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Dall’elettropop alla psichedelia: intervista agli Elle

  • 26 gennaio 2004

Gli Elle sono un gruppo indie veneziano, il loro ultimo lavoro “People are dancing in the a.m”. nasce da un importante cambio del line up e risente di varie influenze, dall’elettropop, al lounge, dal noise alla psichedelìa. Li abbiamo intervistati, mercoledì 21 gennaio in occasione del concerto ai Candelai di Palermo. Ecco cosa ci dice Nicola Mestriner, tastierista e cantante del gruppo.

Il vostro ultimo lavoro presenta varie influenze rintracciabili, nonostante questo il loro insieme non è facile da definire se non con termini generali e riduttivi. Da dove nasce questa sintesi e come si è evoluta attraverso i vostri ascolti e il vostro lavoro per giungere a questo risultato finale?
«Il procedimento è stato tutt’altro che programmato nel senso che con la scissione tra noi Elle e Marco, attuale Goodmorningboy, le cose sono andate per le loro strade in modo molto naturale. Quello che fa Marco è quello che adesso vuole fare e quello che facciamo noi in questo momento con “People are dancing at the a.m.” è molto più rappresentativo di “Bruciamo ciò che resta”: è quello che vogliamo fare noi ora, poi magari fra un anno faremo cose completamente diverse, ma l’album è la fotografia di questo periodo.»

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Come avete vissuto questo rinnovamento del line up e cosa ne è venuto fuori, a parte quello che è possibile avvertire dall’esterno, dal vostro punto di vista?
«La cosa più bella secondo me è il fatto che ora finalmente, e non lo dico con vena polemica, siamo liberi di esprimerci in tutto e per tutto e ci identifichiamo completamente nella musica che facciamo. Insieme a marco c’era un bellissimo rapporto tra persone, stavamo molto bene insieme, però forse musicalmente, stilisticamente e artisticamente avevamo troppe cose in contrasto. Quando uno s’impone non è mai uno che s’impone e basta, c’è sempre qualcuno che prova a imporsi per carattere, per quello che vuoi, o per il ruolo di leader, ruolo comunque fondamentale all’interno di una band. Per tutti questi motivi Marco magari s’imponeva, però noi lo lasciavamo anche fare, quindi in ogni caso una persona per essere leader deve avere il supporto del popolo, anche perché quando si decide di suonare assieme lo si fa soprattutto per passione.»

Passiamo a qualcosa di più tecnico. Il processo di lavorazione del vostro disco: di cosa vi siete avvalsi? Prima di tutto, i brani erano già pronti e arrangiati con un’idea ben definita prima di entrare in studio oppure avete portato delle idèe e le avete sviluppate durante la lavorazione? Insomma, quanto ci avete messo d’istinto e quanto ordine mentale prestabilito? Secondo, quanto hanno contato gli strumenti e quanto ha contato il computer?
«Noi siamo sempre stati abituati a prendere in mano lo strumento, a farlo suonare e poi stravolgere completamente quello che stavamo facendo. Il processo del disco viene da un preciso bisogno di comunicare a tutti quelli che ci seguono. Sembra una cosa piccola ma anche in un’intervista sentirti parlare di Marco, di quello che eravamo, di quello che siamo ti lascia qualcosa, ti tocca profondamente, quindi quando devi comunicare a queste persone che magari sono poche ma buone devi fargli sapere il modo in cui vanno le cose e il modo migliore per farlo per noi è sicuramente suonare, comporre brani, canzoni. Dunque è stato un lavoro del tutto naturale e che ha di fondo la voglia di dire “siamo ancora qui, gli Elle ci sono, non è successo niente, è successo quello che doveva succedere”. Finiscono i matrimoni, finiscono le collaborazioni fra artisti, è la vita insomma. In studio abbiamo lavorato molto sul computer e ci siamo divertiti proprio “una cifra”. In fase di registrazione ha collaborato con noi Bruce Morrison, il quale ha lavorato col Consorzio per diversi anni, ha lavorato molto con CSI, CCCP, poi con i Marlene, Ginevra Di Marco, ha lavorato per diversi anni allo studio Emme dove l’abbiamo conosciuto ed è incominciata questa collaborazione. Il lavoro artistico è stato svolto da noi con una gioia immensa e un gran divertimento, sembravamo dei bambini alle prese con le macchinine. A volte si è presuntuosi a parlare di home-recording però è un mezzo che sicuramente se viene usato bene da i suoi frutti.»

