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Cogito ergo sum? No, ora è "Sesso dunque sono"

Esiste un rapporto tra precariato sociale e precarietà esistenziale? A quanto pare sì ed è questo che impedisce di avere un'identità sessuale e professionale

  • 30 ottobre 2012

C’era una volta la rivoluzione sessuale. C’erano concerti e seni all’aria aperta, capelli lunghi e spinelli. C’era una volta, sì; perchè la rivoluzione non visse per sempre felice e contenta. Arrivarono un manipolo di “schizzinosi e bamboccioni” a rovinare tutto, traumatizzati dall’idea che su quei campi, tra suoni psichedelici e misteri sulla morte di Paul McCartney, fossero stati proprio i loro genitori a consumare le loro pulsioni più represse. E i bamboccioni vissero infelici e precari, tra trasgressive esperienze Erasmus e sopracciglia depilate.

Si corteggiano i giovani d’oggi, ci provano quanto meno, “sbirciandosi negli occhi” con la vista appannata dai fumi dell’alcol. Si sfidano (uomini e donne, uomini e uomini e donne contro donne) all’ultima ceretta, in un duello senza pietà in cui vince chi ha la pila di cambiali più alta, investita in cura per il proprio corpo. Chiacchierano sulla crisi morale della politica e sul documentario che hanno appena visto in tv, in cui Paris Hilton organizza una festa per il secondo anno di vita della figlioletta che partorirà fra chissà quanto in diretta nel prossimo reality.

E finiscono a letto, sotto mensole di cosmetici e creme, ubriachi e unti, sperando che il rapporto non duri troppo a lungo “che la sveglia domattina suona alle 14 e devo essere pimpante”, pronti a lamentarsi della prestazione insoddisfacente del partner con fratellini e sorelline, disturbandoli mentre cercano di finire in fretta i loro compiti per piazzarsi per qualche ora su un forum che dia loro consigli su come evitare la prima comunione. Superficiale? Molto. Ma crediamo che il luogo comune sia spesso un agglomerato in cui si annidano potenzialmente gli spunti più interessanti.

È di poco tempo fa la riflessione lanciata su una rivista scientifica, da uno psicoterapeuta palermitano, Calogero Lo Piccolo, sulla questione molto attuale inerente il rapporto tra precariato sociale e precarietà esistenziale. Che c’entra con la sessualità? Il clinico fa un’analisi, per fasce d’età e tipologie prevalenti di richieste d’aiuto terapeutico. La fascia di popolazione tra i 35 e i 40, pare si rivolga a uno psicoterapeuta portando principalmente sofferenze causate da difficoltà relazionali o in seguito a rotture sentimentali. Tra questi, una popolazione ristretta ma significativa, è portatrice di una completa incapacità di stringere relazioni affettive e sessuali.

Dai pazienti tra i 25 e i 35, invece, emergerebbero contenuti un po’ diversi. Parliamo di giovani incatenati in una formazione professionale perpetua, che non lascia però spazio a una parallela ed effettiva definizione di un’identità professionale. Giovani svuotati di una dimensione di progettualità e schiavi di uno sterile iper investimento sul futuro, credenti di nuove ideologie invisibili, indottrinati all’affermazione individuale e al godimento ad ogni costo.

Lo Piccolo pone l’attenzione però, anche su un altro elemento, meno visibile, e che libera l’analisi, almeno in parte, da pericoli di vittimismo o miopia. Ok, la disoccupazione giovanile è altissima, il precariato snervante, ma ci sono anche molti che non lavorano, non studiano e non saprebbero nemmeno cosa cercare o studiare. Sarebbe il sintomo di personalità in realtà molto precarie dal punto di vista identitario. E non parliamo di piccoli panda in via d’estinzione, tutt’altro.

Infatti, non tutti coloro che sembrano avere in mente un percorso formativo chiaro, in realtà hanno scelto, inseguono e conoscono perfettamente quale sia la meta ambita da quel percorso. Non tutti, sanno chi sono (in termini di identità) e cosa vogliono essere. Ma pretendono. Pretendono qualcosa che in realtà non sanno in che misura desiderano. E qui torniamo al sesso, facendo ancora una capatina a quel rapporto tra precariato sociale e precarietà esistenziale. Senza addentrarci nel dilemma su chi sia nato prima, crediamo che tutto s’intrecci.

Futuro impensabile (inconiugabile con un’identità fragile) che si declina in relazioni super identificate con il proprio sé (dalle quali è terribile fuggire ma sulle quali è impensabile investire) e con rapporti occasionali (partoriti su una chat senza gestazione del piacere). Tutto e subito, sì. Ma tutto cosa? Non lo so. Un “non lo so” perpetuo che è molto lontano da un “so di non sapere”, di cui anzi la maggior parte è inconsapevole.

Che vuoi fare nella vita? Che facciamo stasera? Voglio andare a letto con lui/lei? Quanti senza pensarci, risponderebbero non lo so, prima di arrampicarsi in cima alle mura identitarie che a fatica hanno eretto accatastando uno sopra l’altro un centinaio di manuali e commedie romantiche in dvd. E allora sì che qualche banalizzazione delle prime righe ci sembra sensata. “Voglio fare sesso, stasera”; sì ma proiettato già sul cosa questa società mi impedirà di fare domani e che mi negherà il piacere dell’amplesso qui e ora.

Il concetto di pretesa ci sembra fondamentale. È l’opposto della colpa, per certi versi. La “spoetizzazione” di qualsiasi rivoluzione, per lo meno sessuale. È come se perso l’elemento della colpa, del desiderio proibito di ottenere qualcosa, l’obiettivo stesso si svuotasse di senso, come una bella macchina senza benzina. Tutto l’opposto della rivoluzione sessuale di quarant’anni fa di cui siamo figli. La libertà di allora, conquistata e goduta, è ora divenuta più vincolo che risorsa, qualcosa da consumare senza troppa consapevolezza. Così diventa più importante la farsa della conquista e, nel nostro caso, la riflessione sui ruoli degli attori, qualsiasi sia il loro orientamento. In questa farsa tutti recitano la stessa paradossale parte, e l’apparente drammaturgia a luci rosse rimane stazionaria su delle tinte scolorite. Gli interpreti appaiono svuotati di qualsiasi gioco nel rispetto dei ruoli.

Così, coi capelli scombinati, magari sul sedile di un taxi “che fa telefilm americano”, i nostri amanti tornano a casa in piena notte. Alcuni sono sereni, la loro è stata una piacevole notte di sesso. Altri riaccompagnano i propri partner; qualcuno è già pentito e qualcun altro ha già dimenticato. E mentre viaggiano, con il tassametro sotto il naso, pensano a Jean Claude Van Damme. E si chiedono come potrebbero lasciarsi scivolare dal costoso taxi in corsa, senza farsi beccare dal conducente.

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