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Evviva il formaggio, al diavolo la dieta

«Nenti manciai! Sulu n'anticchia ri furmaggiu» che equivaleva a 250 grammi di caciocavallo, cucinato leggero leggero come voleva la specialità della signora Maria. Quando il figlio medico andava a visitarla, preoccupato per i trigliceridi, che facevano la ola nell’Olimpo, la signora, per prima cosa, domandava «Chi venisti a purtari mala nova?» E il figlio: «Mamma, cos’hai mangiato? Dimmi la verità, dov’è il formaggio che hai ordinato ieri sera? Sono stato al supermercato per portarti un po’ di spesa e mi hanno detto che avevi provveduto tu». «Ah, sti curnuti, ca sbuttaniano!» La signora, offesa, arrancava, si posizionava davanti la televisione e non rivolgeva la parola a nessuno per tutto il pomeriggio.

Di primo acchito sembrava godesse di perfetta salute. In realtà aveva valori che sembravano quelli di un mixer. Mangiava cassatelle con ricotta a volontà, formaggio e uova a tinghitè, ma si tratteneva nel consumo di carne, perché fa male al colesterolo e di pasta o pane perché fanno ingrassare. Aveva delle convinzioni del tutto personali. «Le cose nostre non hanno mai fatto male!» diceva a chi la invitava a regolare l’alimentazione, priandosi quando nelle trasmissioni culinarie si esaltavano i sapori caserecci. Preferiva una cucina semplice, diceva, tradizionale: caponata, salsiccia secca, olive condite, e formaggi, tanti formaggi, purché fossero siciliani doc, in memoria dei tempi di magra, in cui aveva mangiavano solo quelli.

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Quando l’altro figlio, dirigente di un’azienda di elettrodomestici, la invitava a cena per farle assaggiare le specialità casearie dei posti in cui era stato per lavoro, la signora Maria mormorava «Si, buono, fa anche feto, ma ‘un sapi ri nenti». Si alzava da tavola, andava a prendere il suo fagottino e apriva la mappina in cui era avvolto un bello pezzo di canestrato. «Megghiu i cosi nostri!», commento che valeva per alimenti, persone, soprattutto donne, e in generale modus vivendi. La signora era abituata alle femmine tutte di un pezzo, alle cose chiare e assolute, ai sapori decisi della nostra terra. Eccelleva negli stufati, nelle paste con verdura, era famosissima per quel cacio all’argintera, ricetta inventata dal padre argentiere, che non sapendo come accontentare i figli durante un periodo di ristrettezze, variava la presentazione delle stesse cose, cercando di renderle il più appetitose possibile.

La signora, avendo a disposizione forme intere di cascavaddu, canestrato e primintiu, tagliava le fette in modo che non fossero né troppo spesse, né troppo sottili, che si sciogliessero, ma non bruciassero. Le sistemava in una padella larga con un po’ d’olio extravergine, un po’ di aceto, qualche spicchio d’aglio intero e origano. Copriva col coperchio e cucinava a fuoco basso. Dopo pochi minuti, giusto il tempo affinché il formaggio si ammorbidisse, spegneva e portava a tavola sempre con il coperchio, per non disperdere calore. Appena si apriva quel guscio, un profumo penetrante invadeva la stanza, così come aveva invaso le viuzze del quartiere.

Altra delizia della signora Maria era il formaggio filante con il pomodoro. Dopo aver sistemato le fette nella padella in cui era pronta la salsa con l’aglio, un po’ d’olio e origano, le lasciava cuocere sempre a fuoco lento, stando attenta che non si appiccicassero le une alle altre. Era d’obbligo la zuppetta cu' 'u panuzzu. Non farla sarebbe stata una grave offesa. D’altro canto luoghi che vai, usanza che trovi… a cui ti devi adeguare. Ad ogni commensale veniva servita una mafalda di rimacinato per adempiere all’opera nel modo più professionale possibile. Così tutti si sacrificavano e dopo la prima volta, speravano di essere riinvitati a tastare u caciu all’argintera.

L'Abbinamento

I prodotti caseari italiani sono molto numerosi ed estremamente diversi tra loro. Ci sono, tuttavia, degli elementi comuni e caratterizzanti l’intera categoria, tra cui la tendenza dolce, la grassezza e l’aromaticità. Questi variano poi a seconda del sistema di lavorazione, della stagionatura e della materia prima, cioè se provenienti da latte vaccino, ovino o caprino. L’abbinamento del formaggio col vino non è un operazione sempre agevole, poiché dal punto di vista organolettico è un alimento piuttosto invadente, e pertanto richiede un vino che abbia un'adeguata e pari invadenza. Un formaggio molto aromatico richiede quindi un vino altrettanto aromatico, un formaggio con sapore intenso e una persistenza gustativa lunga richiede un vino dal sapore intenso e molto persistente.

Vi sono inoltre alcune teorie alternative che complicano le idee sull’argomento: una di queste è quella che prevede che il migliore abbinamento con il formaggio sia quello ottenuto dal vino rosso, ma in realtà questa regola non trova nessun fondamento pratico a causa dell'enorme diversità delle qualità organolettiche dei formaggi. Il caciocavallo è un formaggio a pasta filata di una certa consistenza, e per le sue caratteristiche si abbina a vini bianchi secchi dal profumo floreale, abbastanza morbidi, freschi e di media struttura. La nostra preparazione, tuttavia, richiede un vino con un quid in più dal lato della morbidezza, unica arma in grado di bilanciare la tendenza acida che l’aggiunta dell’aceto produce a livello gustativo. Il Mamertino bianco Doc sembra essere la scelta più adeguata al nostro caso.

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