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L'imponente palazzo nel cuore di Palermo: dentro custodisce mosaici e legni Ducrot

Colpito dai bombardamenti, racconta ancora attraverso la sua architettura, un pezzo importante delle stratificazioni della prima metà del Novecento

Danilo Maniscalco
Architetto, artista e attivista, storico dell'arte
  • 17 dicembre 2023

La sede della Banca d'Italia a Palermo (foto Banca d'Italia)

Da oltre 90 anni è luogo istituzionale nel cuore della Palermo novecentesca.

È la sede della Banca d'Italia che occupa il lotto adiacente la via Lucifora in prossimità dell’ex-Supercinema Excelsior, edifici entrambi progettati da Salvatore Caronia Roberti, allievo basiliano tra i più attivi e che proprio lungo la via Cavour lascia imponenti tracce del proprio talento creativo dichiaratamente eclettico.

L’intero fronte del tratto iniziale della strada a cento passi dal Teatro Massimo è infatti appannaggio della poetica costruttiva di Caronia Roberti, tra i più influenti progettisti degli anni Venti e Trenta, il quale una volta deposto il lessico floreale del maestro Ernesto Basile, si destreggia abilmente e con grande mestiere tra un rigido eclettismo di maniera e l’austerità talvolta pedante dello stile littorio, realizzando imponenti edifici proprio come il Palazzo della Banca d’Italia, il "dirimpettaio" Palazzo Amoroso – solo per restare nello stretto ambito della via Cavour – e il restyling "mimetico" del Palazzo Galati-De Spuches ad angolo con la via Ruggero Settimo.
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L’imponente massa dell’istituzione bancaria schiaccia la percezione dello spazio urbano sottostante con i suoi tre piani fuori terra impostati al di sopra dello zoccolo basamentale sul quale si aprono le finestre a dar luce al piano seminterrato.

Non è sicuramente tra le più felici realizzazioni caroniane, soprattutto in termini stilistici, ma ne restituisce la grande capacità compositiva nel governo di masse e rapporti tra pieni e vuoti, nel ricorso all’abaco di soluzioni decorativo-architettoniche in prestito dalla storia degli stili del passato, nella sapiente – comunque la si pensi – creazione di equilibrio tra le singole parti e il tutto, dentro cui il progettista impone la potenza espressiva del dettaglio alla narrazione seppur rigida dell’impaginato dei prospetti su strada.

Interessante resta la trasposizione del metodo basiliano, relativamente a funzionalità della pianta e alla caratura monumentale dell’istituzione rappresentata proprio attraverso l’architettura.

Il ricorso alle atmosfere tra Barocco e Rinascimento romano verso cui Caronia Roberti pare tendere, quasi a voler imporre al suo edificio il prestigio tipico degli edifici imponenti del passato.

Piaccia o meno lo stile palesato senza intendimenti dalla pelle della costruzione, governata dalla giustapposizione di rivestimenti marmorei e intonaci plastici, l’edificio, anch’esso colpito dai bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale, disvela tutta la sua ricchezza negli interni, relativamente alle sale di rappresentanza in cui rivestimenti lignei Ducrot e interessanti pavimentazione "mosaicate", raccontano del fasto a cui l’architetto seppe dare l’impronta di quel tempo.

Un tempo che almeno per la disciplina architettonica vide sovrapporsi nella costruzione del volto della città ancora echi floreali a nuovi e vecchi classicismi, aure decò e futuriste, echi proto-razionalisti ed eclettismi di tarda maniera e a tratti fuori tempo massimo.

Eclettismo stilistico che impatta prepotentemente sulla pelle della Banca d'Italia palermitana che con la guerra perse il ciclo pittorico dell’Allegoria della Nazione dipinto sul soffitto cassettonato da Gino Morici, ma che nella ricostruzione in stile degli ambienti colpiti, racconta ancora attraverso il peso urbano dell’architettura, un pezzo importante delle stratificazioni della prima metà del Novecento.

Piaccia o meno, è un pezzo di storia della cultura progettuale con la quale bisogna fare i conti, scevri da vecchissimi pregiudizi.
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