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I "cucunci", sapore da s... ballo

Ogni estate ha il suo tormentone. Ci hanno stonato la testa con la macarena, il merengue, che non si sa se sia un dolce del nord Italia o un ballo sensual-provocatorio, con il chachacha, adesso con salsa e mojito, tequila bum-bum, tutti nomi che hanno qualcosa di grottesco, di sudaticcio e confusionario. Io mi oppongo e voglio ballare il cucunci. Un nome che al solo sentirlo apre immagini di spiagge assolate sotto ripide scogliere, ricorda quei movimenti “sinuosi” a cui ci costringe la camminata su terreni impervi, i dondolamenti su un piede per saltellare da uno scoglio all’altro.

Un nuovo ballo, forse un po’ scomodo per la posizione accosciata, che garantisce il potenziamento dei quadricipiti e dei lombari. È consigliabile preparare il fisico con lo stretching e dieci minuti di lavoro aerobico di riscaldamento. Si balla da soli, in gruppo, non ci sono particolari condizioni richieste, se non una buona forma fisica e la ricerca di una pianta. È il ballo dei Verdi, degli ambientalisti, anche il WWF lo ha posto sotto la sua tutela. Si allena il fisico e il palato gode!

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Bisogna scegliere una delle tante discese a mare, ricche di quelle piante non più alte di ottanta centimetri, piene di foglie, che sembrano picche e cominciare la raccolta di quei pallini verde scuro, con pliement in sesta. Cosa si raccoglie? I capperi, o come li chiamiamo noi i cucunci. Originari dell’Egitto, apprezzati da Greci e Romani per le proprietà afrodisiache, che hanno un’influenza non indifferente tutt’oggi, furono esportati dai Saraceni. Il loro commercio raggiunse il culmine nel settecento. Sono due le isole che detengono il primato della produzione e della qualità: Pantelleria e Salina, i cui terreni aspri, vulcanici, ricchi di minerali e privi di piogge, assicurano ai boccioli una consistenza e un’intensità di sapore superlative.

La raccolta avviene tra fine maggio e gli inizi di agosto. Come dicevamo la posizione non è molto comoda. Bisogna stare chinati pi' cuogghiere 'sti bacchiceddi e mittirilli ‘nnu catu. Come mi spiegava un contadino pantesco «i dulura sunnu tipo cani appizzati ‘nni rina», immagine che rende bene l’idea della fatica. Anche la conservazione è camurrusiedda. Una volta raccolti si devono lasciare riposare per uno, due giorni, poi si mettono nei panari, alternandoli con il sale marino. Si formerà una salamoia, in cui si lasceranno per una settimana, poi si scoleranno, e si ripeterà l’operazione di salatura e scolatura per altre due volte. Al termine della terza settimana i capperi saranno pronti per la conservazione. A voi la scelta di metterli sotto aceto, sott’olio o sotto sale.

Si utilizzano per aromatizzare sughi, salse, pesci e carni, ma anche verdure e ortaggi. Poco diffuse sono le ricette che li rendono protagonisti unici di piatti di contorno. E invece sono buonissimi anche a insalata. Scegliete i capperi grossi di Pantelleria sotto sale, utilizzatene 100 gr a testa. Lavateli bene. Fate un trito di aglio e menta. Condite i capperi con questo trito e un po’ di origano, aceto e abbondante olio. Mescolate e servite con un lacerto freddo, con il capuliato in gelatina, con le uova sode. È un contorno che sottolinea il sapore di ciò che accompagna. Anche la semplice insalata vastasa di patate bollite, cipolle rosse, pomodoro e olive diventa più buona se unita a quest’altra.

Sempre a Pantelleria c’è una variante altrettanto gustosa: i capperi, appena colti e lasciati sotto sale per ventiquattro ore, poi sciacquati, vengono bolliti, scolati e conditi con olio e aceto. Io preferisco la prima, ché ha un più sapore deciso e inebriante.
A dire il vero è un piatto un po’ dispendioso, ma nella vita bisogna anche concedersi il lusso di qualche eccesso, altrimenti che piacere c’è?

L’abbinamento

La nostra pietanza si presenta alla vista come un fardello del tutto innocuo da decifrare ed abbinare: una semplice insalata dominata dal colore dei capperi e della menta. Tuttavia, se la vista qualche volta può confondere l’osservatore alterandone il giudizio, procedendo con il senso del gusto le cose diverranno sicuramente più chiare.

Già dal primo assaggio è impossibile rimanere insensibili all’aroma penetrante dei capperi, quei bocci fiorali dal sapore forte ed intenso, noti anche in epoche piuttosto lontane. Infatti sin dai tempi dei Greci e dei Latini è conosciuto non solo per il suo impiego gastronomico, ma anche per le sue proprietà benefiche per l’organismo o addirittura per le virtù afrodisiache: Frine, la modella di cui si servì lo scultore Prassitele per la statua di Afrodite Anadiomene, ne faceva uso regolare; Plinio il Vecchio ne esaltava l’uso alimentare; la medicina Ayurvedica lo utilizza tuttora come disintossicante per il fegato o per regolare i livelli di colesterolo o come semplice tonico e ricostituente.

Di fronte a questo ricco curriculum, è quanto mai doveroso agire col massimo rispetto e serietà nella scelta del giusto vino da abbinare. Ebbene, evitando inutili distanze, propongo in abbinamento un vino che è legato strettamente alla nostra pietanza, un bianco secco prodotto nella DOC Pantelleria. Il grande corredo aromatico, la buona morbidezza ed il grado alcolico sostengono egregiamente il ventaglio di sentori, la sapidità e l’untuosità della nostra pietanza. Un’ultima doverosa raccomandazione: non abbondate con l’aceto, anzi distillatelo sapientemente, altrimenti vanificherete l’effetto utile dell’abbinamento!

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