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Il samurai americano

Il film tiene alta l’attenzione dello spettatore proponendogli un buon mix di emozioni: vergogna, passione, la grandezza del perdono, la rabbia, lo sforzo e il sacrificio

  • 22 gennaio 2004

L’ultimo samurai (The Last Samurai)
Usa 2003
Avventura/azione
di Eduard Zwick
Con Tom Cruise, Ken Watanabe, Timothy Spall

Chiedersi se il film di Eduard Zwick sia bello oppure no, potrebbe risultare un esercizio relativamente utile. Chiedersi se sia ben fatto o sia la solita pellicola americana alla “Balla coi lupi”, se i centoquaranta milioni di dollari di budget siano stati usati bene o se ci troviamo di fronte all’ennesimo colossal hollywoodiano in cui i cattivi diventano buoni e il protagonista (Tom Cruise) attraversa il difficile cammino esistenziale che lo condurrà a prendere le fattezze dell’eroe, potrebbe risultare poco significativo. Sicuramente bisogna riconoscere che il film tiene alta l’attenzione dello spettatore proponendogli un buon mix di emozioni (vergogna, passione, la grandezza del perdono, la rabbia, lo sforzo e il sacrificio per raggiungere le vie più nascoste dello spirito) che si susseguono in modo equilibrato e ben dosato,   alternate ad eccitanti momenti di aspri combattimenti (durante i quali Tom Cruise ha potuto sfoggiare tutte le qualità di “samurai” insegnategli dal trainer Nick Powell) e sequenze di violente battaglie girate nei set utilizzati anche per “Il Signore degli anelli” in Nuova Zelanda.

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Ma non basta disquisire su tali aspetti de “L’ultimo samurai” poiché il film ci porta su dei sentieri dello spirito che meritano altrettanta attenzione. Soffermarsi sulle sequenze in cui Zwick ci accompagna all’interno del villaggio di Katsumoto (guerriero samurai contrario all’occidentalizzazione coatta del Giappone) dove la vita scorre lentamente, dove qualsiasi azione o comportamento di routine assume una valenza unica e irripetibile che rende il più semplice atto (come girare la minestra con il mestolo) la più sublime delle arti. Forse allora è proprio questo l’aspetto più profondo da tenere in considerazione: lo Shodo (l’arte della calligrafia), il Laido (l’estrazione della spada) ed anche il Bushido (la via del guerriero e rigorosa disciplina fondata sul sacrificio personale per l’adempimento del proprio dovere).

Assistere all’epilogo straziante della “casta” dei Samurai che affrontano il “nemico” (in una lotta fratricida) con la consapevolezza dell’ineluttabilità del proprio destino (morire o a causa della spada nemica o della propria spada praticando Harakiri) evidenzia anche il cambiamento di una società (quella giapponese) che aprirà le porte all’occidente, ai suoi mercati e ai suoi usi e costumi in una contaminazione reciproca che tutt’oggi continua.

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