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"Jazz!", utile guida per i neofiti del genere

  • 12 giugno 2006

Cosa deve fare una persona che voglia farsi una cultura nel frastagliato mondo del jazz e non sappia da dove cominciare, magari scoraggiata dall’iniziale difficoltà di approcciarsi a una materia tanto vasta e spesso considerata “per pochi eletti”? Innanzitutto, si deve armare di pazienza e – ahimè – un bel po’ di soldi da investire. In secondo luogo, può trovare uno strumento utile in qualche guida. Anche qui la scelta non manca, ma potrebbe fare comodo un libro scritto da un vero esperto musicale, il compositore maceratese e saggista Carlo Boccadoro. L’opera in questione, “Jazz! Come comporre una discoteca di base”, è stata presentata anche a Palermo dagli Amici della Musica alla libreria Modus Vivendi ed è stata l’occasione per conoscere anche il pensiero dell’autore sul mondo del jazz.

«Questo libro – afferma Boccadoro – è per chi di jazz non sa nulla. Ci sono molte persone che hanno soggezione ad avvicinarsi a questo genere anche solo per come è fatto il panorama discografico. C’è il triplo di dischi rispetto al rock e in più lo stesso disco può apparire con copertine diverse. Altri non sono così curati e non vale proprio la pena acquistarli». E aggiunge: «Il libro ha uno scopo consumistico: serve a convincere chi lo legge a comprare questi dischi, e a comunicare il mio entusiasmo per essi».

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Il vademecum edito da Einaudi (316 pagine, 12,50 euro) è suddiviso in più di duecento schede da una pagina l’uno. Solitamente, a parte le eccezioni più significative, da Coleman a Davis a Parker e molti altri, a ogni autore è riservato un disco (col “trucco”, in ogni scheda di consigliarne o sconsigliarne altri). “Jazz!” è scritto con grande perizia ma non scivola mai nei tecnicismi fini a se stessi ed è di facile lettura. Non lesina elogi e critiche, anche dure, e numerosi sono gli aneddoti e i commenti divertenti a contorno del disco o dell’autore in questione.

Non sono sicuro che il criterio di suddivisione in strumenti (sax, chitarra, contrabbasso, cantanti ecc.), a discapito di quello cronologico, sia il migliore per avvicinare chi di jazz non sa assolutamente niente alla materia. Questo perché inevitabilmente, nel parlare di certi compositori si fa riferimento a correnti mai citate prima, come il free o il bebop, o ad autori seminali di cui, evidentemente, data la finalità dell’opera, l’ignaro lettore non può sapere se non per sentito dire. Non trattandosi di una “storia del jazz” la scelta è più che legittima e poteva forse essere compensata con una sorta di “glossario” finale.

Inoltre, all’interno del libro sono presenti anche autori per cui il Nostro non sembra nutrire una così spiccata simpatia. E’ il caso, ad esempio, di George Shearing, il cui disco è definito, pur con i pregi che presenta, un «ottimo rimedio contro l’insonnia». Va bene sconsigliare alcune prove opache di autori comunque fortemente raccomandati per altri lavori, ma perché inserire anche autori di cui poi si stronca l’opera? In ogni caso il libro è fortemente consigliato come bussola, magari non per chi è “tabula rasa” ma quasi, anche perché, se l’obbiettivo era – come si legge nella Premessa – di convincere il lettore a «comperare anche uno solo di questi dischi», tale scopo si può dire ampiamente raggiunto, grazie alle qualità elencate prima e a una lettura piacevole e gustosa per ogni amante della musica. Valgano per tutte le schede dedicate ai “Solo Concerts” di Brema e Losanna di Keith Jarreth, o anche qui, identico titolo, al “Solo concert” (e a tutti gli altri dischi consigliati all’interno) di Ralph Towner.

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