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“La vita schifa”: Rosario Palazzolo approda in libreria mettendo su carta le nostre paure

Il romanzo di Palazzolo, con le caratteristiche di un noir, ha una scrittura molto particolare e le parole alla fine ti portano in un luogo diverso da quello annunciato

Giovanni Callea
Esperto di marketing territoriale e sviluppo culturale
  • 3 febbraio 2020

Il libro di Rosario Palazzolo

Prima di entrare nel merito, scrivo subito le tre ragioni esterne al romanzo per cui dovreste comprare e soprattutto leggere “La vita schifa” di Rosario Palazzolo (Arkadia editore).

Innanzitutto è uno scrittore della città e credo che i nostri talenti vadano sostenuti. Secondo, Palazzolo è molto noto negli ambienti del teatro non solo cittadino. Io per la verità l’ho scoperto recentemente in occasione di una retrospettiva di suoi vecchi lavori “Oumminich” e “Ciò che accadde all’improvviso”, che mi sono piaciuti molto. Il romanzo appartiene già ad una fase compiuta del suo percorso artistico.

Il terzo motivo è che Palazzolo ha una modalità narrativa estremamente personale e, se siete appassionati di narrazione e racconto con una buona dose introspettiva, è un autore che vale la pena conoscere, e consiglierei di farlo anche se non fosse nostro concittadino.

Non racconterò il finale né parti significative della trama, perché sarebbe un peccato svelarle. Potete quindi continuare la lettura tranquillamente. Il romanzo ha infatti molto le caratteristiche di un noir e l’intreccio riserva alcuni punti di sorpresa che è bene non svelare.
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Il testo prende subito, e subito un po’ affatica. È molto faticoso da principio abituarsi alla scrittura, volutamente scomposta. Si fa fatica, l’ho capito dopo, perché in realtà la tortuosità della lingua introduce con forza alla tortuosità del contesto e della storia, e né fa da vera colonna sonora, decisamente più incisiva delle varie citazioni musicali cui il romanzo è pieno. Questo linguaggio, scomposto ed impreciso, obbliga il lettore and entrare in meccanismi di pensiero diversi da quelli ordinari. Accettando il linguaggio accetti il sistema di regole surreali cui il protagonista si sottomette.

Ad un certo punto ho pensato che, quando il protagonista cambiava i propri paradigmi (non sto svelando nulla, in ogni storia che si rispetti il protagonista cambia i propri paradigmi), forse Palazzolo avrebbe potuto restituire al personaggio una lingua più morbida. A romanzo ultimato devo dire che è giusto così com’è. Perché nel raccontare la vita di Ernesto Scossa, il protagonista, in realtà Palazzolo racconta le nostre gabbie, le nostre paure, il nostro sottometterci ad un mondo che non sempre capiamo o comprendiamo. Un mondo cui ci arrendiamo così, perché te lo chiedono ed è socialmente accettato. Questo accade ad Ernesto, diventa ammazzatore, uno che uccide di mestiere, perché semplicemente capita che glielo chiedono.

Fatta l’abitudine con il linguaggio si vola spediti, e più il libro volge al termine più hai fretta di sapere cosa succede e come l’intreccio un po’ surreale possa risolversi. Io, che pure amo i testi di Palazzolo perché alla fine ti portano in un luogo diverso da quello annunciato, e che quindi mi aspettavo qualcosa, sono rimasto sorpreso dal finale.

Lo schema del romanzo è nella struttura analogo a quello delle due opere di teatro che ho citato. Nonostante questo, e forse proprio in ragione di questo, la storia appassiona e sorprende. Scrivo proprio per questo perché Palazzolo ha l’abitudine di presentare mondi rigidamente regolati, e poi si diverte a cercare attraverso i protagonisti le strade possibili per evadere da queste realtà. Per cui, data questa struttura, Ernesto cerca varie vie di fuga. Ed in questo, quando ci prova, ha tutti i connotati dell’antieroe moderno, con il quale poi si solidarizza nonostante il suo lavoro immondo, è un assassino, sebbene benevolmente si definisca ammazzatore.

Anche questa volta Palazzolo è riuscito a tenere tesa la corda della speranza fino all’ultima pagina, e sebbene il finale sia noto dal primo rigo, si palpita e si spera fino alla fine.

Più di una volta nella lettura, le parole a volte confuse a volte ridondanti, sempre estremamente incisive, di Ernesto assumevano il suono della voce di Totò Nocera, che ho visto in scena e che alla presentazione ha letto l’incipit del romanzo. Colgo questa occasione per complimentarmi con lui, certamente non riuscirei ad immaginare Ernesto con una voce ed una cadenza diversa dalle sue e questo credo sia merito suo e del suo modo di interpretarlo.

La storia presenta vari momenti di svolta, resta da chiedersi se questa volta il personaggio di Palazzolo è riuscito nell’impresa di uscire dal mondo di regole esterne in cui l’autore lo ha inserito. Non sarò certo io a darvi la risposta. Posso solo dirvi che la lettura de libro è un viaggio che vale la pena compiere per scoprirlo.
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