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La lingua dei segni siculi (da salvare): come parlare a gesti, da "sì e no" a "stai muto"

Comunicare senza proferire parola, riassumendo concetti in un rapido gesto è sempre stata una nostra peculiarità e motivo di scherno da "immobili detrattori"

Susanna La Valle
Storica, insegnante e ghostwriter
  • 10 maggio 2023

Roberto Lipari

In molte scuole elementari è iniziata la sperimentazione della LIS, la lingua italiana dei segni. I piccoli potranno così comunicare con i coetanei che hanno problemi di sordità.

Questa lingua visiva e gestuale è basata su elementi manuali : configurazione, movimento e orientamento delle mani, e non manuali: sguardo, espressione facciale, gesto labiale e busto. Arrivata quasi in maniera spontanea, è stata introdotta tra le lingue con un con Decreto Legge.

Vedere la mia nipotina imparare alcuni gesti, espressioni facciali, mi ha fatto pensare che una specie di lingua legata a elementi manuali è comunque retaggio e patrimonio di noi italiani, in particolar modo nelle regioni meridionali.

Un grande studioso di demopsicologia siciliano, scrive in suo studio a proposito del linguaggio gestuale dei Siciliani: “C’era una volta un Re di Sicilia.

Questo venne un giorno a Palermo e intese dire che i Siciliani avevano una virtù tutta propria di fare interi discorsi senza parlare….”.
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La storia continua con il Re che chiese al primo Ministro di fornirgli le prove. Questi convocò due palermitani che rimasero in silenzio, uno di fronte all’altro per un certo tempo. Il primo Ministro chiese al Re se avesse notato qualcosa, questi rispose di no.

Il ministro sorridendo disse che i due si erano chiesti il perché di quella convocazione, si erano rassicurati a vicenda e poi salutati una volta usciti. Il linguaggio era avvenuto attraverso sguardi, arricciamento del naso, alzata di occhi e sopracciglia, smorfie della bocca.

Comunicare senza quasi proferire parola, riassumendo concetti in un rapido gesto è sempre stata una nostra peculiarità spesso motivo di scherno da algidi e immobili detrattori stranieri.

C’è una leggenda che fa risalire questo "codice" al Tiranno di Siracusa, che proibì ai Siracusani di parlare, per evitare polemiche obbligandoli a esprimersi a gesti e segni.

Storia suggestiva ma priva di corrispondenze storiche. Eppure parlare con un linguaggio mimico, è una realtà nata forse dalla varietà dei dialetti, che rendevano difficile la comprensione anche tra paesi vicini. Un gesto non richiedeva parole e non aveva possibilità di subire arbitrarie interpretazioni.

Un Etnologo Inglese affermò “è quasi impossibile intendersi con un siciliano, i suoi ragionamenti sono muti e mimici" Immagino la difficoltà e curiosità che avranno suscitato queste “conversazioni” allo studioso ed anche la sottile perfidia e divertimento che avranno provato i soggetti analizzati.

Un'altra testimonianza ci è stata narrata dallo scrittore Dumas che in Sicilia, durante la rappresentazione della Norma, vide fare dei gesti agli orchestrali, durante gli intermezzi. Chiese cosa si fossero detti.

Gli fu riportato che i due musicisti non vedendosi da tempo si erano affettuosamente salutati, rallegrati dell’incontro e raccontati gli ultimi tre anni.

Lo stesso Dumas nel romanzo "Il Conte di Mazara" racconta la reazione del cameriere di un ristorante alla domanda dove fosse in città la dimora del Conte”, lo scrittore francese scrive così “ Sgranò gli occhi, mi mostrò due pugni chiusi con l’indice e il mignolo distesi orizzontalmente, poi fuggì”, erano le corna, il Conte "portava sfortuna".

Ed è nella descrizione dei gesti che nasce la più grande difficoltà per gli studiosi; mantenere un linguaggio e rigore scientifico può diventare molto arduo tanto da rasentare nel resoconto lungo e complicato una certa comicità. Nel saggio sul linguaggio gestuale dei siciliani, l’analisi inizia con la descrizione del Sì e No.

Il primo, si legge, è il comune abbassamento del capo; il secondo è quasi uguale: è un movimento del capo dall’alto verso il basso, accompagnato dall’alzata degli occhi. Altro segnale di negazione, più semplice da decifrare è l’increspatura dell’anglo sinistro della bocca, con aggrottamento della fronte e alzata delle sopracciglia.

Anche la fatica ha un suo codice mimico: la punta del pollice strofinata sulla fronte, cui segue l’immaginaria caduta di gocce di sudore o il movimento a ventaglio per indicare chi ruba, o quello di “stai muto”, o quello che indica che si ha a che fare con gente pericolosa, o quello fatto con dita e polsi che può voleri dire “che vuoi?” .

Fin qui tutto sommato si può provare a tradurre , l’imbarazzo nasce quando ai gesti corrisponde “altro”, come nel “vastaso” gesto dell’ombrello così descritto dallo studioso" il braccio destro disteso con pugno chiuso e la mano sinistra che dà un colpo secco alla spalla destra, facendo alzare il braccio", o quando traduce con difficoltà “pollice e indice delle due mani posti a distanza a semicerchio “, qui usa una strepitosa parafrasi "ti rompo la “devozione".

Molto divertente, è questa volta tradotto senza giri di parole, la popolana che durante una lite tra donne, mostra le natiche all’avversaria, battendosele con la mano; gesto così tradotto ”t'appizzi cu la faccia nt’c…”. Senza dimenticare il lussurioso “liccari”, espresso con il poggiare il polpastrello del secondo dito sulla lingua, mentre gli occhi guardano con intensa passione.

Questo linguaggio sta scomparendo, ma non è ancora del tutto perduto. Qualche giorno fa Vincenzo, 18 anni, mi ha raccontato di un alterco con la mamma.

La litigata è stata così mimata: braccia a cerchio, pollici alzati, dita strette in orizzontale, con scuotimento veloce delle mani, accompagnato da ondeggiamento del capo, occhi chiusi, e un sibilo a denti stretti “ Vuciiiii…”.

Vademecum: non distogliete mai lo sguardo, controllate la sequenza, ogni gesto facciale, del busto e delle mani, dice qualcosa. Solo così si riuscirà a comprendere, forse, un linguaggio antico, a volte oscuro ma straordinario una “LSS- linguaggio Siciliano dei Segni”.
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