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L'aquila, il Genio ma anche Ercole e il Fiore: gli antichi simboli di Palermo tra mito e verità

Le origini della città di Palermo, attraverso i suoi simboli, partendo addirittura dalla narrazione degli antichi abitatori della Sicilia per poi arrivare alla fondazione, sia leggendaria, sia storica

Antonino Prestigiacomo
Appassionato di storia, arte e folklore di Palermo
  • 2 dicembre 2021

Ad un certo punto della storia gli umanisti cominciarono a raccontare le origini della città di Palermo, nonché dei suoi simboli, partendo addirittura dalla narrazione degli antichi abitatori della Sicilia per poi arrivare alla fondazione, sia leggendaria, sia storica, della città che conservava i privilegi di “Prima Sedes, Corona Regis et Regni Caput” ottenuti dopo la fondazione del Regno di Sicilia avvenuta il 25 dicembre 1130 con l'incoronazione di Ruggero II d'Altavilla nella cattedrale di Palermo e conservati sino al Regno delle Due Sicilie di cui la capitale divenne Napoli.

Prima Sedes, Corona Regis et Regni Caput secondo il Di Giovanni vuole dire «Fu ella Prima Sedia, perché, recuperato il regno dalle mani de' Mori, benché a tempo loro anco si fosse fatta città regia, ivi sempre si coronarono e stettero i re.

Fu Corona Regis che significa il primato di tutti altri stati del regno; et Regni Caput, non solamente di Sicilia, ma di tutti gli altri stati dominati per loro: onde si dee intendere del regno di Napoli, essendo stata data quella città dal papa al re Rogiero per la liberazione avuta della presa del valoroso Guglielmo primo nostro cittadino; ed anco d'Italia, per quel nuovo Cesare Federico II imperatore, figlio anco della patria nostra, il quale, col suo gran valore debellando molte città e province fu dal papa confirmato imperatore e re d'Italia; intanto che, essendo egli prima re di Sicilia, di cui fece capo la nostra patria Palermo, tutto quello, che egli conquistò, si intende averlo conquistato sotto la sua corona, cioè sotto Palermo».
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È su tali privilegi che dal 1630 giura, ponendogli sopra la mano, la statua bronzea dell'imperatore Carlo V a piazza Bologni. «... i re di Sicilia nella coronazione, giurando prima sugli evangeli, giuravano poi su quel volume, contenente i privilegi di Palermo, che qual antica capitale, rappresentava il regno di Sicilia. [...] Eseguivasi questa solenne funzione per diritto speciale di Palermo nella nostra cattedrale, onde vi sta scritto: Prima sedes corona regis, et regni caput».

Tale celebre frase la vediamo riportata nei principali palazzi e chiese di Palermo come ad esempio la si vede nel portico meridionale della Cattedrale o al primo piano del palazzo Pretorio, accompagnata in questo caso da un'altra frase latina, cioè “Anguem, Aquilam atque Canem prudens augusta fidelis Palladis et Cereris dona Panormus habet” che significa “Palermo ha ricevuto in dono da Minerva e Cerere il serpente, l'aquila e il cane in segno della sua saggezza, grandezza e fedeltà”.

La medesima frase completa la si può notare ancora a Villa Giulia affissa nella rupe che sostiene il Genio di Palermo, altro simbolo atavico della città panormita. Tolti i complimenti relativi alla saggezza e alla grandezza rimane il fatto storico, o leggendario, della fedeltà. È grazie alla fedeltà che la città di Palermo si meritò l'attributo di “Urbs Felix” città felice.

I più grandi storici dal Fazello, all'Inveges, al Di Giovanni ecc. ci raccontano che durante le guerre romano-puniche che coinvolsero inevitabilmente la Sicilia e quindi Palermo, la città fu “fedele e servente” all'esercito romano, dacché questo si sentì in dovere di ringraziare lo sforzo del popolo panormitanon e lo ricompensò con il simbolo imperiale dell'aquila e con la libertà di potersi auto-governare.

Ma poiché l'aquila imperiale era il simbolo distintivo dell'Impero Romano si valutò un'alternativa, ovverosia una variante. Lascio il racconto di tale evento all'eminente storico Pietro Ranzano «Volsiro ancora li patri di lo senato romano, chi la aquila, la quali per loro armi usavano li re et imperaturi et preturi romani, chi era stata portata in Italia da lo trojano Enea, fussi ancora piglata et usata per loro armi dali Panormitani. E ben vero, per esseri alcuna diferencia intro li armi di la matri et di la figlia, volsiro chi la aquila di li Panormitani non fussi nigra di coluri, imperciò chi ej l'aquila natorali; ma chi non mutandosi per nenti la specia di tali nobilissimo auchello, fussi di coluri di oro resblendenti. Li armi adunca di Palermo, da tando innanti, foro et fu una bellissima aquila di oro».

