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E la scimmia fu crocifissa

È allora nell’intenso monologo di padre Alessio, in difesa della bestia, che si ritrova tutto il senso dello spettacolo

  • 5 ottobre 2004

Quattro figure vestite di nero si precipitano sopra un piccolo tavolo quadrato in fondo alla scena sulla destra e come per incanto, dopo un momento di trambusto e apparente confusione, inaspettatamente un altare è pronto e il sacro rito può avere inizio nell’esasperazione di una celebrazione che ha più il sapore dell’invasamento che quello della devozione. Questo è l’incipit dell’ultimo lavoro di Emma Dante, “La scimia”, liberamente ispirato a “Le due zitelle” di Tommaso Gandolfi, adattamento di Elena Stancanelli, con Gaetano Bruno, Sabino Civilleri, Marco Fubini, Manuela Lo Sicco e Valentina Picello, scene di Mela Dell’Erba, luci di Tommaso Rossi, in scena al Teatro Garibaldi di Palermo (via Castrofilippo 30) dall’1 al 3 ottobre, già presentato alla Biennale Teatro di Venezia che lo ha prodotto insieme con il teatro palermitano, con il CRT di Milano e l’Unione dei Teatri d’Europa, e in partenza per Milano dove sarà in scena al CRT-Teatro dell’Arte dal 5 al 31 ottobre.

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E se i due preti officiano la messa con doveroso quanto grottesco rigore, le due zitelle, tozza e arcigna l’una, allampanata e dolce l’altra, si danno con ardore alla preghiera e all’adorazione dell’Altissimo con braccia protese al cielo, rosari in gola, sedie in continuo movimento e arachidi seminate ovunque. E queste sono le leccornie per “la scimmia” , la bestia la cui gradita e al contempo bizzarra compagnia pare allieti la vita delle due sorelle fino a quando, avendo commesso sacrilegio giocando con i sacri oggetti cultuali, deve pagare con la punizione capitale la sua scelleratezza. È allora nell’intenso monologo di padre Alessio, in difesa della bestia, che si ritrova tutto il senso dello spettacolo, che sembra fino a quel punto essere stato un lungo prologo per quell’azione nodale nella quale l’invocazione al libero arbitrio degli umani contrapposto all’inconsapevolezza animale, non riesce ad evitarne la condanna capitale.

Lo spunto di riflessione critica sull’uso dell’anelito alla religiosità che la morale cattolica esercita da sempre sulla società, ci sembra che avrebbe anche potuto offrire dell’altro, toccando vari elementi (la carnalità per esempio, alla quale peraltro un lieve accenno è fatto), ma queste scelte sono dei registi e nulla si può aggiungere. Molto bravi tutti gli attori con una menzione particolare per le suadenti movenze dell’attore “scimmia”, e bella anche la scena con il bianco fondale nel quale risalta minacciosa la croce, croce alla quale si devono alcuni momenti di grande suggestione (assai efficace durante il rito la croce oscillante sul capo del prete) culminanti nell’immagine conclusiva, carica di simboli e significati, dell’animale in croce, a suggello di un lavoro nel quale è una fisicità spettacolare ad effetto (e non ci riferiamo alle convincenti evoluzioni animalesche della “scimmia”) a prevalere su tutto.

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