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La marchesa "pescatrice" e la capofamiglia: vizi, virtù e matrimoni di due nobili siciliane

L'ascesa sociale di una bella giovane di umili origini e le nozze apparentemente senza macchia di una marchesa adolescente, destinata a mantenere la famiglia

Annamaria Grasso
Insegnante e storica dell'alimentazione siciliana
  • 27 luglio 2022

Due nobildonne siciliane

Un giorno, il filo dei ricordi di famiglia (gelosamente custoditi) da Teresa Spadaccino, acuta studiosa modicana di storia (e storie) siciliana, si srotola svelando al pubblico "cunti" e segreti di un vissuto familiare aristocratico i cui ingredienti sono intrighi, gioie e dolori.

Teresa è la pronipote della marchesa Grazietta Tedeschi, nobildonna siciliana vissuta a Modica tra la fine dell'Ottocento e la prima metà del Novecento.

I ricordi della Spadaccino si aprono con la scena dell'incontro, alla presenza del notaio Scivoletto, fra i coniugi Michele Tedeschi Rizzone e Concetta Polara con i coniugi Raffaele Bellomo Rosso e Annetta Tommasi Rosso, avvenuto a Modica il 25 febbraio 1886 per concordare le condizioni (“il dotale") del matrimonio fra i due giovani figli: la sedicenne Grazietta Tedeschi e il diciannovenne Giorgio Bellomo.

Tali accordi economici erano una prassi nella società siciliana dei secoli scorsi, soprattutto nel caso di casate cospicue come queste.
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Ma prima di raccontare la storia di questo matrimonio, vale la pena fare un passo indietro nel tempo per assistere ad una vicenda di cui era stato protagonista in gioventù il nonno materno di Grazietta, il marchese Giorgio Polara, con una storia d'amore fra le più note (e più chiacchierate) della contea borbonica di Modica.

Abbandonato dalla moglie Domenica Tedeschi per un altro uomo, per dispetto egli aveva voluto che gli fosse presentata la più bella ragazza di Pozzallo, dove abitava. La scelta era caduta su Agata Galazzo, figlia quattordicenne di pescatori e perciò soprannominata la pescatrice.

La ragazza era già fidanzata con Ferdinando, un giovane di modesta famiglia ma, allettata dalla prospettiva di diventare marchesa, cedette facilmente alle profferte amorose del marchese Polara.

Il fatto divenne di pubblico dominio in paese e fece tanto scalpore da diventare proverbiale. Ancora oggi infatti a Pozzallo, quando accade qualcosa di insolito, si sente dire: “Firdinannu, Firdinannu, cu tu resi stu malannu? T’arruspigghiasti ‘na matina e nun truvasti l'Agatina!” (Ferdinando, Ferdinando, chi ti ha combinato questo guaio? Ti sei svegliato una mattina e non hai trovato l'Agatina!).

Il marchese comunque si era davvero invaghito di Agata, e mantenendo la promessa l’aveva sposata dopo la morte della moglie per parto adulterino.

Non solo! Per amore di questa moglie di umili origini, egli divenne un liberale, autore di importanti riforme democratiche che contribuirono a cambiare il volto della Sicilia dopo il lungo governo borbonico. Ideologia ovviamente mal vista nell'ambito del suo nobile casato, per il quale divenne una pecora nera (cosa che non gli impedì di diventare sindaco di Pozzallo).

Un bell'intreccio dunque di istanze contraddittorie. Da una parte la moderna libertà femminile della moglie che abbandona il tetto coniugale per andare a convivere con l'amante e l'ascesa sociale della figlia di pescatori che diventa marchesa e, anche se continuerà a essere soprannominata (“‘ngiuriata”) col termine di "pescatrice", si integra bene nella società nobiliare della provincia.

Innovazioni sociali a cui però fa riscontro un altro ingrediente in questa (frizzante) storia di famiglia: la vecchia prepotenza baronale del signore del luogo che punta gli occhi sulla giovane preda e se ne impossessa (retaggio del vecchio ius primae noctis feudale).

Ma tornando alla nostra Grazietta, dal fisico minuto e però, come si dimostrerà, d'animo coraggioso, si trova sposa a sedici anni ( e porta con sé nella nuova casa le bambole con cui ancora giocava).

Proviamo a seguirla nel suo mondo, a giudicare dall'apparenza, tranquillo e abitudinario, in cui il marito Giorgio si è assunto la responsabilità di gestire i beni della famiglia, mentre lei si occupa dei tre figli e della casa, una dimora, come tutte quelle aristocratiche, piena di servitù, parenti e amici che spesso si fermavano a pranzo e a cena, secondo un costume di liberalità che caratterizzava la nobiltà dell'epoca.

Per i suoi ospiti Grazietta preparava sempre nuove ricette, che trascriveva dai libri di cucina dell'epoca per farle elaborare dal monsù.

Così sono arrivate fino a noi, grazie all’accurata custodia di Teresa Spadaccino, e costituiscono un’interessante testimonianza anche delle influenze straniere sulla cucina siciliana: si va dal soufflet di riso, la pasta bigné, la gelé al rum, il gateau di mandorle e ancora mousse, flan… tutti di chiara origine francese, ai britannici punch al latte freddo e pudding di castagne, al krapfen germanico, al pan di Spagna.

La vita scorreva serena tra le vacanze a luglio nella grande villa dei Bellomo a Pozzallo, in agosto la permanenza nella villa dei Tedeschi per prendere il sole e fare i bagni, a settembre la vendemmia e a ottobre si tornava a casa, dove la marchesa riceveva le altre dame per commentare i nuovi modelli di abiti e le nuove stoffe di moda a Milano, Firenze o Parigi. Insomma una intensa vita di società fra ricevimenti, balli e pranzi.

Ma, diciotto anni dopo, questo tran tran apparentemente tranquillo è interrotto da una tragedia familiare.

Il marito, giocatore incallito e pessimo amministratore, indebitato e disperato, muore suicida, lasciando alla vedova una dolente lettera di addio e gli ultimi soldi rimasti: un biglietto di cinquemila lire.

Ecco la realtà spuntare dietro l'apparente facciata di decoro e normalità: il vizio del gioco, l’incapacità a gestire un patrimonio "mangiato" pezzo a pezzo da amministratori corrotti e soci disonesti.

È il ritratto di una società in fermento: da un lato l'avanzata precipitosa di una borghesia senza scrupoli, dall'altro i ricchi nobili divenuti incapaci e inadatti a gestire il cambiamento.

Ma tutto è relativo: se Giorgio giustifica il suo gesto con il rimorso di avere "disonorato" la famiglia e di averla ridotta "nella più squallida miseria", la marchesa - che evidentemente non ha le idee di grandezza del marito e può ancora contare sui suoi beni personali.

A 34 anni prende con energia le redini dell'amministrazione familiare, educa i suoi figli (due femmine e un maschio) in modo corrispondente al loro rango e continua la sua vita con una relativa agiatezza, nonostante la perdita della sua casa e quindi la necessità di trascorrere il resto dei suoi anni (era nata nel 1870 e morì nel 1943) in casa d’affitto.

Le cinquemila lire non saranno toccate, ma conservate come ricordo per i figli.
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