Così la città di Palermo si guadagnò il simbolo imperiale dell'aquila ad ali spiegate di colore oro “resblendenti”. Tommaso Fazello racconta un aneddoto molto interessante al riguardo della stoica resistenza dell'esercito palermitano e in particolare del grande contributo che diedero le donne palermitane alla battaglia contro l'esercito fenicio: «Egli è stato lasciato per memoria da gli antichi, che non solamente furon bravi in Palermo gli huomini, ma vi furon brave anco, e valorose le Donne, di maniera, ch'elle una volta per difesa della patria, mancando la canapa per far le corde à gli archi, si tagliarono i capelli, e gli accomodarono à guisa di corde, ben che io non trovi in qual guerra seguisse quella bella cosa e degna di memoria». In sostanza questi onori ce li meritammo sul campo!


Palermo ha un altro importante simbolo, esso è il Genio, nume tutelare, mascotte storica e personificazione della città: un vecchio barbuto vigoroso e con la corona ducale sul capo. Solitamente è seduto su un sasso mentre un serpente gli morde il petto. Sovente è accompagnato da una frase latina: Panormos alienos nutrit suos devorat che significa “Palermo nutre gli stranieri e divora i suoi” (figli o abitanti?).

Secondo quanto è arrivato a noi anche questo simbolo ci sarebbe stato concesso dall'esercito romano dopo le battaglie romano-puniche, ma gli storici oggi sono più affini nel credere che esso sia un simbolo più propriamente rinascimentale, tuttavia in mancanza di prove certe mi attengo a quanto scritto dal Di Giovanni «Scipione al suo ritorno per mostrarsi grato a Palermo per l'aiuto, e sostentamento: che da quello havea avuto: col consenso del Senato, e Popolo Rom. vi presentò una statua di marmo del proprio Palermo, con corona Ducale in testa; assiso sopra un verdeggiante sasso, entro un'ampissima conca d'oro: alludendo alla Piana ove egli sta assiso, piena tutta d'ogni sorte di frutti, con un serpe; che l'andava vincendo dal piè fino alla mammella sinistra, tenendolo Palermo con la mano, che pareva nutrirlo con il latte».

Oggi è in atto una rivisitazione della figura del Genio da parte degli storici contemporanei sia da un punto di vista storico che esoterico; in attesa di nuove importanti prove in merito mi sono limitato alla narrazione che sinora è riconosciuta come “veritiera”.

Alla fine del XVI e inizi del XVII secolo, dopo la costruzione della “Strada Nova”, cioè la via Maqueda, che andrà a dividere la città di Palermo in quattro parti, noti come “Mandamenti” (Mandamento Palazzo Reale, Mandamento Monte di pietà, Mandamento Castello a mare e Mandamento Tribunali) e corrispondenti ai quattro quartieri più rappresentativi (Albergheria, Capo, Loggia e Kalsa), nacquero le esigenze da parte di ognuna delle rappresentanze dei detti quartieri di riconoscersi sotto un vessillo.

A quanto pare non bastavano le rispettive sante patrone (Cristina, Ninfa, Oliva e Agata) così ogni Mandamento si identificava anche laicamente e politicamente con un simbolo specifico che il Marchese di Villabianca descrisse in questo modo «La prima di esse città si chiama Albergheria, la seconda Siralcadi o sia Capo, la terza Loggia e la quarta Kalsa; e divisate pure tutte e quattro restano dalli suoi particolari stemmi, cioè dell'angue in campo d'oro per l'Albergheria, dell'Ercole o sia del Sansone sbranante un lione, che leva la Siralcadi; dello stemma di Casa d'Austria per la Loggia; e del fiore finalmente della branconina e della rosa, toccante all'ultima città della Kalsa».

Questi stemmi si potevano vedere una volta affissi nella fascia sottostante il Genio detto “lu Granni” a piazza Garraffo. Da qui furono staccati intorno agli anni '90. Non so se siano gli stessi, ma tali simboli si trovano tuttora esposti in una parete della sala Rostagno di Palazzo delle aquile. Altri si vedono inoltre sulla cornice del portone di ingresso dello stesso Palazzo delle aquile, però sono una riproduzione ottocentesca.

È recente l'attribuzione di simbolo della città di Palermo al frangipani, fiore noto come pomelia, anche se in verità più che attribuzione è una “appropriazione indebita”. Si tratta del fiore di una pianta tropicale, proveniente dall'America Centrale, importata nel XVII secolo a Palermo dagli spagnoli.

Se ne vedono moltissime nei mesi estivi affacciate ai balconi delle case. È un fiore allegro con petali bianchi all'esterno e un cuore giallo e profumato. Probabilmente grazie all'ampia diffusione in città oggi rappresenta uno dei simboli della stessa, ne saranno contenti i fenici dopo quasi tremila anni, furono loro i primi ad identificare col nome di un fiore, Zyz, la nostra terra.
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