue dei processi di trasformazione dei prodotti della terra.

Un potenziale turistico-culturale rilevante che, se correttamente interpretato, potrebbe rappresentare un discreto percorso di fruizione alternativo, soprattutto se inserito in un sistema di valorizzazione complessivo dell’area.
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