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La chiamano in tanti modi, tutti positivi: la "città dell'amicizia" vicino a Palermo

Arrivando su questo balcone naturale, a oltre 900 metri di altitudine, la sensazione è subito chiara: qui la generosità è una pratica quotidiana. Perché si chiama così

Federica Dolce
Avvocato e scrittrice
  • 26 dicembre 2025

Polizzi Generosa

Ci sono paesi che sembrano aver scelto il proprio nome per vanità, e altri che invece lo hanno meritato strada facendo. Come è successo a Polizzi Generosa. Arrivando su questo balcone naturale delle Madonie, a oltre 900 metri di altitudine, la sensazione è chiara fin dai primi passi: qui la generosità non è un concetto astratto, ma una pratica quotidiana.

È nei saluti che durano più del necessario, nei piatti che non finiscono mai, nei racconti che si allungano come i pomeriggi d’estate. L’appellativo "Generosa" risale al XIII secolo, quando l’antica Policium dimostrò una fedeltà incrollabile alla Corona durante le complesse vicende politiche dell’epoca. Per questo comportamento leale, per l’appoggio logistico, viveri e accoglienza alle truppe imperiali la comunità venne insignita ufficialmente da Federico II di Svevia, del titolo di "Generosa", un riconoscimento che andava oltre il privilegio: era un attestato morale che ne esplicitava la sua funzione di città demaniale, una delle 42 città demaniali, le città del re, con il diritto di sedere al Parlamento e di adottare statuti propri.

“La città demaniale è la città regia, centro di prestigio, rispetto all’agglomerato feudale, con prerogative importanti e un territorio vasto e, per esempio, con le reliquie del Santo patrono, a Polizzi San Gandolfo. Ecco, ogni città demaniale per contraddistinguersi, si fregia sempre di un appellativo, conferitole dal re per meriti speciali e Polizzi, delle 42 città demaniali, fu tra le prime 23 insieme alle più rinomate città oggi capoluogo”, un modo per dire che questo borgo delle Madonie aveva saputo mostrare fedeltà politica, senso civico e spirito solidale, qualità non scontate in un perido di conflitti e carestie.

Ma come spesso accade in Sicilia, la storia ufficiale ha finito per fondersi con quella popolare. E così oggi, a Polizzi, Generosa non è solo un titolo medievale, ma un tratto identitario. Qui la generosità è diventata carattere, abitudine, quasi un riflesso. È nei piatti che arrivano in tavola senza contare le porzioni, nelle chiacchiere che si allungano, nella disponibilità spontanea verso chi arriva da fuori e viene subito trattato come uno che "torna".

Siamo nel cuore delle Madonie, in un luogo che non ha mai avuto bisogno di urlare la propria bellezza. Polizzi si svela piano, tra vicoli in pietra, improvvise aperture sul paesaggio montano e una trama urbana che racconta secoli di stratificazioni. Ogni strada sembra custodire una storia, ogni angolo un ricordo che qualcuno è pronto a condividere.

Polizzi è anche un paese che vive di racconti. Racconti di famiglie, di partenze e ritorni, di inverni lunghi e estati piene di voci. Qui sono nati intellettuali come Giuseppe Antonio Borgese, scrittore di respiro internazionale, il cardinale (quasi papa) Mariano Rampolla del Tindaro, lo stilista Domenico Dolce, il critico d’arte Vincenzo Abbate, il celebre regista Martin Scorsese e l’attore Vincent Schiavelli.

Ma Polizzi non ama vantarsi: preferisce raccontarsi a voce bassa, magari davanti a un piatto di pasta ‘ncasciata, a una sfoglia ripiena di ricotta, o a una colazione vista montagne, all’ombra di un abete, consumata lentamente, come se il tempo fosse un alleato e non un avversario. Accanto alla grande storia convivono mille microstorie quotidiane: il panificio che sforna ancora pane come una volta, le donne che si tramandano ricette e segreti, le feste religiose che diventano momenti collettivi di riconoscimento. E poi ci sono le chiese, tante, forse più di quelle che ci si aspetterebbe da un borgo di queste dimensioni.

Alcune ancora vive, altre sconsacrate, sospese in una dimensione affascinante tra sacro e profano. Spazi che un tempo erano centri spirituali e che oggi raccontano un’altra Polizzi: quella che cambia, si adatta, ma non dimentica. Le stesse chiese sconsacrate diventano luoghi della memoria, contenitori di storie, talvolta spazi culturali, talvolta semplicemente presenze silenziose che osservano il passare delle generazioni. C’è qualcosa di profondamente siciliano in questa capacità di trasformare senza cancellare. Polizzi non rinnega nulla: stratifica.

Tiene insieme devozione e ironia, rigore e accoglienza, malinconia e festa. È anche per questo che viene chiamata città dell’amicizia. Non come slogan turistico, ma come dato di fatto. Qui l’amicizia è una pratica quotidiana, un valore che tiene insieme la comunità, soprattutto nei piccoli gesti: un invito improvviso a pranzo, un caffè che diventa racconto, una mano tesa senza troppe domande. A tavola, naturalmente, Polizzi dà il meglio di sé. La cucina è sostanza e memoria: pasta fatta in casa, ricotte, dolci da forno che profumano di infanzia e colazioni lente, quelle con brioche e creme che sembrano fatte apposta per convincerti a restare ancora un po’. Qui il cibo non è mai solo nutrimento: è linguaggio, è relazione, è appartenenza. Il borgo piccolo medievale è un intreccio di vicoli, chiese, palazzi nobiliari e scorci che si aprono all’improvviso sulle montagne.

Un luogo che non cerca l’effetto cartolina, ma lo ottiene lo stesso. Perché Polizzi non si mette in posa: vive. E proprio per questo affascina. Oggi Polizzi Generosa è un borgo che guarda avanti con discrezione. È laboratorio silenzioso di resistenza siciliana: quella che non urla, ma costruisce. Tra turismo lento, valorizzazione delle Madonie, recupero degli spazi storici e desiderio di offrire nuove possibilità a chi resta o decide di tornare, il paese prova a immaginare il futuro senza tradire se stesso. Con la consapevolezza che la vera ricchezza non è l’effetto vetrina, ma la cura del proprio carattere.

Essere siciliani, a Polizzi, significa questo: portare addosso la storia senza dimenticarla ma come eredità viva e consapevole, praticare la generosità senza proclamarla, credere che un piccolo borgo possa ancora insegnare qualcosa al mondo. Con un orgoglio che non è chiusura, ma appartenenza. Perché essere siciliani, qui, non è uno slogan: è una postura dell’anima. Anche e soprattutto oggi.
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