Come, dove, quando e soprattutto da dove nasce la vostra musica e quello che volete esprimere anche al di là della musica stessa?
«Sicuramente c’è una ricerca ai fini di fare intrecciare bene i suoni e le parole quindi le atmosfere della musica con quelle del testo. I testi sono fondamentalmente di musica pop e pertanto parlano del quotidiano, di qualsiasi cosa, per esempio quando ti lavi i denti la mattina. Certi testi sono molto easy se vogliamo, altri magari rappresentano delle nostre visioni o dei momenti in cui magari scrivi delle frasi che poi sono rivelatrici di se stesse, poi da lì cerchiamo di estrapolare quello che vogliamo veramente dire.»

Cosa ne pensate dell’attuale scena indipendente italiana, del suo approccio all’estero, dei suoi riscontri, della sua produzione sia a livello di gruppi che a livello di etichette e poi dal punto di vista culturale? Credete inoltre che ci siano gruppi e soprattutto un pubblico preparato ad un certo tipo di musica?
«Noi quest’anno abbiamo avuto la possibilità di partecipare al Tora! Tora!, abbiamo suonato a Cagliari e vicino a Venezia ed è stato un momento di aggregazione molto bello. La scena italiana esiste secondo me marginalmente, esistono tante sottoscene, una scena globale è di difficile attuazione un po’ anche per cultura nostra, spesso anche dai rapporti personali si avverte un certo distacco tra le persone. Come musicisti fa sempre piacere trovarsi attorno a un tavolo a bere birra, parlare di musica, suonare, fare dei concerti assieme, però spesso mancano le strutture par fare questo e i momenti di aggregazione vanno bene solo se hanno un fine, se sono momenti di cazzeggio non si arriva a niente. Il Tora! Tora! vuole essere qualcosa cosa di più. Personalmente la scena italiana è una cosa che mi spaventa un poco.»

A qualcuno fa paura anche il Tora!Tora!
«…ma ti dirò…alla fine loro hanno dato la possibilità a gruppi meno in mostra di poter avere la stessa visibilità di gruppi come Afterhours, Marlene, Meganoidi che sono gruppi di punta. In ogni caso bisogna tenere sempre presente che siamo in Italia e la cultura musicale è quello che è.»

(Con aria da critico intellettuale): avete qualche previsione per il futuro a livello di tendenze?
«MAH! Speriamo ritorni in auge la disco music anni 80!» (Risate generali, Ndr)

Ora un piccolo incoraggiamento alla scena indie palermitana soffocata dal pop-punk, dallo ska, dalla musica da crociera e da un certo rock melodico di basso profilo (e se questo è l’underground l’indie è ancore più underground).
«Stasera abbiamo sentito i Sexymomo. C’è una bella atmosfera qui a Palermo, la gente si muove, fa cose, questa è la mia impressione, vedo gente che ha voglia di essere creativa e di fare qualcosa, anche semplicemente di spostarsi. In altre città questo non c’è, a Venezia per esempio è un po’ difficile anche perché per il 90% ci sono solo turisti, di veneziani non ce ne sono e un posto che ti permette come stasera di fare un concerto in una zona centrale è una cosa impensabile. Io vorrei incoraggiare tutti i gruppi, suonare è bello, suonare è una ricerca personale del proprio io e quindi sicuramente è una cosa positiva, che riesca bene o male ha poca importanza, l’importante è applicarsi in quello che si crede, poi a uno piacciono i Sonic Youth, a qualcun altro Branduardi.»

Voi fate comunque un genere di musica più vicino a certe sonorità nordeuropèe, esistono però anche dei gruppi come i Tete de Bois che portano avanti in maniera originale e in uno stile rinnovato un discorso strettamente legato alle nostre radici di musica italiana o italofrancese…
«Certamente c’è da dire che il mercato discografico, quello che vende, i gruppi che producono materiale che sarà vendibile non aiuta sicuramente la crescita di gruppi che hanno una valenza artistica molto più rilevante. Probabilmente all’italiano piace cantare sotto la docci i Lunapop, le Vibrazioni. Noi siamo venuti da Venezia fino a qui fiduciosi del fatto che questa cosa si possa non dico cambiare, ma che comunque sia possibile dare degli imput, degli indirizzi, dare una musica diversa da quella che tutti i giorni ascoltiamo per le radio, per i network etc. magari si può fare, noi ci proviamo, poi se tra dieci anni faremo i falegnami questo non te lo so dire. Finchè si può si gira, si prende il furgone a noleggio e si va dove si è graditi.»

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